Forse
è solo per caso che, nel testo vincitore del Festival della Canzone italiana
del 1956, Franca Raimondi cantasse così:
“Aprite le finestre ai nuovi sogni,
alle speranze, all'illusione.
Lasciate entrare l'ultima canzone
che dolcemente scenderà nel cuor”.
alle speranze, all'illusione.
Lasciate entrare l'ultima canzone
che dolcemente scenderà nel cuor”.
E
sì, perchè solo un caso può far coincidere quei «nuovi sogni» con «lasciate
entrare l’ultima canzone», nello stesso anno in cui nasceva, nella sede
deputata alla canzone italiana per eccellenza, appunto, il Festival del Jazz di
Sanremo.
.
Il
Jazz è sempre stato per natura la nuova musica, e soprattutto in quegli anni.
Ma in Italia, si sa, ha dovuto lottare più per affrancarsi dall’egemonia della canzone, dell’operetta e della più nobile musica classica, che contro le leggi fasciste che lo vietarono per un determinato periodo, ed entrare su un palcoscenico importante come quello di Sanremo, anche se dalla porta posteriore, ha sicuramente contribuito a renderlo autonomo e maggiorenne.
Ma in Italia, si sa, ha dovuto lottare più per affrancarsi dall’egemonia della canzone, dell’operetta e della più nobile musica classica, che contro le leggi fasciste che lo vietarono per un determinato periodo, ed entrare su un palcoscenico importante come quello di Sanremo, anche se dalla porta posteriore, ha sicuramente contribuito a renderlo autonomo e maggiorenne.
Non
è un caso infatti che i musicisti italiani presenti alla prima edizione, cioè
Umberto Cesàri, Nunzio Rotondo, Basso & Valdambrini, Glauco Masetti, Berto
Pisano, Gil Cuppini e Franco Cerri, tra gli altri, saranno poi i protagonisti
della storia del jazz di questo paese.
È
ovvio che, come in ogni tenzone degna di codesto nome, le polemiche non mancarono
fin dall’inizio di questa manifestazione, voluta ed organizzata dalla Federazione
Italiana Del Jazz, che aveva tra i suoi quadri le colonne portanti della
storica rivista Musica Jazz, che divenne infatti l’arena pubblica delle tante discussioni.
.
Prima
ci furono i noti contrasti tra i seguaci del traditional e gli alfieri del modern,
poi le missive anonime e le scomuniche dei papaveri di provincia, come nel caso
dell’esclusione del complesso torinese “Jazz At Kansas City”, che generò pressioni
addirittura presso la
Direzione del Casinò di Sanremo, sfociando in protesta sulle
pagine regionali della Gazzetta del Popolo.
.
Poi seguirono gli evidenti
distinguo della RAI TV tra il Festival della Canzone ed il cugino povero del Jazz. Mazzoletti, sulle pagine de “Il Jazz in
Italia”, racconta che «Già la prima edizione ottenne un successo mediatico ben
superiore a quello del Festival della Canzone. Radio e TV si interessarono al
festival e l’intera manifestazione venne registrata»; peccato che in
circolazione ci sia un solo intero concerto (ed intendo disponibile a tutti,
non nelle teche di qualcuno), quello
di Art Blakey ed i suoi
Jazz Messengers, registrato nel marzo del ’63 all’ottava edizione del FdJ e
pubblicato solo nel 2007 dagli spagnoli della Impro-Jazz, più pochissimi stralci: poco più di un minuto del
Quintetto di Nunzio
Rotondo alla prima edizione, una manciata di secondi con Lino
Patruno and the Riverside Jazz Band, nella settima edizione e l’anomalo
ottetto di Duke Ellington, presente alla 9° edizione del 1964.
.
L’ambiguo
rapporto tra la RAI
ed il festival del Jazz, si evince più sinceramente nella rubrica “Lettere al
Direttore”, a partire da MJ del febbraio 1957, dove Gian Carlo Testoni
descrisse ad un lettore di Trieste le banali scuse accampate più volte dalla
direzione della televisione di Stato alla FIDJ (non ci sono ponti radio da Sanremo, in quella fascia oraria
trasmettiamo Mozart, etc etc) per evitare di mandare in onda il festival o
parte di esso.
Anche
nelle parole di Giuseppe Barazzetta, storico redattore di Musica Jazz ed
addetto ai rapporti con i musicisti stranieri per il Festival, raccolte nel
bellissimo volume “una vita in quattro quarti” edito per i tipi di Siena Jazz,
si fa evidente la cecità della RAI rispetto al valore culturale di questo
evento.
Per
ultimo, credo che l’altezzosa superiorità della RAI TV deve essere rimasta
impressa anche nei ricordi di alcuni ospiti internazionali, come nel caso del
IV° Festival quando il sestetto di Albert Mangelsdorf, che con Dusko Gojkovic
alla tromba aprì la seconda serata del 22 febbraio 1959, fu costretto ad
interrompere la performance, restando inattivo sul palco per decine di minuti
in attesa del collegamento televisivo.
.
Per finire, non mancarono i contrastanti pareri proprio sugli ospiti stranieri, che
via via andarono ad occupare sempre più spazio nella scaletta del festival.
Basti pensare che nella prima edizione del ‘56, sui tredici complessi
partecipanti solo tre non erano italiani, mentre nell’undicesima edizione del
festival, quella tanto contestata del 1966, era presente solo il trio di Franco
D’Andrea, con Azzolini e Tonani, su otto complessi. Per dovere di cronaca, c’è
da menzionare la presenza di Enrico Rava, spalla però del quartetto di Steve
Lacy e dello “sconosciuto” Guido Manusardi, alla sua prima apparizione
italiana, con una ritmica svedese.
.
Le
polemiche sulle star internazionali iniziarono con l’esibizione del Modern Jazz
Quartet alla 3° edizione del ‘58, che fece nascere interminabili discussioni
sul loro sofisticato stile in pp,
considerato un ripiego in confronto ai ruggiti aggressivi ed agli scoppiettanti
assoli di batteria che, taluni, ritenessero essere il solo, vero ed unico aspetto
del jazz, per sopirsi solo all’ultima annata del festival, dove si esibirono
Ornette Coleman ed il quartetto di Steve Lacy.
Quest’ultima edizione merita uno spazio apposito, perché potrebbe rappresentare in sintesi la summa delle difficoltà che ebbe a vivere quel festival e chi lo organizzava, oltre alla immaturità di certi critici e dei fan. L’undicesima edizione del Festival Internazionale del Jazz, che si svolse il 26 ed il 27 marzo 1966, fu sottotitolata, non a caso, “Sotto una Cattiva Stella” e iniziò il giorno precedente con la dichiarata inagibilità, da parte delle autorità sanremesi, del Salone delle Feste del Casinò, luogo dove si era sempre svolto il festival, e vide gli organizzatori costretti a ripiegare all’ultimo minuto sul Teatro dell’Opera, che offriva solo una capienza di quattrocento posti, cioè un migliaio di meno del Salone.
Ma questo non fu l’unico “problema tecnico”: durante la prima serata, tra l’esibizione del trio di Oscar Peterson e quello di Ornette Coleman, si sviluppò un principio d’incendio tra le quinte, con relativo panico, perdita di serenità e concentrazione degli ospiti e, per finire in bellezza, il mitico Sonny Rollins, che avrebbe dovuto chiudere la seconda serata con il Trio di Stan Tracey, non si presentò nemmeno nella città dei fiori.
Sul piano artistico, invece, altre “nubi” si andavano ad addensare su quel piccolo proscenio. Non vorrei soffermarmi su quelle appena delineate da Ornette Coleman che, dall’alto della sua statura musicale, si potè permettere di sperimentare con il violino e la tromba nel brano Snow Flakes and Sunshine, generando comunque non poche perplessità tra il pubblico, ma intendo proprio i cirrosi ammassi sonori soffiati da Steve Lacy e dal suo quartetto, «punctum dolens del festival», come lo definì Pino Candini, che così continuò «nel naufragio di Lacy è stato coinvolto il nostro trombettista Enrico Rava, che pur possiede, e non da oggi, innegabili doti naturali»
.
Questo
il ricordo di Rava «al sound check, gli organizzatori ed i giornalisti presenti
non avevano idea di che musica aspettarsi da noi, ma alla fine delle prove gli
sguardi erano preoccupati. Poi, finalmente il concerto. Sala piena. Grandi
applausi durante la presentazione. Si comincia. Stiamo suonando da una decina
di minuti, io con gli occhi chiusi, quando mi rendo conto che in sala sta
succedendo qualcosa di strano. Apro gli occhi e vedo gente che si spintona.
Molti si dirigono velocemente verso l’uscita. Alcuni ci urlano oscenità. In
meno di un quarto d’ora la sala si svuota quasi completamente. Il giorno dopo
sono uscite delle recensioni spaventose, come se suonare la musica che ti piace
sia il peggiore dei reati. Ci hanno attaccato tutti, anche quei critici che
pochi anni dopo sarebbero diventati filo-free-jazz. È stato veramente
terribile, non tanto la reazione del pubblico, ma la critica, ferocissima. A
causa di quelle stroncature ci cancellarono quasi tutti i concerti previsti
nella nostra tournée italiana. Fortunatamente, si salvò un lavoro alla Radio
RAI di Torino che ci salvò economicamente»
.
Per
avere un’idea del pensiero critico di allora, riporto uno stralcio d’intervista
ad Arrigo Polillo, registrata da Mazzoletti su nastro magnetico la stessa sera
del concerto e citata nel suo libro (pag. 630): «Coleman penso sia un artista
dalla personalità notevole, sappia esattamente quello che fa e lo faccia molto
bene, salvo come trombettista e violinista, ché come tale è davvero
discutibile. Lacy
penso che sia un eccellente musicista, ma in questo momento non sappia affatto
quello che fa. Mi spiace di essere molto severo. Penso che questa strada non
conduca da nessuna parte. Quello che dispiace, soprattutto, è che su questa
stessa strada stanno camminando moltissimi in America e penso che questo sia un
danno enorme per il jazz. Penso che se si dovesse continuare così entro due o
tre anni il jazz non esisterebbe più»
.
In
ogni caso, nel bene e nel male, la strana avventura del Jazz in quel Festival
senza vincitori fa parte della nostra Storia e va ricordato, come fece Polillo
nel suo libro “Stasera Jazz”, consultabile online sul sito della Fondazione
Siena Jazz.
Ma torniamo a quel III° Festival del Jazz del 1958, ed alla documentazione sonora che ci può aiutare a capire meglio qual’era l’atmosfera musicale di quell’evento e, soprattutto, ci offre una fotografia dello stato del jazz suonato in Italia sul finire degli anni Cinquanta.
.
La FIDJ annunciò già dalla seconda edizione l’intenzione
della Carisch a pubblicare un documento della serata, poi rinviato all’edizione
successiva. In questo terzo appuntamento, nonostante un programma che vedeva
infittirsi le partecipazioni degli ospiti stranieri, gli uomini della
Federazione registrarono più di sette ore di musica suonata sul palco del
Casinò di Sanremo, dalle quali vennero estratte le voci di più di trenta jazzisti
italiani, in otto formazioni diverse immortalate nel
disco in oggetto, con non poche sorprese.
.
Infatti,
in quella occasione, oltre ai “soliti noti” come il Quintetto Basso & Valdambrini, Glauco Masetti, lo svizzero italianizzato Franco Ambrosetti ed il
Quartetto di Nunzio Rotondo, ci fu l’opportunità di registrare per la prima
volta la tromba di Sergio Fanni, che incise il primo disco a suo nome solo nel
1960 per la mitica serie Jazz from Italy della Cetra, qui presentato come
membro del complesso di Eraldo Volonté, accompagnati dalla ritmica di Renato
Angiolini, Alceo Guatelli e Lionello Bionda.
Poi ci fu la conferma del pianista rivelazione della seconda edizione del festival, quell’Enrico Intra appena ventenne, che giunse a Sanremo direttamente dalla Sardegna, dove prestava il servizio di leva obbligatoria, qui sostenuto da Ernesto Villa e Pupo De Luca. Inoltre, fu registrato per la prima volta il Ten-Tette di Nunzio Rotondo, mai più documentato su disco, con Ennio Gabbi, Marcello Boschi, Gino Marinacci e Gil Cuppini, tra gli altri.
Insomma,
in questo disco troviamo fotografate le forze più rappresentative del
cosiddetto jazz italiano moderno, in una versione live che trasmette energia e
partecipazione e che immortala anche la vitalità del pubblico in sala, a
differenza del freddo aplomb che
accompagna molti concerti dei nostri giorni e, nonostante i modesti mezzi di
registrazione, come ci ricorda più avanti Polillo nella sua recensione, resta
un documento unico di un’era da molti solo immaginata e che adesso è possibile
anche vivere, oltre che sentire.
.
«con
la pubblicazione di questo microsolco si realizza un nostro ormai antico sogno.
Il risultato finale mi sembra più che soddisfacente; non foss’altro perché i
nostri musicisti di jazz fanno sempre miglior figura su un palcoscenico che in
uno studio d’incisione, anche se, naturalmente, le registrazioni di un concerto
dal vivo non possono mai essere perfettissime da un punto di vista tecnico. I
piccoli inconvenienti (qualche background un poco sordo, qualche nota fuori
posto) sono tuttavia compensati ad usura dalla freschezza, dal calore, dalla
validità jazzistica, insomma, delle esecuzioni, che, registrate in uno studio,
sarebbero sicuramente più “pulite” ed acusticamente più nitide, ma anche più
fredde e tutto sommato peggiori. Non si formalizzino, quindi, i musicisti, per
qualche “scrocco” e per qualche pecca acustica: neppure i concerti registrati
in America ne sono immuni. Quello che conta è il resto, e il resto funziona
perfettamente, per tutti»
***************************
Credits:
III° Festival del Jazz - Sanremo
Label: CARISCH
Catalog# TCA 15301
Format: LP
Country: Italy
Catalog# TCA 15301
Format: LP
Country: Italy
Recorded in Sanremo,
18 and 19 january 1958
Tracklist:
1) Zoot (Mulligan) – 3:47
Sergio Fanni (trumpet), Eraldo Volonté (tenorsax),
Renato Angiolini (piano), Alceo Guatelli (bass),
Lionello Bionda (drums)
2) The King (Basie) – 5:20
the same plus Glauco Masetti
(altosax)
3) Lullaby For Trio (Basie) – 4:03
Enrico Intra (piano),
Ernesto Villa (bass), Pupo De Luca (drums)
4) This Is Always (Warren) – 3:05
5) L'amico del giaguaro (Valdambrini) – 8:00
Oscar Valdambrini (trumpet), Gianni Basso (tenorsax),
Gianfranco Intra (piano), Berto Pisano (bass),
Gilberto Cuppini (drums)
1) Lover Man (Davis-Ramirez) - 4:15
Flavio Ambrosetti (altosax), Piero Paganelli (piano),
Jean Siebenthal (bass), Bernard
Pieritz (drums)
2) Memories Of you
(Blake-Razaf) - 3:40
Piero Paganelli (piano),
Jean Siebenthal (bass), Bernard Pieritz (drums)
3) Fine and Dandy
(Swift-James) – 5:30
Nunzio Rotondo (trumpet), Leo Cancellieri (piano),
Sergio Biseo (bass), Gilberto Cuppini - drums
4) Then Men Blowin' (Rotondo) - 6.45
Nunzio Rotondo, Peppe Cuccaro - trumpet
Ennio Gabbi – trombone, Marcello Boschi – altosax,
Marco Del Conte – tenorsax, Gino Marinacci –
baritonesax
Bill Smith – bass clarinet, Leo Cancellieri – piano,
Paolo Pes – bass, Gilberto Cuppini - drums
Grazie, curiosissimo di ascoltare questa testimonianza.
RispondiEliminaPotreste gentilmente dedicare un post al dimenticato vibrafonista FRANCO CHIARI (R.I.P.)una vera eccellenza nazionale .
RispondiEliminaVi ringrazio ed auguro un felice 2013 .
Wish you a great New Year! And thank you once again for a treasure from the Italian Jazz scene.
RispondiEliminaSimply great music!!
Ho gia detto... io aaaamo jazz italiano... !
RispondiEliminauna lettura davvero interessante, un pezzo di storia del jazz che non conoscevo affatto, grazie
RispondiEliminaun cordiale saluto
però RS è 'na tragedia, va lentissimo
EliminaCosa ti posso dire ... GRAZIE come sempre.
RispondiEliminaBellissimo ed interessantissimo.
Dario
dischissimo.
RispondiEliminaMerci beaucoup frère.
Non riesco a scaricare, con Jdownloader mi da "file non trovato", se provo direttamente da RapidShare mi da"Download permission denied by uploader. (0b67c2f5)".
RispondiEliminaMi potete aiutare? Grazie comunque
Sarebbe possibile ri-caricare questa meraviglia?
RispondiEliminaGrazie, in anticipo
reupload someone!?
RispondiElimina