«Mi
scrisse un organizzatore da Torino. Ero interessato a fare una tournée in
Italia? Un paio si settimane. Niente di che. Qualche club, un paio di piccoli
teatri, una discoteca. Sì, ero interessato. Avrei portato un quartetto con
Bruce Johnson e Chip White, chitarra e batteria. Al basso avrei chiesto al mio
amico Melis di prendersi un paio di settimane di vacanza dal lavoro. Bruce, un
po' più piccolo di me, tracagnotto, ma tosto che più tosto non si può, era uno
strano miscuglio di forza fisica, violenza ed estrema sensibilità. Nero, era
cresciuto in mezzo alle gang dei sobborghi newyorchesi e ne era uscito vivo.
Eccellente chitarrista, tutti i lunedì suonava nell'orchestra di Gil Evans, che
aveva di lui la massima stima. Si era anche fatto una cultura da autodidatta
leggendo i testi più disparati: letteratura, saggi, trattati di filosofia. Una
persona veramente notevole. Eravamo diventati molto amici. Per un certo periodo
forse è stato il mio miglior amico in città. L'unico problema era che si poteva
accendere come un fiammifero non appena percepiva, anche a torto, un vaghissimo
accenno di aggressività nei suoi confronti. A quel punto perdeva il controllo.
Quando vedevo la cornea dei suoi occhi arrossarsi, eccolo là, mi dicevo, si
salvi chi può. [...]
La
prima sera a Torino allo Swing Club c'era una folla da non credersi. I
giornali, “La Stampa "
in testa, avevano presentato l'evento come qualcosa di eccezionale e la gente
aveva risposto. Marcello e i ragazzi s'intendevano perfettamente e tra lui e
Bruce era nata immediatamente una grande amicizia. La musica funzionava e ci
divertivamo come matti. Avevo scritto dei temi semplici, difficili da
dimenticare, che fornivano un'ottima base per le nostre improvvisazioni. Niente
arrangiamenti, ciascuno doveva trovarsi il suo spazio. Un po' come se avessimo
dovuto dipingere collettivamente una parete. Ognuno aggiungeva o toglieva
quello che era necessario. Un po' il metodo che ancora oggi applico ancora alla
mia musica e che mi permette di non fare mai un concerto uguale all'altro.
Prima della fine del tour incidemmo per la Fonit Cetra il primo
disco a mio nome: Il Giro del Giorno in
80 Mondi. Le cose erano andate così bene che da subito gli organizzatori si
misero a lavorare per un tour molto più intenso per l'anno seguente»
«Per
il mio secondo giro in Italia avevo cambiato alcune cose. Tanto per cominciare
Marcello Melis non ci sarebbe stato perché in missione per lavoro. Inoltre,
avevo conosciuto un giovane chitarrista che si avvicinava molto più di Bruce
Johnson al sound che avevo in mente. Avevamo fatto insieme parecchie serate in
club, senza contare le jam session. Si chiamava John Abercrombie ed era sul
punto di diventare uno dei maggiori chitarristi del suo tempo. Subiva ancora
molto l'influenza di John McLaughlin, ma se ne sarebbe liberato nel giro di
pochissimo tempo. Mi dispiaceva però lasciare a casa Bruce. Alla fine, con una
di quelle non decisioni alla Ponzio Pilato, decisi di portarli entrambi. Si
sarebbero alternati alla chitarra ed al basso elettrico.
Si
parte da Milano, al Jazz Power. Era un bellissimo club, molto grande, al primo
piano di un palazzo in Piazza del Duomo. La musica era molto più elettrica
dell'anno precedente, anche se l'idea più o meno era la stessa. Avevo pascato
nel repertorio di Uña Ramos un brano della tradizione boliviana, Katcharpari, e gli avevo dato un sound
molto contemporaneo. C'era sicuramente parecchio del Miles elettrico in quello
che facevamo, ma riascoltandolo ora mi accorgo che la musica era abbastanza
originale. Il Jazz Power pieno come un uovo era decisamente uno spettacolo. La
prima sera venne il critico Giacomo Pellicciotti che s'innamorò della band e,
grazie ai suoi contatti con l'etichetta tedesca Mps (emanazione della BASF), mi
propose di registrare un LP per loro. Qualche giorno dopo eravamo in studio e
in una sola giornata avevamo inciso tutto. Come un live. Per la copertina
Giacomo aveva cooptato un giovane grafico argentino, Ariel Soulé. [...]
La
cover, un mix tra lo psichedelico e l'etnico, si rilevò un capolavoro e insieme
al titolo, Katcharpari, avrebbe
contribuito notevolmente al successo del disco, tanto che in Germania risulterà
a un certo punto il disco del mese e in Inghilterra otterrà una recensione
favolosa di Steve Lake sul "Melody Maker" »
Enrico Rava “Incontri
con Musicisti Straordinari”, Feltrinelli 2011
Forse
non molti sanno che durante quel secondo tour italiano del 1973, oltreché
registrare il famoso Katcharpari, il
quartetto di Enrico Rava, con un paio di ospiti aggiunti, incise alcune tracce
a nome di Bruce Johnson rimaste nei cassetti di Tito Fontana, patron della
milanese DIRE, per più di sette anni. Il disco fu dato alle stampe solo nel
1980, con il titolo di Sea Serpent, traccia che, curiosamente, apre il Lato B dell'omonimo LP, forse per via della poca
omogeneità delle registrazioni o per via di una pratica, purtroppo comune, che
prevedeva di registrare il più possibile quando capitava e di aspettare poi il
momento giusto per immettere sul mercato le incisioni. Nello specifico, diversi
nastri della DIRE sono confluiti poi in altre etichette, come nel caso della
SPLASC(H).
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Credits:
Label:
DIRE [Silverline]
Catalog#:
FO 353
Format: LP
Country: Italy
Recorded: Milan , Febbruary 1973
Released: 1980
Bruce Johnson
(guitar,
12-string g., vibraphone, bass g., piano, el. p., drums, voc., arr.),
Enrico Rava (trumpet),
John Abercrombie (guitar,
bass g.),
Chip White (drums),
Hugo Heredia (tenor sax,
flute),
Bonnie Brown (vocals &
recitation on #A2
Tracklist :
A1. The Storm
(Prelude/Storm/Calm/Peace) 5'10"
A2. Astral Child - 1'39"
A3. Look What You've Done To
Me - 1'13"
A4.
Montivia - 8'45"
A5.
Flamencito - 2'03"
B1. Sea Serpent - 8'00"
B2. Blind Man From The Delta
- 1'53"
B3.
Flashes - 5'25"
B4. Blues for Wes -
4'20"
super! grazie!
RispondiEliminaben tornato!
RispondiEliminaThank you so much!
RispondiEliminathanks
RispondiEliminaThanks for another great album with Enrico Rava
RispondiEliminaCompletely unknown and great one!
RispondiEliminathank you.
thegreek