Un
complesso omogeneo ed affiatato, i due leaders
perfettamente a posto ed un’ottima ritmica colma di swing ed allo stesso tempo
contenuta con una discrezione che ne rende ancor più apprezzabile l’apporto:
questo in sintesi un giudizio definitivo sul microsolco.
Gianni
Basso ed Oscar Valdambrini sono oggi veramente tra i migliori esponenti del
jazz moderno italiano, e non da oggi soltanto: la loro carriera di jazzisti si
svolge da molti anni sul filo della modestia e della coscienziosa preparazione.
Anche la lunga consuetudine a suonare insieme – questo comprendersi istintivo,
questo completarsi a vicenda – ha certamente il suo peso e si dimostra un
coefficiente di importanza eccezionale, in quanto spiega l’altissimo standard
raggiunto dal Quintetto, che è poi la formazione stabile con la quale Basso
& Valdambrini si esibiscono abitualmente.
Ho
avuto occasione di ascoltare recentemente, durante il primo soggiorno milanese
di Chet Baker, questo complesso al circolo della Rinascente di Milano e ne ho tratto
il convincimento di trovarmi di fronte a dei musicisti che avevano saputo
trovare la loro via nel mare magnum
del jazz moderno, musicisti che sapevano esattamente quello che volevano dire e
lo dicevano con quella facilità e con quella chiarezza che è possibile solo a
chi non ha più dubbi ed incertezze. La stessa atmosfera, la stessa certezza
trovo in questo microsolco per il quale non saprei, né vorrei, usare il solito
metro di giudizio: a che servirebbe infatti citare un titolo a preferenza di un
altro, od un assolo od un arrangiamento od un solista? Tutti sono ugualmente
bravi, tutti sono ugualmente meritevoli di un attento ascolto, tutti sono allo
stesso modo e nella stessa misura necessari ed indispensabili l’uno all’altro;
in fondo son tanto pochi i buoni musicisti di jazz in Italia che par quasi
impossibile averne cinque tutti assieme in un medesimo complesso!
Il
disco è quindi assolutamente raccomandabile e costituisce un documento di
estrema importanza che fa il punto sulla situazione del jazz moderno oggi in
Italia e ci induce a sperare in cose anche migliori per l’avvenire.
Recensione
di Enzo Fresia
da
Musica Jazz n°159, gennaio 1960
Merci
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