La
questione di essere un musicista jazz a mezzo servizio, è stato uno dei crucci,
o dei più sicuri nascondigli, degli artisti italiani quasi fino alle soglie del
secondo millennio.
«Tu
sai che io sono un musicista di jazz a mezzo servizio con la musica leggera,
come tanti altri, del resto, e come ce ne sono perfino in America. Cerco in
qualche modo di vivere positivamente anche questa esperienza, di arricchire in
qualche modo me stesso, per esempio quando ho a disposizione una grande
orchestra. Bisognerebbe eliminare il mezzo servizio, ma come si fa? Ci vorranno
ancora molti anni, forse non basterà una generazione. Oggi per vivere soltanto
di jazz, specialmente in Italia, uno dovrebbe rassegnarsi ad una povertà
francescana o vivere da solo a fare l’asceta. Certo, si può fare. Ma è una
scelta dura, e succede che quando si è giovani certe cose non si capiscano. Può
prevalere l’impulso naturale di non rimanere soli, di farsi una famiglia, e
allora il mezzo servizio diventa inevitabile. Non puoi sacrificare gli altri».
Questo
dice il pianista Enrico Intra a Franco Fayenz, in un’intervista apparsa su
Musica Jazz nell’agosto 1973, ed è significativo leggere come, anche nel
decennio maturo del jazz italiano,
fosse difficile vivere delle proprie idee musicali a tempo pieno e quanti
compromessi era invece necessario trovare per mantenere un equilibrio tra vita
privata e professionale.
Negli
anni a cavallo tra i Cinquanta ed i Sessanta il mezzo servizio era un atteggiamento all’ordine del giorno, non
tanto nelle occasioni delle jam, dei festival ad hoc o dei discorsi tra gli
appassionati che ci riportano le storie del jazz, ma proprio nell’aspetto
professionale, e cioè nei prodotti dell’industria musicale che avrebbero dovuto
generare reddito agli stessi musicisti, primi fra tutti i dischi, ma anche le
apparizioni televisive e/o radiofoniche sotto compenso.
Se
ci pensate, o se avete la possibilità di scorrere alcune discografie di quegli
anni, rarissimi sono i Long Playing jazz dell’epoca, molti di più i singoli a
45 giri e gli Extended Play, probabilmente perché ritenuti più facili da
vendere dalle industrie discografiche. Eppure, anche questi più economici
supporti, raramente sono completamente dedicati al jazz, che spesso si trova
relegato nei lati B dei dischi destinati al grande pubblico, cioè quelli con
più ampia diffusione, come quelli dei cantanti, che lasciavano la facciata
principale ai temi alla moda e
cantabili da tutti.
Scorrendo
la mappa che Arrigo Zoli pubblicò a compendio di ogni sezione del suo utilissimo
“Storia del Jazz Moderno italiano – I Musicisti” negli anni Ottanta, dei
cantanti in jazz possiamo contarne poco
più di una decina dai primi anni Cinquanta fino agli inizi dei Settanta,
nell’ordine:
Lilian
Terry, Nicola Arigliano, Lydia MacDonald, Jula De Palma, Jimmy Fontana, Mara
Moris, Monna Lisa (aka Vanda Radicchi), Caterina Villalba, Cocki Mazzetti,
Gianfranca Montedoro e Renata Mauro.
A
parte i primi quattro, che hanno mostrato un’attiva presenza e mantenuto
un’attività costante nel tempo, gli altri hanno intrattenuto rapporti sporadici
col jazz, o l’hanno abbandonato subito, ed allora mi viene da pensare chissà
perché Arrigo abbia lasciato fuori nomi come Carol Danell, Helen Merrill,
Caterina Valente, Cosetta Greco, Anna Moffo e Fatima Robin’s, oppure Johnny
Dorelli che, sembrerà strano, ma al jazz ha dedicato diversi Lato B sul finire
degli anni Cinquanta.
Successivamente,
quasi sempre per brevi incursioni, si possono citare altri connubi a metà tra i
cantanti italiani ed il jazz, con top stranezza nel “Villa Tutto Dixieland”
licenziato dalla Cetra
ed altri incontri più felici come il “Back to Jazz” di
Bruno Lauzi per la DIRE
o il toccante “in Concerto” di Mia Martini, da un’idea di Maurizio Giammarco.
Ecco,
anche Lilian Terry ha dovuto accettare più volte il mezzo servizio, come
racconta sulle pagine del suo sito, e per far produrre dalla CGD la sua vera
passione, ha dovuto incidere diversi singoli pop in cambio ma, quando canta in swing, cadono tutti i dubbi e si
comprende il motivo per cui abbia acconsentito a quel sottile ricatto.
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Credits:
In Swing!
Label: CGD
Catalog#: E 6096
Format: EP
Country: Italy
Recorded 1960
Lilian Terry (voice),
Oscar Valdambrini (trumpet),
Gianni Basso (tenor sax),
Enrico Intra (piano, arr.),
Giorgio Azzolini (bass),
Gianni Cazzola (drums)
Quartetto Radar (vc)
Too Close for Comfort - 2:30
The Song Is You - 2:50
My Heart Belongs to Daddy - 2:35
Don’t Worry About Me - 3:10
grazie… un post straordinario!
RispondiEliminaa real treat grazie!
RispondiEliminamany thanks for this rarity
RispondiEliminabello, bello, bello.
RispondiEliminaThank you!
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