Venerdì
scorso, che sono uscito dal lavoro che c’era ancora il sole, ed un cielo che
più cangiante non si può, come solo Roma sa regalare, ho deciso di fare alcune
commissioni prima di rientrare. Dal momento che sono un cane sciolto,
ovviamente, per me il concetto di prima
il dovere e poi il piacere risulta anomalo, per cui, prima fermata l’edicola,
per soddisfare prima l’anima e poi la
pancia, come diceva il mio povero nonno ogniqualvolta si accendeva una
sigaretta proibitagli dal medico.
.
Salto
la spesa ed il bancomat per ritirare i soldi dell’affitto, non c’è tempo per
queste stronzate, le sigarette no, MS morbide, due pacchi please, e me ne
scappo subito in mansarda. Quella faccia mi ricorda qualcosa. Accendo il PC con
un gesto automatico, che quasi anticipa lo stimolo, metto sul piatto una disco
di Jacques Pelzer con Dino Piana al trombone e mi avvicino ai miei scaffali.
Forse
era il ’63, penso, e sbircio meravigliandomi dell’ordine delle mie riviste; no
allora il ’64, per forza, ma c’è ancora tanto colore, dico ai miei scaffali
che immediatamente rispondono e mi restituiscono la soluzione
all’enigma: anno XXI – n°1 (214) – Gennaio 1965 – Lire 250. Stesso
font, anche se il rosso è più accanito, bordo bianco tutt’intorno, anche se ora la foto è a colori, sommario
sotto la testata, solo la scritta musica è entrata nella testa della J
di jazz, anziché appoggiarsi al suo braccio, ma non c’è dubbio, è lei!*
Una
piacevole corrente elettrica scorre lungo tutta la mia schiena.
Il
PC ronza poco distante, lancio mozilla ed inizio a sfogliare distrattamente il
numero di maggio 2012, in
un rutilante sfalzamento temporale. Il tema deve essere letto comodamente, sul
divano o magari in bagno, penso, ma nemmeno arrivo alle schegge, dove l’occhio fa per intrattenersi con “la discussione
corre sul web” che vedo sul mio schermo un aggiornamento di Mondo Jazz che si ruba tutta
l’attenzione: “Il Gerlando
Furioso”
Inizio
a leggere il post di Roberto, passo ai commenti dei soliti noti, salto al post
di Gerlando Gatto sul suo “A
proposito di Jazz” e, per fortuna, arriva subito forte dalle mie casse Work
Song, interpretata da questo combo belga/italiano, con la stessa trascinante
intensità dell’originale dei fratelli Adderley. Non mi stupisce affatto il to play fluently degli europei, checché
ne dicano i soliti noti, ma mi smarrisco già dall’incipit della lettera aperta
al direttore di MJ che espone formalità ed ostenta distanza, che cerca
attraverso l’errore grammaticale e/o il refuso grafico di supportare una tesi
denigratoria che dovrebbe partire esclusivamente dai contenuti, che ripete in
un palloso maiuscolo ad libitum
l’appellativo che, almeno storicamente, è impossibile negare alla rivista apparsa
nelle edicole per la prima
volta nel 1945.
.
Il tutto termina con una chiara avvertenza, che esclude
qualsiasi forma di dialogo almeno ai polemisti titolati e che, in qualche modo,
tenta di far capire che la libertà d’espressione dei blog è un valore che va
salvaguardato rispetto alla chiusa nomenclatura della carta stampata. Peccato
solo che “A proposito di Jazz” sia molto più assimilabile ad un web magazine, e
quindi ad una versione elettronica di una qualsiasi rivista cartacea, che ad un
vero e proprio web-log, che ha tutt’altre e specifiche caratteristiche.
Sono
affranto e deluso, mi butto a peso morto sul divano, accendo l’ennesima
sigaretta bionda e ricomincio a sfogliare.
Finalmente
si affronta sotto la testata Jazz, senza remore e paure di perdita d’appeal di classe,
il trasversale lavoro di Chailly con Bollani: «Non è jazz? Certo che non lo è, nel senso comunemente detto».
.
Franco
Cerri meritava un approfondimento sulle pagine di Musica Jazz da sempre; che
sia apparso con questa nuova veste della rivista, forse non è un caso (non è
sempre del 1965 quel bellissimo LP Columbia da cui avete tratto la cover
dell’antologia allegata?). Lo stesso si potrebbe dire per altri musicisti
italiani, penso a Cesàri, Rotondo, Volontè o Sellani, come per alcuni
produttori dimenticati, e tra questi mi vengono in mente Sinesio, Piangiarelli e Fontana.
.
Bertoncelli
riuscirebbe ad affascinare con la sua scrittura anche se trattasse di un rotatore rigido,
figuriamoci se parla semplicemente di rock-blues.
Anche
Esperanza Spalding viene sdoganata, che di démoni così belli e musicali, ce ne
fossero nei miei sogni…
Poi Franco D'Andrea, che più invecchia e più si rinnova, e Marta Raviglia, che fin dal suo primo apparire è stata una piacevole sorpresa e, senza tregua, ci continua ad offrire la sua mutevole ricerca.
Poi Franco D'Andrea, che più invecchia e più si rinnova, e Marta Raviglia, che fin dal suo primo apparire è stata una piacevole sorpresa e, senza tregua, ci continua ad offrire la sua mutevole ricerca.
Eccolo
il cambiamento, inteso come scambio di potenzialità, come ricchezza da
ricercare nel cross-sharing dei linguaggi e stì cazzi dei blasoni e dei diplomi
scolastici:
Franco
Cerri è un autodidatta, e vorrei proprio leggere una tesi che sminuisce il suo
stile chitarristico perché non certificato da un diploma di conservatorio o
dall’iscrizione all’albo dei chitarristi ufficiali.
Oppure, provate a spiegarmi voi perchè è meno blue il blues di una cantautore genovese?
Ora,
io non vorrei passare per quello che sta qui a prendere le difese di taluno
attaccando tal altro, che non è mia intenzione e Luca Conti non ha certo
bisogno di me, così come non aveva assolutamente bisogno del suo direttore Daniela Floris, che
si difende benissimo e con grazia da sola, e che ha ricevuto la solidarietà
del web quantomeno per la sua sacrosantissima libertà d’opinione. Tra
l’altro, ho riletto la sua recensione al concerto
di Berne a Bergamo, dopo aver saputo da Gatto che Daniela è la Dott.a Daniela Floris e, in
tutta sincerità, non ho scovato alcuna differenza sul significato del suo testo
tra la lettura pre e post laurea, nè tantomeno nella forma.
Prima
di tornare al PC per scrivere queste righe, sfoglio con tenerezza quel vecchio
numero del '65 e, già dal sommario, penso a quante affinità ci siano ancora dopo quasi
cinquant’anni, non con la rivista in sé per sé, ma proprio con questo piccolo
mondo antico.
Jazz
europeo: un mito o una realtà, a firma di A Polillo; Il referendum del Down
Beat; Il jazz milanese alla riscossa e, proprio in principio, in un riquadro in
grassetto tra le lettere al direttore, campeggia un avviso ai naviganti di
allora
Come
dicevo, io non sono qui per difendere o attaccare nessuno, ma la mia impressione
ve la voglio raccontare ed il fatto che ci sia un evidente fermento culturale
attorno alla nostra comune passione, un’infiammarsi d’animi, una partecipazione
attiva ed uno scambio continuo, è una nuova fonte d’alimentazione per
ricaricare le nostre mai sopite energie, ed è anche un ottimo segnale, ma penso che
se continuiamo a trincerarci dietro confini mentali, se scadiamo nell’offesa
personale o nel parlarsi addosso, nell’inutile divisione gerarchica tra cultura alta e bassa, tra jazz
e non jazz, insomma, rischiamo che tutta questa energia ci si riversi contro,
in un pericoloso corto circuito che brucerebbe le connessioni, anziché tentarne
di nuove, ed il black-out è dietro l’angolo.
Connettete
gente, non combattete.
* se per caso ci fosse uno sbaglio
sulla datazione della cover che ha fornito ispirazione alla nuova forma della
rivista, diffido chiunque nel tacciarmi di dilettantismo e di mancata
iscrizione all’albo dei coveristi e rimetto ogni responsabilità allo scaffale
IVAR ( art. num: 837.566.09), tra l’altro fuori catalogo, che in via del tutto
confidenziale mi ha fornito l’informazione.
Era inevitabile che la polemica continuasse, e credo che il tuo invito che conclude il post resterà lettera morta. Avendo collaborato in passato per un paio d'anni con la "consorella", come la definisce il direttore di Musica Jazz, ho avuto modo di constatare che il pettegolezzo e la supponenza caratterizzano purtroppo molti degli appassionati che gravitano a vario titolo nell'ambiente. Per cui capitolo chiuso, per anni, finchè questo blog mi ha fatto ritornare la voglia dI riavvicinarmi al jazz (non alle polemiche).
RispondiEliminaUn cordiale saluto
La polemica in sè non è deprecabile, anzi è un pò di sale nella dinamica della discussione. Altro discorso quando si avvita su se stessa e finisce solo per annoiare. Preferisco però un blog noioso ma dove tutti possono intervenire ad un portale e/o blog che non ammette commenti. Mi pare comunque evidente, almeno per me, che la musica debba essere fonte di piacere, passione, bellezza. Io il blog l'ho aperto e lo tengo in vita per condividere tutto questo. Tutto il resto sono chiacchiere e lasciano il tempo che trovano...
RispondiEliminaIntanto io (e noi) vi leggiamo sempre con piacere, e abbiamo inserito i blog intervenuti nella discussione tra i nostri siti amici. Il che potrebbe anche non essere per voi positivo! :-) Un saluto, e buon lavoro a tutti noi - a torto o a ragione
RispondiEliminaDaniela Floris