Ci
sono musicisti europei che «parlano senza
accento quella lingua internazionale che è il jazz» (lo dico parafrasando
un’espressione del critico ginevrino Demétre Joakimidis). Fra questi musicisti,
immersi fin dall’inizio in tempo reale nel flusso storico del jazz, certamente
c’è stato Larry Nocella.
L’ho
conosciuto verso la fine degli anni ’70. era un periodo in cui cominciavo a
frequentare i club milanesi, in particolare il Capolinea, all’indomani del mio
arrivo da Roma, dove avevo vissuto, a conti fatti, una decina di anni. Ad un
certo punto ci capitò di suonare abbastanza spesso insieme ed io imparai a
conoscere meglio questo tenorista, che avevo subito trovato impressionante per
la naturalezza e la fluidità del fraseggio, che mi ricordava, per certi versi,
il Coltrane dei dischi che a me piacciono di più del periodo “Atlantic”
(specialmente My Favourite Things e Coltrane’s Sound). Era bello riscoprire
e approfondire con lui il periodo di Coltrane di cui avevo intuito l’importanza
nei primi anni ’60 in compagnia di Gato Barbieri. Amava esplorare brani di
gusto armonico molto raffinato ma aveva, come Gato, una predilezione per il
canto, per il dispiegamento della voce e si sentiva che, attraverso Coltrane,
mirava a riscoprire e valorizzare l’intera tradizione jazzistica. Amava molto
suonare anche tutte le belle composizioni di quell’epoca (temi di Charles
Lloyd, Joe Henderson, Herbie Hancock, del primo Corea) e sembrava dire, e
qualche volta lo diceva davvero «abbiamo
ancora tanta buona musica nella tradizione del jazz da suonare, reinterpretare,
capire meglio».
Questo
era il messaggio che mi arrivava e coincideva con il mio desiderio di allora di
approfondire la conoscenza di certa musica degli anni ’60 e di riandare,
possibilmente, ancora più indietro, fino alle radici del jazz, per poi operare
nuove sintesi musicali.
Andando
avanti, negli anni ’80, le nostre strade si sono divise, ma di tanto in tanto
lo riascoltavo e sentivo le sue nuove evoluzioni che lo portavano, nel
fraseggio, ad affiancarsi a Coltrane e a Rollins prima e poi, addirittura, a
Lester Young. Come sempre, era nel flusso del jazz “senza accento”, parlava
quel linguaggio perfettamente, con inesausta passione.
in ricordo
di Larry Nocella da Qualunque Cosa Mi
Accada,
a cura di Silvano
Arcamone e Carlo Verri, Stampa Alternativa, luglio 1997.
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Credits:
Pillot
– Farmer 4tet
Brother
Man
Label: Carosello
Serie: Jazz from Italy
Catalog#: CLE 21031
Format: LP
Country: Italy
Recorded at CAP Studio,
Larry Nocella (tenor sax, soprano),
Franco D’Andrea (piano),
Julius Farmer (el. bass),
Giancarlo Pillot (drums)
Tracklist:
A1. Seven Steps to Heaven –
8:53
A2. Lush Life – 5:30
A3. Skylab – 4:51
B1. Freddie the Freeloader –
6:56
B2. Aisha – 5:34
B3. Brother Man – 7:36
Thank you!
RispondiEliminaSalve,
RispondiEliminaPotresti, se possibile ripostare, il Massimo Urbani della Horo (Vol. 13) ho cercato in tutti i modi vinile o cd ma niente da fare!
Grazie in anticipo.
thegreek
Quello che un grande colpo ! Ringraziamo molto !!
RispondiEliminaGrazie grazie grazie. Sono sentimentalmente molto legato a questo disco, che mi aveva fatto scoprire Larry Nocella, e a più di 30 anni di distanza non trovo questa musica invecchiata per niente. Che peccato che Larry se ne sia andato troppo presto.
RispondiEliminaAlessandro
Grazie !
RispondiEliminaBig Thanks ! We want more !
RispondiEliminaThhanks for this
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