Il 24 gennaio 1974, in Largo dei Fiorentini 3, all’angolo con la più “blasonata” Via Giulia, aprì a Roma il Music Inn di Pepito & Picchi Pignatelli.
Non era certo l’unico Jazz Club della capitale, che all’epoca ne vedeva già aperti diversi, tra cui “il Clubino” o il “Folkstudio” e del resto anche Pepito aveva inaugurato già nel ’71 il Blue Note in via dei Cappellari, 74 (poi chiuso per via dei primi casini giudiziari del “principe”), ma il Music Inn è stato e resterà IL LOCALE per antonomasia, e non credo solo per noi romani.
Immagino che tutti abbiate sentito parlare almeno una volta di questo Club, o che vi siate ritrovati a vedere spezzoni, oramai leggendari, passati su Blob o Schegge alle tre di notte, registrati proprio in quella “grotta” e sono molto felice che una narratrice sensibile come Carola De Scipio, che ha già saputo raccontare con tanta profondità e rara grazia la figura di Massimo Urbani, si stia dedicando (con Roberto Carotenuto e le musiche di Enrico Pieranunzi) a un documentario su quello che è stato il mito di riferimento dei Jazz Club italiani, per l’aspetto da Cave, per la fama dei suoi gestori, per la cucina strepitosa (all’inizio gestita da Riccardo Lay) e, soprattutto, per i nomi stratosferici che presentava una sera dopo l’altra sul suo piccolo palco…
Basta scorrere oggi una loro qualsiasi programmazione per accorgersi che era proprio un’altra epoca per la Musica…
L’apertura di fine gennaio ’74 fu affidata a Basso & Valdambrini, in Sestetto con Dino Piana; a seguire ci furono i “Summit”, il quintetto guidato da Dusko Gojkovic con Bobby Jones al tenore poi, per un’intera settimana, Mal Waldron e Steve Lacy e, a chiudere, Art Farmer. E il livello dei programmi proseguiva su questo tono: Franco Cerri con una ritmica romana, la Big Band di Tommaso Vittorini e Enrico Pieranunzi e poi Dexter Gordon, Kenny Drew, Flavio e Franco Ambrosetti (con J. F. Jenny Clarke al basso e Daniel Humair alla batteria)... In un soleggiato giorno di aprile poi, arrivò Johnny the little giant Griffin, che suonò per un’intera settimana “accompagnato” dal Modern Art Trio (o buona parte dei Perigeo, se preferite…), cioè Franco D’Andrea al piano, Giovanni Tommaso al contrabbasso e Bruno Biriaco alla batteria.
In quel contesto agiva un altro personaggio fondamentale per il Jazz a Roma di quegli anni, Aldo Sinesio, che in totale sinergia con la programmazione del Music Inn non perdeva mai l’occasione di registrare quei giganti arrivati in città. Fu così che nacque la serie Jazz A Confronto della HORO e la gig di Johnny Griffin chiuse la prima decina, in maniera onesta e generosa col suo hard bop moderno, ma sarebbe benissimo potuta stare sul podio, secondo me, fosse solo per il primo titolo del Lato A, che fu un atto d’amore per il Club dei Pignatelli ed una conferma della sua statura, che risuona forte ancora oggi.
Sì, era sicuramente un’altra epoca quella, in cui potevi sedere al bancone del Music Inn con personaggi come Ornette Coleman, McCoy Tyner, Bill Evans, Jackie McLean, Max Roach o Chet Baker... anzi, forse era proprio un altro pianeta.
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Grazie per le interessanti informazioni, amo il Jazz
RispondiEliminaBenvenuto! se ami il Jazz, questo è uno dei posti giusti ;)
EliminaCome sempre, un prezioso recupero della memoria, scritto con passione e competenza. Grazie Roberto!
RispondiEliminaCaro Ernesto, detto da te, che con la memoria storica della tua bella Sicilia ci lavori e ti ci relazioni ogni giorno, è un grande complimento. Grazie a te!!!
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