sabato 21 dicembre 2019

Poi, ad un certo punto... Jazz Workshop 1977




Non c’è niente da fare…
ogni decisione personale, qualsiasi “spinta” individuale, tutte le azioni che decidiamo di compiere, per quanto siano attività esclusivamente “intime & private”, prendono una forma concreta e condizionata innegabilmente dalle circostanze, che riflettono, pur se in modalità distorta e tagliata su misura, la flora e la fauna dell’ambiente che ci circonda, nel bene e nel male.


«Molto francamente, posso dire che a quei tempi il fatto di essere così considerato sia dal pubblico che dalla critica mi riempiva d’orgoglio, ma stava anche diventando una prigione dorata: non per i guadagni, beninteso, ma perché m’impediva di continuare a sviluppare il mio lavoro. Ricordo che allora suonavo molto “free” con una carica emozionale e fisica che conservo ancora perché fa parte del mio modo di essere, di vivere e di pormi di fronte alle cose, e la gente vedeva solo questo, o quasi, condizionando anche me, impedendomi di andare avanti, di suonare altre cose. C’è voluto un periodo di ripensamento, di inattività quasi totale, per capire dove andare, cosa fare»[1].


Lo aveva capito Massimo e lo aveva pensato pure il mio alter-ego, nel post di oramai due anni e mezzo fa quando, senza trovare alcuna risposta, aveva tentato una via di salvezza allontanandosi da questo Blog e dai «suoi simili, che costituivano fragili gruppi momentanei, che privilegiavano il suono delle parole anziché la forza dei loro contenuti, che non sapevano più godersi un momento di piacere seduti nel bel mezzo della loro solitudine e che anzi giravano in continuazione intorno al proprio IO, stordendolo di parole fasulle, riempiendo i silenzi di richieste di amicizie fittizie, mostrando fotografie impalpabili che prendevano il posto del loro reale profilo».


Poi, ad un certo punto, qualcosa cambia e spesso è difficile dire esattamente quando ed anche come, ma il perché risuona chiaro fin da subito. Siamo solo dei piccolissimi frammenti di tutto un resto più grande, un agglomerato di infinitesimi elementi di connettività, utili alla rete se tenuti insieme ma facilmente bypassabili come singoli punti. E solo quando torni a comunicare con un semplice sguardo, quando senti vibrare nuovamente qualcosa nel profondo delle comuni intenzioni, quando spalanchi la finestra dell’anima per far uscire il “tanfo psichico”, quando torni a percepire anche solo l’ombra sincera dell'affetto e della solidarietà, insomma, che puoi tornare a sentirti vivo e, di colpo, affamato come una bestia selvaggia, devi solo alzare il naso e puntare la noia, per poi sfamarti di succulenta trasformazione.


Questo Concerto non riporta probabilmente nulla di così eclatante o indimenticabile, se non fosse per la possibilità di sentire ancora “musica inedita” di Massimo Urbani, Steve Lacy, Enrico Rava o Danilo Terenzi, tra gli altri, ma coltiva l’idea di preziosa collettività, conserva la magia del processo creativo, rinnova l’urgenza di comunicare senza rete di protezione ed allunga la durata del sogno, fosse solo per qualche altro minuto o per tanti anni a venire. 


Ecco, questo nuovo post lo dedico a voi, che mi siete stati più vicini nonostante la distanza, e che non devo nemmeno citarvi perché lo sapete già dove eravate, dove stavate rispetto a me negli ultimi due anni.

Art by Egon Schiele

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Enrico Rava (tp); Paul Rutherford, Danilo Terenzi (trbn); Steve Lacy, Evan Parker (soprano sax); Massimo Urbani (alto sax);  Gaetano Liguori (p); Kent Carter, Roberto Bellatalla (bass); Filippo Monico (drums); Tony Oxley (drums, electronics)

01. Intro by Giacomo Pellicciotti (01:38)
02. Workshop #1 (13:13)
03. Workshop #2 (09:52)
04. Workshop #3 (10:37)
05. Workshop #4 (07:37)
06. Workshop #5 (13:39)
07. Workshop #6 (07:43)
08. Workshop #7 (06:53)
09. Intro by Gaetano Liguori (0:58)
10. Workshop #8 [inc.] (15:50)






[1] Massimo Urbani, intervista di Carlo Verri, MJ Marzo 1981

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