«Un batterista, quando accompagna, non deve suonare forte, ma deve stare in tensione, deve fare in modo che sotto ci sia una friggitoria, capito? Ci deve stare un fermento ritmico sotto. Il batterista non deve mettere note o accordi, ma creare una tensione ritmica costante. È una bella responsabilità»
Se avessimo una differente cultura, forse sarebbero sufficienti questi tre versi per descrivere una personalità schietta e genuina come quella di Giampaolo Ascolese, ed invece abbiamo spesso bisogno di accumulare dati, di pontificare giudizi, di stratificare per generi, di progettare progetti, anche quando basterebbe solo ascoltare la musica, nel caso di Giampaolo affidabile e raffinata, e guardare negli occhi l’uomo per tracciare il profilo somigliante di un musicista, più che attraverso mille parole. Ma dal momento che sono uno stupido jazz fan italiano e che non si trovano moltissime info in rete su Giampaolo Ascolese, ricominciamo dall’inizio.
Giampaolo Ascolese nasce a Baronissi (Salerno), il 2 settembre 1955, ma vive da sempre a Roma. La batteria lo affascina fin da giovanissimo e già dal 1970 troviamo tracce delle sue numerose ed importanti collaborazioni nel mondo del jazz. Inizia con la Living Concert Big Band di Tommaso Vittorini (1972), un insieme piuttosto eterogeneo di musicisti provenienti dal jazz, dal conservatorio, e dalla banda sinfonica di un noto corpo di polizia e, subito dopo, contribuisce con Nofri e Caporello alla nascita del mitico SPIRALE che nel 1975, grazie anche ai tanti musicisti di passaggio al Folkstudio, si evolve nella Folk Magic Band.
.
Da
quei tumultuosi inizi, in quegli che forse restano tra gli anni più creativi
del jazz suonato in Italia, le partecipazioni di Ascolese non si contano più e
le partnerships diventano collaborazioni di rilievo. Lo troviamo accanto a
Mario Schiano, Claudio Fasoli, e Massimo Urbani, tra gli altri, oltre come sideman
di prestigiosi musicisti internazionali, quali Kai Winding, Dusko Gojkovic,
Chet Baker, Art Farmer e Mal Waldron.
.
Dal
1977 inizia ad insegnare presso la Scuola Popolaredi Musica di Testaccio, una delle più interessanti esperienze di
autogestione in ambito culturale, nata nel cuore della Capitale nel 1975 su
iniziativa di Bruno Tommaso insieme ad altri musicisti dell'area romana, tra
cui Martin Joseph, Tony Ackerman, Maurizio Giammarco, Giancarlo Schiaffini, Eugenio
Colombo, Giovanna Marini e Michele Iannaccone.
.
Nel
1980 si reca negli Stati Uniti per un corso di specializzazione alla “Berklee
School of Music” di Boston, facendo una serie di concerti con musicisti locali
ed ottenendo il massimo dei voti. Tornato in Italia si diploma in Strumenti a Percussione al
Conservatorio di musica “A.Casella” dell’Aquila, sotto la guida del M° Gianluca Ruggeri ,
iniziando una attività di percussionista
classico-contemporaneo che tuttora conduce. Per tutti gli anni Ottanta
collabora con Nunzio Rotondo, Enrico Pieranunzi, Rita Marcotulli ed Enzo Scoppa, ma suona ed incide anche con
Sal Nistico, Lou Bennett, Chet Baker, Mike Melillo, Lee Konitz e
Steve Grossman.
.
Nel
1990 inizia a collaborare con Nicola Arigliano. Nel 1992 prende parte
all’interessante Modern Big Band di Gerardo Iacoucci, registrata su disco per
la yvp music. Nello stesso anno partecipa, come timpanista e batterista, alla
colonna sonora di Evan Lurie per “Il Piccolo Diavolo” di Roberto Benigni, per
il quale inciderà anche in “Johnny Stecchino” ed “Il Mostro”. Nel 1994 fonda il
gruppo Isoritmo, con il quale incide quello che viene considerato il primo
disco a suo nome.
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Dal
2000 è attivo un trio con Dario Lapenna e Gianluca Renzi, che sfocia
nell’originale progetto “Couleur Musique”, primo esperimento multimediale di
Ascolese, nato in collaborazione con sua moglie, la pittrice Marie Reine Levrat, che
proseguirà con “Let it Be….atles” omaggio ai quattro di Liverpool nel quarantennale
della pubblicazione di “Sgt. Pepper’s”, per arrivare all’ultimo lavoro del
2013, Elle, Singulière, Plurielle.
.
Un’attività
intensa e sfaccettata, quella di Giampaolo Ascolese, che va avanti attraverso
una strada squisitamente musicale da più di quarant’anni, forse ancora non
precisamente inquadrata dalla critica ufficiale. Basterebbe ricordare l’inizio con Mario Schiano
ed i vent’anni di collaborazione con Nicola Arigliano per tracciare il profilo somigliante di un musicista,
più che attraverso mille parole.
.
Schiano
diceva dell’avanspettacolo «è un amore che mi sarei portato dietro per tutta la
vita. L’avanspettacolo delle numerose compagnie che lavoravano nei cinema di
quartiere, tra una proiezione e l’altra, è una forma di spettacolo tipicamente
italiana; non c’entra nulla né con il vaudeville europeo né con il musical
americano, ed è tutta giocata sulla creatività istantanea, sul dialogo
improvvisato comico-spettatore ai limiti del grottesco».
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Arigliano
per molti è considerato solo un cantante italiano come altri, per alcuni appena
uno strampalato croooner, per pochissimi un grande uomo di spettacolo ed un
impareggiabile intrattenitore. Così Giampaolo raccontava un aspetto di Nicola
Arigliano in un’intervista con Vincenzo Martorella «per Nicola il pubblico è il
totale giudice di qualsiasi spettacolo. Per lui è facile catturare l’attenzione
del pubblico, visto quel suo naturale talento che racchiude in sé l’anima di
Totò, Eduardo, Nino Taranto, oltre naturalmente a Nat King Cole, Joe Wulliams e
Anita ‘O Day, che sono i suoi cantanti preferiti. Di Nicola bisogna cogliere il
fondamentale aspetto di interazione… lui usa dire “quando il pubblico non ti
chiede almeno due bis hai fatto cilecca!”»
.
Ma
torniamo al titolo di questo post, Massimo Urbani special guest on SPIRALE, che
nasce grazie al prezioso omaggio di un nastro che mi fece tempo fa Riccardo
Beduschi. Riccardo,
che se ne è andato nel settembre dello scorso anno (è quello in alto a dx, col registratore a tracolla), ha animato per tanto tempo Inconstant Sol uno dei blog di
riferimento per gli appassionati di registrazioni inedite e storiche di concerti jazz. È grazie
alla sua generosità, cosa rara tra i fan italiani che tendono a tenere chiuse
come reliquie le proprie passioni, se oggi posso condividere con voi quel concerto
di Max, e se ho avuto l’occasione d’incontrare Giampaolo Ascolese.
.
JfI:
Ciao Giampaolo,
e
intanto grazie per essere qui.
Sono
passati vent’anni dalla scomparsa di Massimo Urbani, il suo ricordo si è
diluito nel tempo?
GA:
Assolutamente no, anzi spessissimo ne parliamo con i comuni amici quando ci
vediamo per suonare ( perché ogni tanto ancora ci vediamo...)
.
JfI:
Pensi sia lo stesso per la critica “ufficiale” e per i nuovi amanti del jazz?
GA:
Certo, ancora tutti i critici (anche quelli che lo snobbavano in vita, in
verità) lo ricordano con molto rispetto (vedi appendice Musica Jazz giugno 2013 - N.d.r).
JfI:
Vuoi raccontarci come vi siete conosciuti?
GA:
Brevemente, nel 1971 al Liceo Castelnuovo di Monte Mario ci fu l’ennesima
occupazione studentesca; il padre di Massimo era il bidello, diciamo, più
rappresentativo e ci ha invitati tutti a suonare lì per tre giorni.
Massimo
era già conosciuto nel quartiere e in tutto l’ambiente dal Jazz, ma devo dire
che anche io mi difendevo, lui però, a differenza mia era già andato al
Conservatorio di S. Cecilia con Tommaso Vittorini, Tony Formichella, Nicola
Raffone, ed altri musicisti dell’epoca
che non ricordo, a seguire le prime
lezioni di Jazz tenute dal Maestro Giorgio Gaslini. Suonammo assieme al
Castelnuovo e da lì nacque la nostra collaborazione fino, aihmè, alla sua
scomparsa.
.
JfI:
Non ci sono “dischi ufficiali” con voi due, anche se esiste un bellissimo live
del suo Quartetto, registrato su nastro il 6 agosto 1987 da Gerardo Iacoucci al
Festival di Supino e pubblicato postumo dalla Philology di Paolo Piangiarelli,
dove ci sei anche tu. In apertura Massimo vi presenta, con tutta l’emozione che
lo contraddistingue, come i suoi migliori collaboratori. Cosa ricordi di quella
serata?
GA:
Fu una bellissima serata e il disco della “Philology” è un disco “ufficiale”,
anche se postumo. Te lo dico proprio perché, fin’ora, era l’unica testimonianza
“ufficiale” di una nostra collaborazione.
Fu
una serata splendida ed in quella occasione conobbi Luca Flores, anche lui
splendido musicista ma molto diverso da Massimo, era molto introverso e alcune
volte avevi paura di parlargli, per timore che avrebbe preso male tutto quello
che dicevi.
.
JfI:
Uno dei pezzi registrati è I Got Rock, a nome di Massimo Urbani. Nonostante
l’evidente capacità di fare suo ogni pezzo che interpretava, è rimasta
pochissima musica “scritta” da lui. Come nasceva la musica di Massimo?
GA:
Massimo era un istintivo, quando suonava ascoltava le sequenze armoniche e ci
riusciva subito ad improvvisare attorno, ma non aveva una grande conoscenza della
teoria, a parte il solfeggio che conosceva a menadito ( solfeggiava come un
musicista di estrazione classica). Quindi gli doveva venire tutto all’impronta
e se pensava a qualche accordo, o si faceva aiutare, oppure componeva i pezzi
modali, come appunto, “I got Rock”
.
JfI:
Oltre a Pino Sallusti al contrabbasso, c’era anche Luca Flores, al piano. Un
altro grande musicista che ha pagato caro il suo connubio tra Arte e vita.
Riusciresti a ritrarre Luca in poche parole?
GA:
Non sono più riuscito a entrare in confidenza con lui, a parte quella serata,
in cui sono entrato con lui in sintonia solo nella musica, anche perché avrà
detto al massimo dieci parole, la maggior parte delle quali riferite ai brani
musicali che ci accingevamo a fare. Luca Flores era di pochissime parole e, per
me che sono un estroverso, era difficilissimo comunicare con lui. Ma con la
musica, credo ( e spero..) che ci siamo riusciti.
.
JfI:
Tu hai suonato anche con Mario Schiano, Nunzio Rotondo, Larry Nocella e Chet
Baker, oltre a tantissimi altri giganti di questa musica. Chi ha lasciato un
segno più profondo sul musicista Ascolese?
GA:
Tutti, assolutamente tutti, chi per un verso chi per un altro, ti ricordo che
ho anche suonato 20 anni con Nicola Arigliano il quale forse è quello che mi ha
insegnato di più nel campo professionale. Ma anche gli altri, ripeto, tutti mi
hanno insegnato qualcosa.
JfI:
E sull’uomo Giampaolo?
GA:
Beh, su quello diciamo che il mondo in generale mi ha insegnato qualcosina sai,
adesso le primavere sono 58…
.
JfI: Torniamo a Max, all’equilibrio naturale e complesso tra la sua genialità musicale e la preziosa semplicità umana. Moltissimi sono gli aneddoti contrastanti su Massimo, dalla sua profonda passione sul cinema e sulla Roma, alla sua conoscenza inspiegabile della toponomastica stradale, fino a quell’estrema difficoltà manuale di farsi un nodo alla cravatta o di cambiare le pile in un registratore.
Pensi
che questi due mondi lontani e contrapposti potessero vivere insieme senza
fatica e dolore?
GA:
Assolutamente si.., era fantastico il suo modo di essere naif per le cose
pratiche, tipo farsi il nodo della cravatta, o allacciarsi le scarpe, o portare
semplicemente un portafogli con dei soldi… (mai avuto nulla del genere !).
Ma
per altre cose era raffinatissimo: sapeva a memoria tutte le capitali europee (facevamo
le gare in macchina, tipo “lascia o raddoppia”) ed era informatissimo su tutti
i film Italiani degli anni “d’oro”, ovviamente tutti quelli con Sordi, ma non
solo…
Lui
aveva una sola cravatta, con lo stemma della Roma e la teneva sempre con il
nodo che allargava e stringeva ogni volta che se la doveva mettere. Credo che
abbiamo fatto alcune trasmissioni Rai in diretta con quella cravatta...
.
JfI:
Si parla da sempre dell’influenza musicale di Bird su Massimo, anche se sembra
impossibile non ritrovare un viscerale amore verso Coltrane, quantomeno
nell’atmosfera complessiva della sua sonorità. Tu hai raccontato a Carola De
Scipio un divertente resoconto di un Capodanno a Cavedine, vicino Trento, dove
Massimo ha “salvato” la serata suonando anche pezzi di Raul Casadei. Qual è
l’albero genealogico da cui discende Max, secondo te?
GA:
Beh quella fu davvero una serata speciale, non mi aspettavo questa presenza di
spirito di Massimo, secondo me era causata da un grandissimo istinto di
conservazione.
60
Alpini ubriachi che vogliono il liscio, non li auguro a nessuno !...
Ovviamente
il repertorio di liscio di Massimo non era estesissimo e per fortuna poi il
padrone del locale aveva una nutritissima collezione di cassette di Casadei.
Così,
tra i fumi dell’alcol, dopo aver esaurito il nostro ristrettissimo repertorio
di liscio, lo abbiamo prima suonato con le cassette, in playback e poi ce la
siamo svignata alla chetichella… Mi ricordo anche che ci siamo buttati in pista
a ballare.
E
comunque Massimo adorava Bird secondo me, più per quello che rappresentava che
per quello che suonava. Musicalmente Massimo era molto più vicino a Coltrane,
all’ultimo Coltrane, proprio per il discorso “modale” che ti ho fatto prima.
L’albero
genealogico è stato sicuramente la formazione della banda musicale di Monte
Mario, che l’ha formato musicalmente.
Sembrerebbe
assurdo, ma non puoi sapere quanto sia importante per un ragazzino che voglia
suonare, avere a disposizione nel
proprio quartiere una banda.
E
poi sicuramente Bird e Coltrane nella stessa misura.
.
JfI:
Massimo ha avuto un successo, ed un’attenzione ampia, fin da giovanissimo,
eppure credo che la critica e tutto l’ambiente dei musicisti lo prendevano a
cuore e lo lasciavano solo con la stessa facilità. Pensi che il suo destino era
già scritto o che sarebbe stato possibile modificarlo in qualche modo?
GA:
Massimo era sicuramente amato da tutti ma, ogni tanto, faceva di tutto affinché
questo amore si assottigliasse.
Non
era facile lavorare con lui, e soprattutto non era facile girare con lui. Un
conto è che si facessero concerti a Roma dove, bene o male, come finiva finiva,
lo imbarcavamo su un taxi che lo portava a casa. Ma andare in giro per l’Italia
a volte era un problema .
Andare
in giro con lui all’estero poi credo che amplificasse tutti i suoi problemi e
quelli di coloro che lavoravano con lui.
.
JfI:
Nel 1979 siete stati invitati al Jazz Jamboree di Varsavia, un importante
riconoscimento del jazz italiano in un contesto europeo. Ci racconti quel
viaggio?
GA:
Ecco, quello fui un fulgido esempio di come Massimo si comportasse bene
all’estero. Anche perché noi rappresentavamo l’Italia, assieme ai “Sax Machine”
di Bruno Biriaco, e a Tullio De Piscopo.
Forse
perché con noi viaggiava il “gota” dei critici Italiani capitanati dal
Direttore di Musica Jazz dell’epoca, ma Massimo lì si comportò benissimo.
I
suoi comportamenti, diciamo, imbarazzanti cominciarono a susseguirsi con la
comparsa, ahimè, dell’eroina che successe qualche anno dopo.
.
JfI:
Secondo te ha senso parlare di Jazz italiano?
GA:
Ha un senso se si fa uno studio sulle nostre radici e si tenta di evidenziarle
filtrandole con l’animo del Jazz. Ovviamente non solo con l’animo, ma anche con le armonie, il ritmo e le dinamiche del Jazz. Ma
se si fa il verso ( come purtroppo succede alla maggior parte dei Jazzisti
nostrani, me compreso) agli americani, tentando di imitarne in tutto e per
tutto il linguaggio “sul loro terreno”, siamo già perdenti in partenza.
Il
fatto triste è che la musica italiana, le cosiddette “radici”, non sono molto
stimolanti, a parte la musica Napoletana o alcune canzoni folkloristiche
regionali.
Solo
la musica degli anni ‘ 20, ’30 ’40 ’50 e ’60, quella dei nostri nonni, ha
tentato di creare una sorta di Jazz Italiano, con le ritmiche prese dal “fox
trot” o dallo “swing” ed i testi in italiano.
Tra
le altre cose, anche la lingua Italiana è perdente in questo senso, perchè, non
avendo tronche, può essere utilizzata solo nella lirica, ed infatti, nella lirica
tutte le espressioni dinamiche sono in italiano.
La
nostra lingua più adattabile al Jazz, al rock, al funk o all’ “hip hop”, o in
ogni caso a tutta la musica moderna è la lingua Napoletana (perché di
“lingua” si tratta).
.
JfI:
Già nel 1970 tu avevi creato, con Corrado Nofri, Giuseppe Caporello, Giancarlo
Maurino e Gaetano Delfini, il gruppo SPIRALE, che ha registrato un solo album
omonimo nel 1974, per la
King. Insieme ai Perigeo, gli Area e il Canzoniere del Lazio,
SPIRALE è stata la punta di diamante della musica jazz-folk di quegli anni. Ci
racconti quell’avventura?
GA:
Abbiamo appunto tentato di creare una sorta di Jazz Italiano, probabilmente la
ragione era che non potevamo fare altrimenti perché le nostre risorse tecniche
erano veramente minime, ma penso che ci siamo riusciti. Forse
anche perché sia il nostro discografico (Tony Cosenza) sia il nostro produttore
(Aurelio Fierro), erano napoletanissimi, e così, per farli contenti…
Pensa
che con il primo album “Spirale” abbiamo venduto 4500 copie! Un successone.
In
ogni caso io ero l’ultima ruota del carro, colui che tirava il carretto di
tutta la linea musicale di Spirale era Corrado Nofri, a tratti coadiuvato da
Peppe Caporello. Era
anche il più grande di età di tutti noi ed aveva veramente un grande cervello
musicale. Peccato che tecnicamente non fosse molto dotato, anche perché in questo
lavoro o ti occupi di composizione, oppure diventi uno strumentista ad alti
livelli, sai, la giornata è fatta di 24 ore….
E
Corrado era senz’altro uno dei più fervidi compositori di quel periodo.
.
JfI:
Nel 1975, dopo lo scioglimento del primo gruppo, con Giancarlo Maurino e
Gaetano Delfini hai dato vita ad un nuovo progetto, la Folk Magic Band, che
culminò con l’uscita del disco omonimo, nel 1976. È stata un’evoluzione naturale del vostro
percorso, una contingenza possibile solo in quegli anni di sperimentazione o
cosa?
GA:
E’ stata un’altra grande idea di Corrado Nofri, alla quale io ho aderito con
grande entusiasmo ed anche lì Corrado ha fatto centro!.
Sicuramente
poi il contatto con molti gruppi folkloristici dell’epoca ci ha molto ispirato,
a Roma ce ne erano tantissimi e tutti bravissimi, e poi un po’ tutti
frequentavamo il Folkstudio.
.
JfI:
E veniamo al live in questione: dai dati in mio possesso, questo concerto è
stato registrato alla terza edizione del Festival di Lovere, il 16 giugno 1979,
dove, oltre a te alla batteria e Massimo Urbani al sax alto, c’erano Silverio
Cortesi alla tromba, Corrado Nofri al piano e Peppe Caporello al contrabasso.
Ha
senso parlare di SPIRALE?
GA:
Sicuramente ha senso perché c’era tre quarti del gruppo e poi Silverio in quel
periodo era come un fratello sia per Gaetano, sia per tutti noi. Massimo qui ha
dato il suo grandissimo apporto “Be-Bop” ad un gruppo che tutto era fuorché “Be-Bop”.
.
JfI: In quella seconda serata, oltre al vostro gruppo, c’erano anche lo String Trio of New York ed il Kalaparusha Quartet. Cosa ricordi di quella serata?
GA:
Ti assicuro che non mi ricordo proprio nulla, anche perchè, diciamo, in quel
periodo (avevo qualche anno in meno e qualche capello in più) prima e dopo il
concerto non bevevamo solo acqua minerale e non si fumava certo la sigaretta
elettronica…
Infatti
il fatto che ci fosse Silverio, adesso l’ho saputo da te, io non me lo
ricordavo !!.
.
JfI:
Nel 2007 anche Corrado Nofri ci ha lasciato, ma voi cinque siete tornati
insieme, con tuo fratello Michele alla chitarra al suo posto, realizzando un
nuovo disco (Live Inside _ Lake Records 2011) e vari concerti. Cosa vuol
raccontare SPIRALE oggi?
GA:
Purtroppo vorrebbe raccontare tantissime cose, ma non riesce a farlo perché
tutti noi siamo impegnati a portare la “pagnotta” a casa.
Mio
fratello Michele comunque è stato il primo componente “armonico” di Spirale, e
poi, quando lui ha deciso di suonare la musica “Pop”, è subentrato Corrado .
Quando
suonavamo negli anni ‘ 70 avevamo la possibilità di vederci tutti i giorni
perché c’era qualcuno che si occupava della nostra nutrizione, sia mentale che
fisica.
Ora
sono dolori… se ti azzardi a passare una giornata a suonare senza pensieri come
una volta e, malauguratissima ipotesi, ti azzardi a spegnere il telefonino,
dopo, quando lo riaccendi, ti fa pentire di averlo spento. Devi richiamare
tutti quelli che ti hanno chiamato, magari per delle nullità… E così nel
frattempo ci ha guadagnato solo la compagnia dei telefoni che usi..
E’
così che va la vita adesso, si corre si corre, e sembra che non si riesca a
fare in tempo a far nulla. Ma la tecnologia non doveva aiutarci invece che
obbligarci a starle dietro ?
JfI: Qual è stata l’ultima volta che hai visto Massimo Urbani?
GA:
Beh questo veramente non me lo ricordo proprio, mi dispiace.
.
JfI:
Tra i tuoi recenti progetti ricordo il famoso “Let it Be….atles”, che ha
raccolto numerosi consensi e l’ultimo chiamato “Elle, singulière, plurielle”,
dedicato alle donne del ‘900. Ce li vuoi raccontare?
GA:
Io che parlo male della tecnologia, adesso, nelle mie produzioni utilizzo solo
quella.
Ho
4 progetti multimediali in attività, uno dedicato al Jazz “But Beautiful” e tre
che ho creato assieme a mia moglie , la pittrice Marie Reine Levrat, “Couleur Musique” ,
“Let it Be,..atles” , e appunto “Elle, Singulière , plurielle”. Io penso che
per me sia la migliore via per esprimersi, oggi. Non
sono un bello e giovane ragazzo (cosa che adesso, nel mondo dello spettacolo
conta e più di qualsiasi talento artistico), non sono un grande cantante, men
che meno una bella e giovane cantante e quindi, dato che ora ai concerti ci vuole
almeno un elemento visivo in più, nei miei progetti c’è sempre il progetto
visivo che, nella maggior parte dei casi è sempre in sincrono con la musica
“live”.
.
JfI:
Cosa c’è nel futuro di Giampaolo Ascolese?
GA:
Nell’immediato c’è l’uscita del dvd “Elle, Singulière, Plurielle” che
finalmente, dopo quasi 3 anni di lavorazione, dovrebbe uscire per la
“Realtimerecords”. E’
un progetto multimediale di musica ed immagini creato da me e da Marie Reine
Levrat, in cui vengono esaltate le grandi figure femminili del 1900.
Vi
farò sapere e magari se ne potrebbe parlare fra qualche tempo.
.
JfI:
Giampaolo, grazie ancora per i tuoi ricordi, per la tua passione e per la tua
musica.
GA:
Grazie a te e complimenti per il tuo blog e la tua passione.
Tu
forse non lo sai, ma noi abbiamo bisogno di persone come voi, come il pane
quotidiano. Quindi grazie di cuore anche a te, ed alla prossima.
.
Credits:
SPIRALE Live
special guest
Massimo Urbani
Recorded live in Lovere, Italy,
on June 16th, 1979
(mics recording)
(mics recording)
Massimo Urbani (alto sax)
Silverio Cortesi, (trumpet)
Corrado Nofri, (piano)
Peppe Caporello, (bass)
Giampaolo Ascolese, (drums)
1. uk. track #1
2. uk. track #2
3. Tender Song (C. Nofri)
4. Cabral (P. Caporello)
2. uk. track #2
3. Tender Song (C. Nofri)
4. Cabral (P. Caporello)
5. Wakatanka (P. Caporello)
Note di Peppe Caporello:
Con questa registrazione hai destato in me tante
sensazioni che mi hanno ricordato quell'estate.
purtroppo io subito dopo il festival partii per il
sudamerica e quindi presto mi dimenticai di alcuni di quei pezzi che suonammo a
Lovere. Lo stile, penso che lo avrai riconosciuto, spaziava tra Mingus, Shepp,
Cherry e naturalmente quello tipico di Spirale.
Il primo pezzo è molto mingusiano ed è stato scritto
da Corrado (è sull'onda delle cose che facemmo con M. Schiano) ma di cui non
ricordo il nome.
Il secondo pezzo è ancora di Corrado e ricorda di più
le atmosfere che ci ricollegavano a Don Cherry ed a i pezzi già fatti con la Folk Magic Band (non
ricordo il nome).
Il terzo pezzo è una ballad molto bella di Corrado di
cui non ricordo il nome.
Il quarto pezzo è mio, si chiama Cabral ed era il
cavallo di battaglia di Spirale (sta anche nel primo disco e nel nuovo CD che
abbiamo registrato nel 2011).
L'ultimo pezzo è ancora mio e si chiama Wakatanka, ed
è ispirato alle melodie degli indiani pellerossa.
Che altro dirti, Massimo suona da dio e Silverio
cerca di fare del suo meglio.
La ritmica di Spirale è sempre stata il nostro piatto
forte ed anche questa volta mi sembra che si faccia rispettare...
Massimo
Urbani
Alto
Sax
Maj
8th, 1957 - June
24, 1993
Splendida intervista. Di nuovo grazie, grazie infinite per questo materiale.
RispondiEliminaGrazie, non l'avevo mai ascoltato.
RispondiEliminail titolo del terzo brano è Tenders Song, è registrato anche in 360 aeutopia...
Grazie a voi di questi primi input!
RispondiEliminaIo continuerò a cercare di condividere materiali inediti che rischiano di essere dimenticati o, peggio ancora, mai ascoltati.
@koko: è vero! da quanto tempo non facevo girare quel vinile sul mio piatto... tracklist aggiornata; ancora grazie a te per l'aiuto ed anche per il link su saxforum.
Bella intervista, ma Rapidshare è talmente lento cheho rinunciato al download :-(
RispondiEliminanon solo e lento, ma manca il file cue e si sentono solo 51 secondi del cd spirale
Eliminamerci mon frère.
RispondiEliminaCosta
Carissimo, che emozione. Rapidshare è lento, ma questa cosa la voglio ascoltare e riascoltare e tenerla per me. E' proprio vero che le testimonianze della musica di Massimo sono in gran parte ancora da scoprire. E poi qui ci sono altri amici di allora, a cominciare dal povero Corrado. Un'altra gemma in quello che fa impallidire qualsiasi antico tesoro di pirati !!!
RispondiEliminaRoberto Del Piano
the link is down.**sad face**
RispondiElimina