Nel
numero ancora in edicola di Musica Jazz, ci sono due articoli su Chet Baker
che, attraverso la ricorrenza dei venticinque anni trascorsi dalla sua
scomparsa, approfondiscono alcuni aspetti e tratteggiano un nuovo ricordo del trombettista di Yale.
Il
primo, a firma di Gian Mario Maletto, ricostruisce in una manciata di pagine la
vita, la carriera e le sue registrazioni dagli esordi agli anni Settanta,
ripercorrendo anche le tragiche situazioni che hanno affollato la sua vita
pubblica e travolto quella privata.
Un
ritratto dovuto, specialmente nel funesto anniversario, ma che non aggiunge
molto al già noto e che, soprattutto, non genera quesiti e nuove curiosità,
almeno tra i vecchi patiti di Chet,
se non nella diretta domanda: quanti ascoltavano sul serio il suo jazz?
Ma
sul secondo articolo, dal titolo “CB in Italia – L’Ultimo Chorus” a firma di
Luciano Viotto, appassionato jazz fan e compilatore di diverse discografie, tra
cui una delle prime sulla musica del divino Miles autoprodotta nel 1989, si
trovano invece diversi spunti di ragionamento e non poche affermazioni utili a
stimolare nuove ricerche, per fare almeno luce su alcuni aspetti tralasciati
precedentemente sulla storia di questo musicista che, se alcuni non riescono
davvero a considerarlo tra i più grandi e geniali di questa musica, è stato
indubbiamente uno tra i più ispirati ed irripetibili autori del jazz, «in grado di coniugare una sofferta poetica
ad un lirismo assoluto»
Ad
esempio, Luciano inizia ad analizzare il rapporto di Baker con l’Italia, che fu
il tema dell’ampia monografia scritta da Salvatore G. Biamonte, sempre per i
tipi di MJ nel ’94, chiedendosi come sia maturato oltre le motivazioni di natura artistica, passando attraverso i
tanti rapporti umani che, solo in parte, sono stato raccolti nel libro di Paola
Boncompagni e Aldo Lastella (Stampa Alternativa 1991).
Oppure
accenna al fatto che la bibliografia disponibile non sia propriamente
esaustiva, dal momento che non approfondisce e collega le tante fonti
ordinarie, orali e documentarie, come le lettere o gli articoli dei quotidiani,
per tentare di coprire alcune lacune nella biografia bakeriana e, anzi, creando
a volte una cronologica confusione.
.
E
ancora Viotto si chiede quanto la facilità di trattare Chet Baker come
un’icona, come nel voluminoso libro di James Gavin (B&C Dalai 2004), abbia
offuscato la sincera ricerca musicale o sminuito l’analisi degli altri interessi
culturali dell’uomo Baker.
.
Infine,
è impossibile non toccare il versante discografico, sterminato e, per alcuni,
gonfiato a dismisura dopo la sua morte, come ebbe a raccontare Giuseppe
Piacentino nell’articolo “Il Caso CB: Un Mercato Impazzito”, pubblicato su MJ
nel 1990.
Quest’ultimo,
è uno dei due temi che da anni cerco di ordinare in maniera il più possibile
esaustiva anche io, insieme alla tesi che c’è un rapporto tra i diversi momenti
musicali di Baker ed i differenti tipi di sostanze allucinogene che abitavano il suo corpo. Perché della droga e
di Chet se ne parla da sempre, ma solo come fatto di costume e di bieco indirizzo
morale, con i magazines che s’inventavano il titolo più a effetto possibile,
tipo “Il Veleno del Jazz” (Il Reporter 36 – 1960), oppure “La Magica Tromba di CB è Caduta
nella Fossa delle Vipere” (Il Tirreno – 1960), come “CB: Storia di Dolore”
(Down Beat – 1964) o “La Paura
mi Aspetta alla Porta” (L’Europeo – 1961), fino ad “Amici Italiani Aiutatemi
Voi” (Novella 35 – 1963)…
Nessuno,
invece, ha mai indagato sul possibile eco degli effetti delle sostanze
predilette da Chet e la sua musica, sulla sua particolare concezione del tempo, sempre così preciso e
puntuale sull’aspetto ritmico e, allo stesso tempo, così dilatato sull’aspetto
percettivo. Ad esempio, si sa che Baker scoprì tardi lo speedball, mix di
coca&ero e, secondo me, tutta la sua musica dalla fine dei Settanta in poi
è caratterizzata da questo swingante passare da un’oppiacea sensazione, al suo
anfetaminico opposto.
.
Oppure,
provate ad ascoltare la colonna sonora del film/documentario di Bruce Weber,
frutto di una produzione da star (qui si parla di 200.000$ per Chet, molto più
di quanto lui incassasse in un intero anno di estenuanti tours)… dopo che per
anni CB si era adattato a suonare ed incidere per un paio di centoni a sera ed
a sopportare il tutto con quello che
trovava al volo in un qualsiasi vicolo nei pressi del club, pochi istanti prima
del set… in questo caso, invece, niente surrogati, ma ero e coca di prima
qualità, e si sente!
Ma
questo, forse, è solo il mio trip, ed è ancora troppo embrionale rispetto al
primo tema, cioè fare ordine nella sterminata discografia, per cui torniamo là.
Ad
esempio c’è quest’album a nome del Chet Baker Quartet, edito per una oscura
etichetta svedese nel 1988 e poi ristampato dalla Moon nel ’90 (MLP 026-1), che
sembra essere stato registrato dal vivo al Music Inn di Roma, genericamente nel
1976.
Dico
sembra perché Mario Luzzi, recensendo il
disco su MJ nel maggio ’89, mise in dubbio il fatto che Isla Eckinger, uno dei
bassisti prediletti da Chet in quel periodo, fosse mai venuto a Roma, al Music
Inn, in quell’anno.
.
Il
1976 è un anno importante per Baker, che ha 46 anni, perchè segue il suo
secondo ritorno sulle scene europee (la prima lunga assenza fu dopo il processo
di Lucca), avvenuto al Festival di Pescara, il 14 luglio 1975, dopo la
leggendaria storia del pestaggio e della conseguente rottura dei denti.
La continua presenza di Baker nel locale di Largo dei Fiorentini in quel ‘76, è cosa certa: è stato più volte raccontato che Pepito Pignatelli affidò la direzione del Music Inn proprio al trombettista in quell’estate romana.
E
le cronache disponibili, come ad esempio la pagina locale degli spettacoli de l’Unità,
riportano nello specifico il Chet Baker Quartet dal 2 al 30 luglio 1976 al
Music Inn, con il fedele Jacques Peltzer al flauto, ma con Roberto Della Grotta
al basso, e con Hal Galper al piano (anche se nel trafiletto leggiamo di un
fantomatico H. Gelter - sic - al
piano).
.
Certamente
Isla Eckinger era presente alla registrazione del disco, dato alle stampe con il
titolo “Deep In A Dream Of You“, in quanto nominato da Baker stesso nella
presentazione del quartetto al pubblico del club, impressa sul vinile, ma il
dubbio resta nella data e nella location.
In
effetti, io il dubbio sulla location ce l’avevo prima di leggere tutta ‘stà
storia riportata da Luzzi, in quanto gli applausi del pubblico, registrati
anch’essi su disco, risultano troppo ampi per una grotta sotterranea in pietra
com’era il Music Inn.
.
Cercando
ancora sui giornali dell’epoca, questa volta sull’archivio storico de La Stampa, ho ritrovato i
componenti del quartetto, esattamente come riportati nelle note di copertina
dell’album, agli inizi dell’anno allo “Swing Club” di Torino, almeno dal 29 al
31 gennaio 1976, visto che per la data del 28 il cronista riportava al basso l’inglese
Peter Ind, che a me non risulta abbia mai suonato con Chet (ma con Gerry
Mulligan sì), ma in quella prima recensione viene anche scritto che il pianista
è Harold Stanko - sic -, al posto di
Danko.
Tornando
poi a sfogliare le pagine romane de l’Unità, ho trovato ancora i componenti del
quartetto, esattamente come riportati nelle note di copertina dell’album, al
Music Inn di Roma qualche giorno dopo i concerti di Torino: venerdi 6 e sabato
7 febbraio 1976.
.
Ma
allora Eckinger a Roma nel 1976
ha suonato o ha ragione Mario Luzzi?
il
disco è registrato al Music Inn di Roma o allo Swing di Torino?
e
quell’affascinante Chet’s Theme che comprende l’enunciazione dei componenti del
quartetto, perché non è mai stato più suonato?
Questi
quesiti m’incuriosiscono e possono nascere solo grazie all’ascolto dei cosiddetti
“bootleg”, che ancora oggi fanno
discutere e che invece offrono infinite sfumature rispetto alle incisioni
ufficiali e che trattengono per sempre l’attimo fuggente, come lo stesso Chet,
in una lucidissima intervista, raccontò allo stesso Luzzi sempre nel 1976 (MJ
Aprile).
.
«CB:
nella musica esci tutte le sere per andare a suonare. Ed è chiaro che cerchi
sempre di dare il meglio di te, anche se non sempre ti riesce. Poi succede che
suoni malissimo davanti ad un folto pubblico di un grande teatro, e poi magari
ti riesce tutto facile davanti al pubblico ristretto di un piccolo locale. E
quest’ultima esibizione bellissima rimane solo un episodio della tua vita,
rimane una cosa che soddisfa te stesso ma che non lascia traccia.
ML:
non sono d’accordo con te; è vero che non lascia una traccia materiale, un
documento, però chi ti ha ascoltato in quella serata di grazia se ne ricorderà
per sempre.
.
CB:
sì, ma questo non giova alla tua reputazione, anche perché la gente dimentica
presto. La gente ti giudica sempre dai dischi che fai, e generalmente negli
studi di registrazione non succede mai nulla di veramente valido sul piano
emotivo. Esce fuori un prodotto pulito, senza sbavature, tecnicamente perfetto
ma poco sentito. Anche se sei nelle
migliori condizioni fisiche e mentali, c’è quella atmosfera fredda, grigia, che
non ti da nessuna emozione e che non ti permette di stabilire un rapporto
diretto con chi ascolterà poi il disco. I dischi servono solo a dimostrare che
sai suonare lo strumento e che tipo di musica suoni. Tutto qui. Non riveleranno
mai i tuoi veri sentimenti.
Ho
notato che qui da voi molta gente registra la musica che si suona in concerto.
Negli Stati Uniti questo non è assolutamente permesso. Da un certo punto di
vista, questo può essere un fatto positivo, perché così resta una traccia di
quella serata. Il guaio è che queste registrazioni “pirata” vengono spesso
messe sul mercato senza che venga chiesta l’autorizzazione ai musicisti, e può
anche darsi che quella particolare registrazione ti abbia colto in una serata
nera. Non so se lo sai, ma c’è in circolazione un mio disco tratto da una jam
session svoltasi a Inglewood, in California, nel club Trade Winds, con Charlie
Parker… per quanto mi riguarda, quella registrazione, non avrebbe mai dovuto
vedere la luce, anche se Bird e Sonny Criss suonano benissimo»
.
Nel
numero ancora in edicola di Musica Jazz, ci sono due articoli su Chet Baker che
approfondiscono alcuni aspetti e tratteggiano nuove possibilità di lettura
sulla storia del musicista di Yale e, nel box di preview del numero di giugno,
la rivista annuncia un dossier su Massimo Urbani ed un CD a sorpresa.
Mi
piace!
Anch’io
da tempo tengo fermo un inedito del grande Max, in attesa di condividerlo con
voi nella giusta occasione; speriamo che la coincidenza con i tipi di MJ sia solamente negli
intenti…
.
Credits:
Label: Heart Note
Catalog#: HN 008
Format: LP
Country: Sweden
Recorded at Music Inn,
Catalog#: HN 008
Format: LP
Country: Sweden
Recorded at Music Inn,
Rome, 1976
(probably)
Chet Baker (trumpet, voc),
Jacques Peltzer (flute),
Isla Eckinger (bass),
Harold Danko (piano)
Tracklisting:
Tidal Breeze – 10:45
If You Could See Me Now –
7:38
.
Look for the Silver Lining –
7:15
Deep In A Dream Of You – 6:55
Chet’s Theme – 5:36
.
Grazie mille for sharing this gem on CB!
RispondiEliminamy best regards, K.
Grazie per questo album, davvero prezioso. Resto in attesa dell'inedito di Urbani, ora! :)
RispondiEliminaThanks for this one ! The session took place on February 1976. On this page you published my photo from Chet in Solingen 1987, but you did not ask me for permission, nore did you mention my name.
RispondiElimina@:unterhosenspeck
RispondiEliminaThank you for the clarification, very useful to the topic.
For photos, I've used various sources, mainly the book "Chet Baker in Europe," edited by Ingo Wulff and the magazine Musica Jazz.
I would have liked to quote the credits, as I have done before, but I haven't found the time.
Only one picture, however, I had foundit on the web, yours, and I published it for it's beautiful.
I don't remember the blog where I found it, but some photos of Chet in Solingen in 1987 are published in the Thorbjørn Sjøgren's discography, including one that "celebrates" the birthday of Baker, and are signed by Jürgen de Waal.
It's always you?
I can keep it in the post or do you prefer that I take it off?
grazie ciancico' per tutti questi bei regali che pubblichi...sei meraviglioso!!
RispondiEliminaUn inedito di Big Max?
Fantastico...magari un concerto al vecchio Caffè Latino dove lo incontrai per la prima volta...mi fulmino'. Il giorno dopo andai da Cherubini a Portonaccio e mi comprai uno Yamaha alto Yas 25 che ancora oggi soffio e custodisco gelosamente.
E' seduto qui al mio fianco, mi ha seguito fin qui e tu lo sai che ora vivo molto molto lontano dall'Italia. A tal proposito, tra 10 gg c'è l'inaugurazione qui del mio Blue Saxo...mi piacerebbe riabbracciarti...Ciao man...T'aspetto.
Thanks a lot for the beautiful posts.
RispondiEliminaUnfortunately side B from this one has expired....
Thanks a lot.
RispondiEliminaWonderful post!
Bell articolo. Complimenti
RispondiEliminaHI. Any chance you could re-up on Mega? Many thanks!
RispondiEliminaPlease, would you have time to reup this one ? I miss it cruelly !! In hope....
RispondiElimina