Registrammo
«Five For Jazz – Live in Sanremo & Pesaro» nell’84. È stato il mio secondo
disco con lui, e ricordo che Massimo ha suonato come sempre in un modo
incredibile, dimostrando una padronanza strumentale e di linguaggio veramente
alta. Devo dire che lui considerava quella incisione come una delle sue
migliori.
I
pezzi erano miei, ma chiamai il gruppo Five For Jazz. Feci io la direzione
musicale, e non per megalomania: è stata l’unica «tassa» che ho imposto perché
volevo un’unità di intenti e una coerenza di repertorio. Volevo che tra un
pezzo e l’altro ci fosse un minimo denominatore comune, un sound di gruppo molto riconoscibile pur nel rispetto dei ruoli,
idee e personalità dei singoli musicisti; comunque, questa è un po’ anche una
mia caratteristica.
Il
disco è stato fatto per la
Splasc(h) da Spagnoli, con Alberto Alberti. Con questo disco
siamo stati ad Umbria Jazz, a Nizza… era un gruppo che andava. C’era Pietro
Tonolo, e con Massimo era una coppia che funzionava, anche se uno era del Polo
Nord e uno dell’Equatore, ma davano quello che mancava l’uno all’altro. A
Massimo mancava una conoscenza scientifica della musica, che era la forza di
Pietro. A volte tendeva ad esasperare la situazione, sia emotivamente che nella
durata del solo, che faceva sempre con gusto e maestria. Delle volte faceva
degli assoli bellissimi, ma troppo lunghi. Grazie al modo di Pietro, Massimo
diventava più contenuto e sintetico, trasmettendo ugualmente tutta la sua
emotività.
Pietro era l’opposto di Massimo anche negli atteggiamenti; ha un
modo diverso di esprimere il suo lato viscerale e sanguigno, quasi statuario, e
con Massimo dopo un quarto d’ora era sistemato. Quindi Massimo suonava un po’
più regolare e Pietro, pur mantenendo le sue caratteristiche di musicista
superpreparato, contenuto, era influenzato dalla visceralità di Massimo; senza
rendersene conto aveva acquisito un «lasciarsi andare» maggiore e dei tempi più
lunghi.
Aveva
un suo suono tra i più belli insieme a quelli di Trane, Parker e Larry. Massimo
aveva un impatto musicale emotivo degno dei più grandi. Purtroppo non si è dato
il tempo di scoprirlo e tanto meno gliel’ha dato il nostro ambiente. Lui
cercava in maniera istintiva, inconscia, come un animale cerca di mangiare quando ha fame. Non credo che
si fosse mai posto, come tutti i veri artisti, il problema se avesse o non
avesse trovato uno stile.
Bisogna
ricordare che Massimo ha iniziato a suonare il jazz a quattordici anni, con
Gaslini. Era normale, quasi fisiologico, che cercasse le origini di questa
musica e che questa operazione poi l’aveva portato a qualche confusione. Il
musicista è anche soprattutto un uomo e Massimo aveva problemi interiori
psicologici oggettivi, molto più impellenti, più profondi e più importanti del
suo stile, avendolo per giunta di natura. Ma se vogliamo sottintendere che non
aveva cambiato la storia del jazz allora entriamo in un altro discorso, tra
l’altro molto delicato e molto soggettivo. Massimo, fino a che c’è stato, non
ha cambiato la storia in maniera determinante come lo hanno fatto Miles, Trane,
Parker, Monk; come non l’hanno cambiata il 90% dei jazzisti di tutto il mondo.
Certonon l’hanno cambiata Keith Jarrett o Wynton Marsalis o Mike Brecker, o un
tango suonato da una fisarmonica; ma tutti questi, compreso Massimo, l’hanno
fatta la storia. I Miles ed i Trane, senza tutti i precedenti, senza i loro partners e senza tutti noi, non
avrebbero potuto cambiare proprio niente.
È
una questione di ruoli, e tutti sono ugualmente importanti: le storie ed i suoi
cambiamenti. Un infinito mosaico di sfumature umane che lentamente si muovono,
è un equilibrio della natura dove un leone non può vivere senza una gazzella, o
un insetto senza i fiori.
Purtroppo
nel nostro ambiente c’è sempre stata fretta di etichettare, di catalogare, di
giudicare, di dare un marchio fin dalla prima nota, senza più mutarlo,
continuando a fare abbinamenti e paragoni. Tutto questo non è certo uno stimolo
alla ricerca e alla creatività. Se tutti noi, musicisti, critici, discografici,
pensassimo di più alle cose essenziali della musica e quindi della vita, che
non sono quasi mai chiare da subito, stimolandoci di più con la fiducia anziché
con il giudizio; se fossimo meno ansiosi, più umili, più rispettosi delle
sfumature e delle fatiche di ognuno di noi; se ascoltassimo con gli occhi, le
orecchie, la pancia e tutti i sensi, forse ci sarebbero più stili, più
innovazioni, più lavoro e meno frustrazioni. Tornando a Massimo, credo che il
suo problema non fosse in nessun caso di tipo musicale, ma di tipo strutturale,
psicologico.
Luigi Bonafede, da “L’Avanguardia
è nei sentimenti – Vita, morte, Musica di Massimo Urbani” a cura di Carola
De Scipio – stampa alternativa 1999
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Credits:
Five For Jazz
Label: SPLASC(H)
Catalog#: CD HP 01.2
Format: CD
Country: Italy
Recorded
Catalog#: CD HP 01.2
Format: CD
Country: Italy
Recorded
May 1984, (tracks 1 to 4),
July 1984 (tracks 5 to 7)
Massimo Urbani (alto sax),
Pietro Tonolo (tenor sax),
Luigi Bonafede (piano & leader),
Piero Leveratto (bass),
Paolo Pellegatti (drums)
Tracklisting:
1) Ca’Nova - 16:16
2) Marisa - 3:21
3) Samba Swing - 18:47
4) For Larry - 11:31
(dedicated to the great tenorman Larry Nocella)
1) Lorella - 2:34
2) Atmosfera - 10:34
3) Locomotiva - 6:33
grazie, veramente molto bello. Uno dei titoli mi fa venire in mente il grande Larry Nocella... ricordo di aver ascoltato da ragazzo un suo lp per la Red e Brother man a nome di Pillot - Farmer, erano tra gli lp che mi aveva prestato un amico i miei preferiti, insieme al secondo dei Nexus, ora assolutamente introvabile. Un ricordo personale su Max.. andai in un jazz club per ascoltarlo, ma lui purtroppo non si fece vedere... grande delusione, ma lui era fatto anche così. Saluti
RispondiEliminaAlessandro
Ancora grazie per queste perle di/con Urbani. Non so come farei senza questo blog.
RispondiEliminaIo questo disco, come tutti gli altri splasc(h) di massimo e sud di schiano, ce l'ho in CD.
RispondiEliminama sono andati fuori catalogo?