Se
dovessi scegliere un solo motivo per cui mi piacerebbe conoscere Gianluca,
sarebbe perché è un uomo che si mette sempre in gioco con coraggio, sfidando se
stesso e, di conseguenza, il fortunato viandante che lo incontra sul suo
cammino.
by Riccardo Marquis
Se potessi lasciare ai posteri un solo argomento utile per descrivere la contemporanea creatività di questo musicista, nato a Bari venticinque anni prima del duemila, sceglierei “space invasion”, cioè la minimal ost che Petrella ha dedicato a Space Invaders, il mitico videogioco arcade del 1978 che trova posto interattivo nel sito del trombonista, più come originale manifesto culturale che come comune passatempo.
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Se
dovessi dire anche una sola ragione per la quale è fondamentale parlare del suo
lavoro, è perché la sua musica lo ritrae in maniera significativa, cruda,
violenta e senza ipocrisie, che è per me la cosa più importante. Petrella
possiede infatti tutti i naturali riflessi di una vera stella, senza però quella scia
di polvere snobistica, comune ai luminosi meteoroidi ed a tante false stars,
che li fa apparire e scomparire in un secondo.
.
Se
volessi fare una marchetta in stile giornalistico, sicuramente sceglierei uno
dei suoi dischi Blue Note, così la
EMI sarebbe contenta, anche se l’accoppiata Petrella/Bearzatti
confonde i confini concettuali concessi alla critica tout-court, oppure una delle tante collaborazioni ECM al fianco del
senatore più avventuroso della tromba, anche se Easy Living è un disco da
paura…
.
Se,
infine, dovessi trovare le parole più adatte per sintetizzare le
caratteristiche dell’universo sonoro di Petrella, espresso attraverso quei
quasi due metri di tubo d’ottone, non potrei che usare le stesse sue: il suono, l’intelligenza musicale, la
capacità espressiva.
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by Gabriele
Ma,
dal momento che non sono un critico accreditato e nemmeno un onorato biografo,
proverò semplicemente a raccontarvi la storia di uno gruppi più
interessanti, e dei dischi più belli che ho ascoltato in questi ultimi tempi.
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«Il bidone non presenta soltanto il Rota
felliniano, portatore di un’italianità fatta di melodie specifiche e colore, ma
anche il compositore contemporaneo all’avanguardia, che segnò la musica del
secolo scorso più di quanto possiamo immaginare» Così Gianluca Petrella introduce
l’ultima uscita della sua etichetta, la Spacebone, ai tipi di Musica Jazz.
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L’omaggio
a Nino Rota si apre con quello che qualcuno ha definito l’ennesima riproposizione
del tema de “il Padrino”, il bellissimo film di Francis Ford Coppola del 1972,
ma probabilmente il suo giudizio è partito già dal titolo e non ha goduto
dell’ascolto del pezzo. Infatti, là dove Rota aveva utilizzato il valzer nella
sua accezione più classica, ricca di ariosa nobiltà e di cristallini riflessi
orchestrali, Petrella capovolge il tema e lo porta direttamente nella strada,
più vicino alle bande popolari che accompagnano le marce funebri, tanto care
anche al compositore milanese, che alle spaziose sale dei conservatori, come
quello di Bari che Rota ha diretto per trent’anni, lo stesso in cui Petrella si
è diplomato col massimo dei voti nel 1994.
Già
questo incipit dovrebbe chiarire le intenzioni alla base de il Bidone e l’attenta progettualità a
sostegno dell’operazione: connettere il passato ed il presente della musica
italiana a cavallo di due secoli, assottigliare le distanze tra musiche colte e
popolari e sovvertire il già noto sulla vita di Nino Rota, e di conseguenza
sulla sua opera.
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Ma
per qualcuno resta una scorciatoia facile, che sarebbe come a dire che quando
Trane incise quel “valzerino” di Richard Rodgers estratto da The Sound of Music, non sapeva cos’altro
fare…
.
La
seconda traccia del disco in questione è “Il teatrino delle suore”, estratto da
Giulietta degli spiriti di Federico Fellini,
del 1965. Qui, più che nella manipolazione della materia musicale, è proprio
nella scelta della scaletta che si nota un’intenzione, anzi una vera e propria
regia che avvicina il Bidone ad un
concept album, più che ad un qualsiasi omaggio. Intanto, Giulietta degli spiriti è il secondo film a colori del regista
riminense ed il frame vede Giulietta (Boldrini, alter ego della Masina
parzialmente omonima) nel tetro e polveroso teatrino delle monache, in un
momento in cui ricordo e realtà si sovrappongono. Giulietta bambina era stata
scelta per celebrare la morte di una Santa martire, ed il progetto de il Bidone di Petrella nasce in occasione
del centenario della nascita di Nino Rota (2011).
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Poi,
grazie a “lo Sceicco Bianco”, tratto da quello che è considerato il primo film
di Fellini (1952), fuso insieme alla “Rosa Aurata”, sempre presa da Giulietta degli spiriti (1965), Petrella conferma la naturale simbiosi
del sodalizio tra Rota e Fellini, in cui la creatività dell’uno affluiva e,
allo stesso tempo, si nutriva della fantasia dell’altro. La metafora è musicalmente
rappresentata nel trait d’union tra i due brani, esposto dal trombone del
leader in perfetta sintonia con la voce/strumento di John De Leo. Se nei primi
due minuti dedicati al capolavoro con Alberto Sordi è l’ironia circense, sempre
in maschera, ad avere il sopravvento con deformanti stratificazioni sonore,
ritmi incalzanti e voci turbinanti, è nei successivi tempi che Petrella lascia
spazio all’amore di Rota per un certo jazz e per le soffuse atmosfere dei night,
conducendo il tema in un palcoscenico ovviamente post, ma illuminato dalle stesse
luci di una volta.
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A
metà del disco, sottoforma di traccia n°4, arriva "Parlami di Me", quasi quattro
minuti che sintetizzano la potenza trasversale del capolavoro di Fellini, La
Dolce Vita (1960) e l’ambivalenza creativa
della musica di Rota. Se nella scena del film abbiamo la visione agrodolce del
clown Polydor che, in un ambiente travestito a festa, esegue un assolo di tromba
tra i più malinconici che si potessero mai ideare (anche i palloncini colorati
sembrano tristi), nel disco Petrella fa di più, facendo un passo indietro e
lasciando l’assolo nelle mani di suo padre Muzio ma, al posto del trombone, gli
mette tra le mani l’armonica, strumento che negli anni Sessanta aveva tra i
suoi alfieri Franco De Gemini e che ha dato voce ad alcune tra le più belle
pagine sonore del cinema italiano, come “C’era una volta il west” o “Per un
pugno di dollari” di Ennio Morricone per Sergio Leone.
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Con il Bidone, che unisce "Ballerina night" e "L’ultimo bidone", dal film omonimo del
’55 sempre a firma di Fellini, per me si potrebbe anche concludere il lavoro di
Petrella dedicato alla musica di Nino Rota. Sia per lo splendido intervento di
Dino Piana, sintesi evocativa di cinquant’anni di jazz italiano, sia per l’imprevedibile
energia dinamica della batteria di Cristiano Calcagnile che per la coraggiosa
ironia che permette a De Leo di chiederci, in loop, delucidazioni sullo stato del
jazz moderno.
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Il
disco invece prosegue, come a mostrare molteplici strade ancora da seguire,
anche queste tenute insieme dalla genialità elettronica di Andrea Sartori, per
raccontare oggi il sodalizio tra Rota e Fellini, prima con Roma (1972) che vede
la storica tromba di Enrico Rava disperdersi nelle atmosfere elettroniche del suo giovane
pupillo, poi con altri estratti da La Dolce
Vita, in un pastiche sonoro che si sviluppa dalle schegge
delle voci dei protagonisti, proseguendo con La "Poupée Automat" tratto dal
Casanova (1976) che ci ricorda la versatilità di Giovanni Guidi e la calorosa potenzialità
di Beppe Scardino ed infine chiudendosi con la toccante Lla Rì Lli Rà, tratta
da Le Notti di Cabiria (1957), nella quale la voce di John De Leo delinea, senza
bisogno di parole nuove, la bellezza di una vecchia melodia che torna a
suggellare il tutto.
.
Avrei
voluto incontrare Gianluca per chiedergli di più su questo ritratto espressionistico di Rota, per sapere
se anche i fumetti degli anni Ottanta/Novanta hanno lasciato un segno forte in lui, per ringraziarlo di
tutta la musica che fin’ora mi ha donato. Avrei voluto chiedergli molte cose ma, nonostante la squisita cortesia di Giulia, non mi è stato possibile. Per cui mi
son dovuto inventare tutto quello che avete appena letto. Davvero.
.
Voi
siete liberi di crederci o meno, però ascoltate il Bidone, prima di giudicare.
.
«Non
credo a differenze di ceti e di livelli nella musica:
Il
termine musica leggera si riferisce
solo alla leggerezza di chi l’ascolta, non di chi l’ha scritta»
Nino
Rota
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