Manca giusto una settimana per inviare le votazioni del Top Jazz 2013, ed io non riesco a darmi pace.
Questo
è il secondo Poll al quale sono invitato a partecipare e, invece di acquisire
sicurezza sulle mie scelte musicali, mi lascio sempre più volentieri
trasportare dalla curiosità, dai dubbi di un’umana e limitata conoscenza, dal
desiderio d’incontrare ancora una voce sconosciuta che sconvolga i noiosi canoni
prestabiliti, pur se da me stesso.
Manca
ancora qualche giorno per valutare i migliori
del Top Jazz 2013, ed io sto ancora cercando, dentro ed intorno a me.
E
sì perché, se non ho mai ritenuto il Top Jazz un vero e proprio termometro
della situazione musicale in Italia, è indiscutibile che la classifica risultante
dalle scelte dei diversi «giurati» invitati a partecipare da Musica Jazz, offre
un vero e proprio ritratto della nostra cultura e, nel caso specifico, della critica
musicale italiana.
Quello
che appare dal principio è che siamo restii al cambiamento, che puntiamo spesso
sul cavallo vincente, forse per la propensione a votare per offrire
riconoscenza ad una carriera indiscutibile o proprio perché non amiamo il
rischio.
Quello che si può affermare scorrendo le annate del Top Jazz è che noi ci facciamo convincere dalle scelte facili, cioè da quello che gli uffici marketing meglio rappresentano, ci lasciamo abbagliare dai soliti nomi illuminati sui palchi dei festival estivi, ci ricordiamo solo dei musicisti che più vengono nominati sui due soli giornali specializzati (che, in sintesi, sono po’ l’auditel del nostro jazz).
Quello che si può affermare scorrendo le annate del Top Jazz è che noi ci facciamo convincere dalle scelte facili, cioè da quello che gli uffici marketing meglio rappresentano, ci lasciamo abbagliare dai soliti nomi illuminati sui palchi dei festival estivi, ci ricordiamo solo dei musicisti che più vengono nominati sui due soli giornali specializzati (che, in sintesi, sono po’ l’auditel del nostro jazz).
Noi,
forse per natura, non cerchiamo tra le ultime pagine, non scandagliamo l’abisso
meno noto della grande ragnatela mondiale, non viaggiamo a nostro agio con
degli sconosciuti al fianco. Noi non infrangiamo la superficie, non cambiamo
facilmente menù, non supportiamo le minoranze, non ci buttiamo a cuore aperto nell'avventura. Noi non crediamo, non azzardiamo,
noi non ci battiamo per le nostre idee, tantopiù se pensiamo che possano minare la nostra
immagine. Forse perché è faticoso, o forse è per non esporci troppo oppure,
più semplicemente, perché non ci viene facile. Noi siamo italiani.
Un
esempio, a caso: Rita Marcotulli, una delle rare e preziose donne del panorama
jazz, ci ha messo venticinque anni per passare da miglior talento (1986)
a miglior musicista (2011).
Certo,
dalla prima edizione del Top Jazz (1982) molte cose sono cambiate, come ricorda
Maletto nell’articolo quì sotto, su tutte l’importanza data dalla redazione al referendum
che, dal 1999, occupò l’inserto centrale della rivista e dedicò ai vincitori la
prima pubblicazione in CD, proseguita fino ai nostri giorni. Ma alcune cose
restano a me incomprensibili.
Vi
faccio un altro esempio: nei primi diciannove anni del Top Jazz, questi sono
stati i “Musicisti dell’Anno”:
1982
Franco D’Andrea
1984
Franco D’Andrea
1985
Franco D’Andrea
1986
Franco D’Andrea
1987
Franco D’Andrea
1988
Gianluigi Trovesi
1989
Enrico Pieranunzi
1990
Paolo Fresu
1991
Roberto Ottaviano
1992
Gianluigi Trovesi
1993
Enrico Rava
1994
Enrico Rava
1995
Enrico Rava
1996
Enrico Rava
1997
Enrico Rava
1998
Gianluigi Trovesi
1999
Enrico Rava
2000
Gianluigi Trovesi
2001
Enrico Rava
Sei
musicisti scelti in quasi vent’anni, capite cosa intendo dire? Dov’è la
curiosità, dove l’azzardo di credere nel profondo in qualcosa, dove lo stimolo
e dove la ricerca?
Prendiamo
ad esempio Massimo Urbani: nei vent’anni presi in considerazione, non è mai
apparso nella categoria “Nuovi Talenti”, tuttavia non è mai stato eletto
vincitore nella categoria “Musicista dell’Anno” ed è stato fatto salire sul
podio dei primi tre solamente nel 1987, con un misero terzo posto.
Eppure, a onor di critica, Urbani è stato da subito apprezzato, ma forse non si sapeva bene dove piazzarlo, perciò è stato più facile ometterlo… Chissà se Max avrebbe trovato più sostegni al suo precario equilibrio umano se fosse stato più chiaramente valutato anche nella sua professione...
Eppure, a onor di critica, Urbani è stato da subito apprezzato, ma forse non si sapeva bene dove piazzarlo, perciò è stato più facile ometterlo… Chissà se Max avrebbe trovato più sostegni al suo precario equilibrio umano se fosse stato più chiaramente valutato anche nella sua professione...
Forse
ultimamente le cose sono un po’ cambiate, la promozione ha trovato canali più
accessibili a tutti, la globalizzazione culturale ha aperto le nostre menti, la
fauna dei musicisti si è notevolmente ampliata ed anche i giornalisti non sono più quella manciata elitaria di una volta, forse. Ma scorrendo i risultati dei primi
anni, c’è veramente da rabbrividire, e non per mettere in dubbio la validità
dei musicisti, per carità tutta gente d’onore, ma per la ristrettezza delle
vedute degli ascoltatori candidati ad esprimersi, che hanno la responsabilità di
fare da megafono per la massa di appassionati, mostrare scorci nascosti e colorati, di
fare fine tuning tra le frequenze più
disturbate.
Ecco,
è per questa incognita che non trovo pace.
Che non è tanto l’avventura della votazione che disturba il mio sonno (che invece lascia il tempo che trova), ma è la responsabilità di superare i miei confini mentali, di riconoscere i miei limiti e sfidarli, di abbracciare l’impegno con preparazione, con morale incoerenza e, perché no, con puro sentimento. Restare parziale, dimenticare per ignoranza… è di questo che ho timore.
Che non è tanto l’avventura della votazione che disturba il mio sonno (che invece lascia il tempo che trova), ma è la responsabilità di superare i miei confini mentali, di riconoscere i miei limiti e sfidarli, di abbracciare l’impegno con preparazione, con morale incoerenza e, perché no, con puro sentimento. Restare parziale, dimenticare per ignoranza… è di questo che ho timore.
Manca
poco per illuminare dal mio punto di vista le vie del Top Jazz 2013 ed io
vorrei tanto perdermi nel buio dell’ignoto musicale.
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Credits:
Top Jazz ‘99
Label: Musica Jazz
Catalog#: MJCD 1130
Format: CD
Country: Italy
Released: January 2000
Catalog#: MJCD 1130
Format: CD
Country: Italy
Released: January 2000
anch'io sono stato invitato, ma ho dato forfait perché non mi sentivo, semplicemente, adeguato a giudicare.
RispondiEliminarispetto alla realtà del jazz italiano, che è vasta, varia e complessa, il mio punto d'osservazione è davvero troppo limitato. per di più, negli ultimi mesi (anzi, diciamo pure, nell'ultimo anno e più) motivi personali mi hanno fatto rallentare il ritmo degli ascolti, e non seguo l'attualità con la dovuta attenzione.
comunque, in bocca al lupo per le scelte.
(scusa, sono Sergio Pasquandrea: sono semplicemete entrato con l'account Google sbagliato)
RispondiEliminaFin troppo ovvio dirti che partecipare a questo tipo di "gioco" è tensione positiva ma al tempo stesso fatica improba, parziale e fortemente condizionata da tutti i fattori che giustamente metti in luce. Tanto per giocare anch'io, ti dico i due dischi italiani che più mi sono piaciuti quest'anno, e che di certo non vedremo in graduatoria: Laut di Gaia Mattiuzzi, e Tricatiempo di Stefano Costanzo.
RispondiEliminanon dire "di cert" se non sei certo...
RispondiEliminanon ho capito....ammesso che sia rivolta a me
Eliminaho provato anch'io a lanciare un sasso nello stagno referendario...sono contento che l'idea sia in qualche modo condivisa da altri. Dopo aver scritto il pezzo ho sentito molto silenzio...
RispondiEliminahttp://www.magazzinojazz.it/index.php/jazzofili-jazzisti-jazzati/148-the-magazzinojazz-annual-critics-poll
ciao Franco