Per me il jazz deve essere ascoltato LIVE, dice sempre un mio carissimo amico e, in fondo, questo suo pensiero nasconde una verità.
E sì, perché l’atmosfera raccolta del club, l’impatto emotivo dell’improvvisazione, la vicinanza con gli strumenti e con le loro infinite sfumature tecniche, la performance fisicamente coinvolgente degli artisti, l’ascolto collettivo in cui si condivide energia, raccoglimento e sorpresa, fanno del live la condizione ideale per ascoltare la musica, in special modo quella che chiamiamo jazz, per la sua mutevole essenza e per la sua originalissima personalità.
Certo, pensare che il jazz sia musica da ascoltare esclusivamente dal vivo è una visione un po’ bohèmienne, e rappresenta solo in parte la verità dell’esperienza musicale ed il significato di questa musica. Perché se è vero che nella contemporaneità dell’evento questa musica si mostra in tutta la sua bellezza e potenzialità, è anche vero che l’ascolto limitato alle umane possibilità temporali e geografiche, taglierebbe fuori tutto quello che non ci è possibile sentire di persona.
Pensate a come sarebbe oggi composta la nostra esperienza musicale senza la possibilità di aver mai ascoltato registrazioni come il Jazz at Massey Hall del leggendario “The Quintet” del 1953, uno qualsiasi dei live di Lester Young, il bellissimo Duke Ellington live at Newport del ‘56, i tantissimi concerti registrati al Village Vanguard da Coltrane, Rollins, Monk, o Bill Evans, il The Complete Concert del 1964 di Miles Davis (part 1; part 2), Mingus at Antibes, una qualsiasi serata al Birdland, Ornette con gli amici a Parigi nel 1971… e potrei continuare all’infinito.
Per molti jazzisti il live può essere un’occasione per arrotondare lo stipendio, per altri anche solo pura routine ma per i grandi, suonare ogni giorno è più come un carnet de route della propria esperienza musicale.
Chet Baker, in questo, è stato tra i più grandi.
E’ risaputo che della sua corposa discografia, più della metà delle incisioni sono state realizzate negli ultimi quindici anni della sua vita, molto spesso in piccoli club, dove la sua musica è stata frequentemente registrata.
Di questi ultimi anni, musicalmente frenetici, la maggior parte Baker l’ha trascorsa in Europa, luogo che conosceva dal 1955, quando fece il suo primo tour fuori dagli USA con Dick Twardzik. Successivamente, dal 1959 al 1962, Baker restò a lungo in Italia, incidendo a Milano, come si sa, con Gianni Basso, Renato Sellani, Glauco Masetti e Franco Cerri, poi con gli archi aggiunti, poi venne a Roma e registrò prima con Piero Umiliani ed infine con Amedeo Tommasi. In mezzo un po’ di cliniche per tentare di disintossicarsi, Villa Turro a Milano, una a Monza e la Santa Zita di Lucca, il famigerato arresto al distributore di San Concordio ed il più famoso dei processi.
Ma è dal 1975 che la sua presenza divenne assidua in Europa, fino alla sua scomparsa, quell’ultimo volo dalla finestra del Prins Hendrik Hotel di Amsterdam, guarda caso anch’essa avvenuta nel piccolo continente a nord del Mediterraneo. La frequentazione europea di Chet Baker inizia con il suo ritorno sulle scene, dopo quell’altra famosa leggenda che, nel 1968, vede Baker picchiato da misteriosi assalitori che gli ruppero tutti i denti superiori, lasciandolo impossibilitato ad esercitare la sua musica.
Molti sono i documenti “ufficiali” delle sue performance europee dal vivo, cioè quelle organizzate e, di conseguenza, inseriti nella discografia autorizzata, ma molti di più sono quelli che i tanti fans di Baker hanno documentato con passione in giro per il mondo.
Per esempio, anche il primo concerto dopo il suo ritorno alla scene è un cosiddetto bootleg, che cattura due tracce suonate dal Chet Baker quartet al Festival di Pescara del 14 luglio 1975, e pubblicato postumo per la Philology di Paolo Piangiarelli, e con questo LIVE si potrebbe aprire un lungo discorso sulla differenza tra “Piracy and Bootlegging”, registrazioni pirate e bootleg, perché per molti, forse anche per via del termine inglese che, come al solito, assume più significati, sono un po’ la stessa cosa.
Ed invece dovremmo imparare a distinguere i due aspetti delle registrazioni “unofficial”, perché se per pirate possiamo intendere le copie di una registrazione edita da qualcuno più spesso in studio, e distribuite illegalmente da qualcun altro (e qui si potrebbe aprire un altro lunghissimo dibattito su chi è il pirata nella storia dei diritti artistici), per bootleg s’intende la registrazione non pianificata di un concerto o di una trasmissione radio televisiva.
Nel caso di Chet Baker sarebbe difficile capire quali sono da includere tra gli “autorizzati” e quali no vista la facilità con cui firmava contratti, la mania di essere pagato in contanti e la sua necessità quotidiana di “pagarsi il pane” suonando e, dal suo comportamento, non sembra che lui se ne interessasse poi tanto.
“I work for a lot less than some people, but then I work a lot more”, diceva Chet.
Semmai, chi tenta da sempre di proteggere la proprietà della sua sterminata discografia, sono i proprietari dei diritti, cioè i produttori ed i familiari, che da Baker vivo hanno avuto solo sporadici e necessari contatti, ed ora rivendicano con forza la genealogia della loro economia.
Tra i tantissimi live di Mr CB, ce n’è una serie voluta e documentata da Rudolf Kreis, proprietario della CIRCLE Records, registrata tra Colonia e Parigi dal 1980 al 1981 che, da cinque giorni di concerti, spesso di tre lunghi set, ha tirato fuori la bellezza di otto Long Playing, tutt’ora preziosi e ricercati, nonostante più volte ristampati in piccole tirature, anch’esse all’oscuro di Kreis.
Probabilmente questi LIVE sono solo un’istantanea di quei momenti e, tecnicamente, non suonano bene come quelli registrati dalla danese SteepleChase, che da un concerto del 4 ottobre 1979 ha stampato ben tre dischi, ma offrono ancora un punto di vista unico e la possibilità di ascoltare, se la fantasia non ci permette di assistere, ad alcune serate in compagnia di Chet Baker.
Riprendiamo da qui.
“Il linguaggio della musica è uno, ed è quello dell’anima, là dove le parole ci ingannano con i loro mille significati. È libera di volare in paradiso, di scendere nelle viscere dell’inferno o di starsene a galleggiare nel limbo.
Io amo quei musicisti che cantano, scrivono e suonano ogni nota come se fosse la loro ultima”
Dalla lettera di Luca Flores a Peppo Spagnoli, del 16 ottobre 1990
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Credits:
Chet Baker Quartet
Live at the Subway Club
"In Your Own Sweet Way"
"In Your Own Sweet Way"
_ First Set _
Label: CIRCLE Records
Catalog #: RK 22380/26
Country: West Germany
Format: LP
Recorded at Subway Club,
in Cologne 1980, March 22
Chet Baker (tp),
Dennis Luxion (p),
Nicola Stilo (fl),
Riccardo Del Fra (bass)
Tracklisting:
Side One
1) Intro by Chet Baker – 0:40
2) No Ties – 26:51
1) In Your Own Sweet Way – 16:05
2) Old Devil Moon – 15:57
Sto ascoltando questo disco favoloso proprio adesso. Grazie davvero, è proprio notevole.
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