venerdì 23 marzo 2012

JAZZiT AWARDS 2011 and the Web Vanishes


10.453 persone hanno partecipato alla seconda edizione del Poll indetto dalla rivista Jazzit.
100 migliori album, 67 categorie divise tra solisti, formazioni, industria del jazz e produzioni di CD & Libri.
3280 voci e nemmeno uno sguardo sul web.

Voi cosa ci vedete?

 .
On Air:
1) Non Dimenticar le Mie Parole
from "GOSPEL" (L'Orchestra OLP 10015 - 1977)
by Guido Mazzon (tp) and Mario Schiano (Hammond org) 
.
2) Descubrimiento del Cuarto, Quinto y Sexto Mundo
from "Partenza di Pulcinella per la Luna" (RCA Vista TPL1 1117 - 1975)
by Mario Schiano (alto sax, el. piano), 
Tommaso Vittorini (tenor sax), 
Bruno Tommaso (bass), 
Gegè Munari (drums), 
Puccio Sboto (clavietta)


14 commenti:

  1. Io ci vedo solo il fatto che i referendum non servono a un accidente, e per quanto riguarda il mensile che ho il piacere di dirigere credo che il Top Jazz volerà allegramente dalla finestra. Un conto è scegliere il miglior disco (italiano e internazionale) uscito durante l'anno, ma fare le classifiche sui singoli musicisti come se stessimo parlando di tennisti o di cavalli mi pare davvero grottesco.

    LC

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    1. Concordo pienamente. E' curiosa questa smania per la competizione in base a parametri che poi -come evidenziato dalla note polemiche sulla pagine Facebook proprio di Musica Jazz- travalicano in una meschinità che è la vera misura di certe iniziative bislacche e infantili.

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  2. Perfettamente d'accordo, anche con Luca Conti. L'utilità dei referendum e delle classifiche è alquanto limitata e limitante, ma almeno tramite iniziative di questo tipo potrebbero contribuire a far conoscere quanto di nuovo sta avvenendo sul fronte della critica e della musica. La mancanza di una sezione riguardante blog-sfera e mondo-web conferma (se mai ce ne fesse stato bisogno) dell'auto-referenzialità di queste votazioni (anche se aperte al pubblico dei lettori).

    Mi sembra piuttosto azzeccato quanto disse Coltrane a proposito del pericolo dell'auto-compiacimento nel mondo del jazz: "Il jazz è come una scoreggia, piace solo a chi la fa".

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    1. Abbiate pazienza se faccio una domanda irrilevante come è mio costume. Quale è la fonte della citazione di Coltrane? Io non l'ho mai letta in nessuna delle sue interviste nè vista citata in nessuno degli articoli su di lui, ma può essermi sfuggita. Conoscendo il tono con cui parlava mi sembrerebbe assai fuori tono. Potresti dirmi da dove viene?

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    2. mi sono risposto da solo. E' una battuta di Fiorello quando faceva Enrico Fava in televisione, che il nostro esimio commentatore ha Ilario Rozen ha preso sul serio e seriosamente cita. Complimenti per la sensibilità.

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    3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    4. In effetti ho peccato di mancanza di precisione: la battuta citata viene attribuita a Coltrane. Ne 'Il Corpo Sonoro' (Il Mulino, 2007) Davide Sparti afferma: "A Coltane viene anche attribuita una battuta, probabilmente falsa ma perfettamente riferibile al cattivo jazz (e ad un certo modo di fraintendere le tesi qui proposte), secondo cui il jazz è come una scoreggia:piace solo a chi lo fa." Davide Sparti, Il Corpo Sonoro - Oralità e Scrittura nel Jazz, Il Mulino, 2007, pag. 114 nota 23.

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  3. Bene Luca, questa è una notizia confortante ed una scelta coraggiosa!
    Sappiamo tutti che le gare, i punteggi ed i premi sono strumenti autoreferenziali di un'industria che fagocita se stessa: il contest non più come elemento stimolante e ambiente creativo, ma mera vetrina commerciale; il marketing non più come leva di diffusione ed informazione, ma come contenuto prìncipe...

    semmai, è un'indagine sul "clima", una mappatura dei "satelliti musicali", una connessione tra i diversi linguaggi critici che potrebbero apportare una qualche utilità per, come dici tu su Mondo Jazz, non scomparire.
    E questo, a mio modestissimo parere, sulla carta stampata è ancora al di là da venire.

    E quì torniamo al tema:
    che ruolo gioca il web in tutto questo?
    se le possibilità comparative sono ancora da esplorare, la multimedialità, almeno dei contenuti se non delle forme, potrebbe essere ambito di discussione. Nella rete l'attualità, l'approfondimento filologico, l'immensità delle informazioni, la salvaguardia della memoria storica, l'ascolto e, soprattutto, la condivisione in tempo reale dei temi, sono già una realtà, totalmente slegata dall'industria discografica, palesemente pura, anche se con i limiti di "dilettantesca passione".

    Le riviste, invece, pur se formate da professionisti, si autoimpongono spesso i propri stessi limiti, sempre più dettati dai criteri dei bilanci, dai poteri dell'industria, se non dalle barriere mentali dei propri direttori.
    E' una curiosa coincidenza l'apparire di Tim Berne sia su MJ che JiT dello stesso mese, o è la risultante di un ottimo lavoro di marketing curato dalla ECM?
    Tempo fa ho condiviso una serie di mail tra me, Paolo Piangiarelli e Luciano Vanni, dove il patron della Philology proponeva a Jazzit un testo su Charlie Parker, scaturito da una mia intervista a Paolo. Vanni dimostrò il suo interesse, ma specificò che occorreva trovare un gancio d'attualità, o almeno una ricorrenza per parlare di Bird. Come potete immaginare, se conoscete Paolo, Piangiarelli specificò che per lui Parker era come se fosse ancora vivo, tale la passione che ripone nella sua musica e tutto sfumò con un "BIRD E' ANCORA ATTUALE!!!!!"

    Insomma, mi auguro che davvero serriamo le fila, tu aspettati una valanga di lettere e/o proposte, e che un giorno ci daremo tutti da fare per esplorare, e condividere, nuove forme di lettura che facciano uscire dallo stagno culturale la letteratura musicale del nostro paese.

    Intanto buon lavoro!

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  4. cari tutti, buona giornata.
    innanzitutto complimenti per questo spazio di riflessione.
    offro il mio punto di vista, in quanto coinvolto in questi post.

    1. JAZZIT AWARDS | All'interno dei JAZZIT AWARDS 2011 abbiamo tolto la categoria "web / blog" perché ci vedeva coinvolti con jazzit.it. Ho compiuto una scelta simile eliminando la categoria "miglior articolo", "miglior giornalista" e "miglior rivista" per evitare un evidente conflitto di interessi. Insomma, abbiamo voluto togliere spiacevoli e inutili fraintendimenti. Nell'edizione 2010, come ben sapete, la categoria "web" era presente, a testimonianza di quanto riteniamo importante e utile l'informazione delle webzine e dei blog.

    2. QUESTIONE REFERENDUM | Penso che in ambito musicale, artistico e culturale le classifiche abbiano pochissimo senso. I JAZZIT AWARDS hanno una doppia identità, la selezione dei lettori (readers poll) e la selezione della redazione (critics poll). La redazione di JAZZIT non si è espressa attraverso numeri: abbiamo selezionato le 100 produzioni discografiche dell'anno per noi più significative, presentandole in ordine alfabetico.
    Abbiamo poi deciso di coinvolgere la comunità jazzistica - fino ad oggi semplice spettatrice dei commenti e dei giudizi di un ristretto gruppo di giornalisti - offrendo loro l'opportunità di esprimersi liberamente su di un anno di jazz, dall'Italia e dall'estero: la partecipazione di oltre diecimila nostri lettori (appassionati, musicisti e operatori del settore) è stata la dimostrazione più evidente del loro desiderio di partecipazione. I risultati vanno letti per ciò che sono, ovvero "un umore popolare". Penso che aver offerto questa opportunità al pubblico sia la testimonianza del nostro desiderio di aprirsi a nuovi e diversi punti di vista.

    3. QUESTIONE PARKER e JAZZIT | Certo che Charlie Parker è attuale, come lo sono tantissimi maestri che hanno attraversato la storia del jazz. JAZZIT è l'unica rivista al mondo ad offrire, in ogni suo numero, oltre sessanta pagine (per un totale di 130.000 caratteri) ad un musicista, approfondimenti che assomigliano più a libri monografici che non a semplici servizi. La storia del jazz è sempre fonte d'interesse e lo dimostrano le ampie monografie dedicate a Paul Desmond, Django Reinhardt, Freddie Hubbard o gli approfondimenti offerti a Benny Goodman, Dizzy Gillespie, Clifford Brown e Sidney Bechet. In ciascuna di queste circostanze abbiamo cercato di mettere in pagina un servizio legato all'attualità, sia essa un anniversario o una commemorazione. Giusto o sbagliato che sia, questa scelta fa parte della nostra linea editoriale.

    [segue]

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  5. 4. I LIMITI DELL'INFORMAZIONE | Quando si pubblica ci si espone a critiche: è il bello e l'affascinante del nostro lavoro. Voglio che un aspetto sia però chiaro e definitivo: nessuna decisione del sottoscritto, editore e direttore di JAZZIT, è stata presa in funzione dei "poteri dell'industria". Mai e poi mai. Le copertine di JAZZIT, ad esempio, non sono mai state legate a fenomeni di moda, a star del firmamento di poco valore artistico o ad artisti pop rock. Si critichi JAZZIT, il mio modo di scrivere e la qualità di un testo pubblicato ma non accetto che si metta in discussione la nostra più totale indipendenza editoriale e l'eticità del nostro approccio professionale. Non ho mai fatto scelte concilianti, questo sia chiaro.

    5. TIM BERNE | JAZZIT riceve oltre sessanta produzioni discografiche a settimana. Non c'è cd (ad eccezione dei promo, che non vengono mai analizzati) che non sia ascoltato, siano produzioni discografiche di major o autoproduzioni, di star o esordienti: in funzione del loro interesse selezioniamo quelli che dovranno essere analizzati sulle nostre pagine. L'ECM ci invia costantemente i suoi cd così come fanno altre label. Nel caso specifico, il più recente album di Tim Berne è sembrato interessante e degno di considerazione ed è stato inviato ad un nostro redattore. Non abbiamo ricevuto alcuna scheda informativa dell'album e nessuna chiamata da parte di uffici marketing, distributori e produttori. E' stata una scelta del sottoscritto quella di mettere in pagina il servizio.

    Scusate dello spazio che vi ho preso. Auguro il meglio a questo blog e al neo direttore di Musica Jazz, Luca Conti. Più siamo meglio è.

    Belle cose,
    Luciano Vanni

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  6. Diciamo che se, nel caso di Tim Berne, un «ottimo lavoro di marketing» c'è stato, è in larga parte merito del sottoscritto che, in maniera del tutto autonome, ha chiesto a ECM di poterlo intervistare e ha proposto di dedicargli la copertina. Questo perché chi vi scrive conosce a menadito, e apprezza, la musica di Berne fin dal lontano 1979, e per capire che è roba buona non ha certo bisogno delle imbeccate della casa discografica di turno.

    Diciamo che, in 11 anni di direzione del mio predecessore, Berne una copertina di Musica Jazz non l'ha avuta mai (forse una all'epoca di Claudio Sessa, ma adesso non ricordo). Scelta perfettamente legittima, ma io ho altre idee e quelle cerco di portare avanti in totale autonomia di giudizio.

    Diciamo che la copertina dedicata a Berne ha anche sortito alcuni effetti non certo disprezzabili, come la buona vendita del cd in questione (che non contiene certo musica di facilissimo ascolto) e un paio di concerti italiani.

    Diciamo che non mi ci sarebbe voluto niente a dare la copertina a Esperanza Spalding, Youn Sun Nah, Melody Gardot, Norah Jones o chi volete voi. Metterci il faccione di Berne mi pare una scelta azzardata che, forse, varrebbe la pena incoraggiare evitando di alimentare la cultura del sospetto. In sintesi: ho bisogno della sollecitazione di ECM per capire che il disco di Berne è, a mio avviso e di chi ne ha scritto sulla rivista, particolarmente buono? Ma chi se ne frega, lo so benissimo da solo così come da solo sono perfettamente in grado di decidere se dedicargli la copertina o no.

    Diciamo che Musica Jazz è stata l'unica rivista del mondo a dare la copertina a Berne. Le altre, nel frattempo, stavano dietro alla Spalding, agli EST, a Robert Glasper e a valanghe di altra roba, questa sì teleguidata dagli uffici marketing delle etichette. Vorrà pur dire qualcosa.

    Diciamo che, per quanto riguarda la conservazione della memoria storica del jazz, basta sfogliare i miei primi due numeri da direttore (e il terzo in arrivo) per capire che si tratta di una delle mie preoccupazioni principali. Anche a me piacerebbe tanto rimettere a disposizione dei lettori le grandi pagine dimenticate del jazz italiano, per dirne una, ma non posso certo permettermi di pubblicare sulla rivista o sul sito i link per scaricare i file, per banalissime ma tuttora esistenti questioni di diritti (che sono comunque obbligato a rispettare). Vedremo a breve il da farsi, anche in base a trattative che stiamo portando avanti con certe etichette, ma ci vuole tempo e pazienza.

    Ricambio i cuore i saluti e gli auguri a Luciano Vanni.
    LC

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  7. Ragazzi, intanto grazie per aver condiviso il vostro tempo, ed i vostri pensieri, su questo piccolo spazio.

    Quando inventeremo un “aggeggio” che permetterà di sentire i toni nelle conversazioni scritte, allora la scrittura potrà assumere a ruolo di vera comunicazione, altrimenti il fraintendimento resta latente, dietro ogni macigno sottoforma di parola.

    Mi spiego:
    io non ho mai messo in dubbio la vostra etica personale, non vi conosco abbastanza e, in ogni caso, non me lo sarei mai permesso perché ritengo che, in fatto di scelte, ognuno deve essere libero di fare quelle a lui più congeniali, senza confini morali.

    È ovvio che poi se ne deve assumere le conseguenze e, in fatto di critica, oggettivamente, il discorso potrebbe non chiudersi mai:
    «una critica degna di questo nome deve essere innanzitutto un’autocritica. Deve conoscere i propri postulati per rivendicare le proprie certezze. In ciò consiste il suo rigore che non è affatto rigido: essa sa dove va, cosa cerca e la direzione nella quale cercare. Conosce i propri limiti e sa che le sue chiarificazioni non saranno mai una delucidazione totale. Sa di essere una dialettica vivente, dunque incompiuta». – Serge Doubrovsky

    Sulla scelta simultanea di parlare dello stesso disco, appena uscito, da come dite voi ho preso un abbaglio e non ho difficoltà ad ammetterlo, anzi ne sono contento dal momento che restate i direttori delle uniche due testate che aspetto in edicola con trepidazione. Tra l’altro, il fatto che fosse il prodotto di un musicista poco digerito dalla massa, avrebbe dovuto farmi essere più cauto, ma tant’è…

    Ma, tornando al tema, il fatto è che ho un’idea forse più romantica della critica, con la speranza cioè che essa anticipi e traini le scelte del mercato stesso e non segua pedissequamente le vie dei produttori, anche di quelli più illuminati o che hanno lasciato una traccia precisa nella storia, com’è per Manfred Eicher.

    Ho bisogno di una critica che metta curiosità, spingendomi a guardare oltre la tela del quadro che mi si presenta davanti, una critica che non sia, per dirla alla Barthes, "una verifica del corretto o coerente uso di un sistema di segni, che si esercita solo sui significanti ma non sui significati, un metalinguaggio che ha per oggetto un altro linguaggio". No, io piccolo lettore appassionato, ho bisogno di "un critico che non si trovi di fronte all’opera come lo scienziato di fronte ad un oggetto; ma interroghi l’opera come l’Apparizione di un Altro, in una relazione di partecipante", per dirla ancora con Doubrovsky.

    Magari sono io che in questo periodo sono fuori sincrono, ma ogni tanto, mentre leggo alcune recensioni e/o interviste, mi sembra come quando ho provato a leggere due o tre romanzi di Montalbano: fatti bene, curati nella forma, strutturalmente funzionali, ma uno vale l’altro, tanto sembrano riflettere in un gioco di specchi, la stessa superficie formale. Non mi resta un ricordo, non mi sprona a cercare, non mi fa provare nient’altro che il racconto preciso di tutto.

    « Oggi la critica deve essere militante. Il critico ha il dovere di buttarsi nella mischia con lo stesso ardore con cui si butta l’artista, con la stessa spregiudicatezza e perfino con la stessa fantasia e libertà ». – Alberto Rodriguez

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  8. Aggiungo qualche risposta obbligata, a parte, perchè non vorrei tediarvi:

    1) Scambio.
    La necessità di dialogo aperto tiene in vita le comunità, ci fa crescere e ci permette di conoscerci meglio, come ci ricorda Mondo Jazz col suo esauriente riepilogo. Grazie ancora per partecipare.

    2) Web.
    Un conto è scegliere di eliminare la miglior rivista in un panorama dove ce ne sono giusto un paio, caro Luciano, tutt’altra cosa è cancellare le decine di web-log dal panorama, solo perché anche l’autore (o la redazione) ce ne ha uno. Il conflitto d’interessi è una cosa seria, anche se in questo paese non sembra, e quest’eccessiva e zelante scelta la rispetto, ma ancora non la comprendo.

    3) Sospetto.
    Sono nato nel 1969, da genitori che nel ’68 avevano 20 e 24 anni. Il sospetto non appartiene proprio alla mia cultura Luca, se non per averlo subìto e, of course, per averne pagato le conseguenze. Semmai è la forza di andare al sodo ed il coraggio delle proprie scelte che mi è stato insegnato, tanto quanto il fatto che la coerenza non è sempre un pregio: a volte cambiare idea fa bene.

    4) Jazz from Italy.
    Se tutto il discorso che porto avanti da anni su questo spazio, e lo stesso si potrebbe dire per altri compagni nella rete, lo riduciamo ad un mero downloading di file, allora vuol dire che dovremmo ricominciare tutto daccapo. Per le banalissime ma esistenti leggi sul diritto privato, come dici tu, nessuno di noi potrebbe permetterselo, lo sai, ma rischiamo ogni giorno, ed ogni giorno infatti qualcuno viene chiuso, con una perdita di memoria che dovrebbe appartenere alla collettività.

    Eppure, da qualche parte si deve pur cominciare, e la vostra disponibilità all'ascolto, il vostro prezioso lavoro e le vostre sincere risposte confermano che un futuro c'è nella vitalità di questa comunità di appassionati.
    Bisogna solo dotarlo di nuovi strumenti.

    Certo di aver ancora la possibilità di un reciproco scambio di opinioni, vi auguro buon lavoro!

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  9. Non conoscevo Tim Berne e ho provato ad ascoltare qualcosa.
    Una musica di un livello di complessità veramente notevole.
    Questa è la vera magia del jazz, il fatto che riesce a far convivere artisti con un linguaggio immediato come può essere un bluesman a personaggi che hanno un cervello paragonabile a Boulez.
    Un lavoro di divulgazione e di arricchimento per l'ascoltatore che il mondo europeo ha dimenticato da decenni.
    Se non fosse stato per un disco come In a silent way, che ora faccio fatica ad ascoltare non sarei mai arrivato a Anton Webern, tramite il ponte Eric Dolphy.

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