Quella
delle grandi orchestre, non è mai stata una vita facile, si sa. Il primo
pensiero corre all’impegno economico necessario per tenere viva e a lungo una
compagnia composta da una moltitudine di musicisti, ma anche il tema delle
relazioni interne e delle conseguenti lotte intestine, meriterebbe tutta
l’attenzione del caso.
Anche
la conoscenza che abbiamo della storia delle grandi orchestre deve fare i conti
con alcune difficoltà, la più evidente delle quali, in termini di critica
musicale, è che non è semplice analizzare un’entità unica, ma talmente
sfaccettata, usando gli stessi strumenti che solitamente tracciano il profilo
di un singolo artista. Poi c’è l’aspetto discografico, che spesso si ricollega
a quello economico e che, in alcuni casi ha lasciato in ombra diverse realtà
presenti nel panorama.
Per
assurdo, oggi abbiamo uno spaccato piuttosto nutrito delle orchestre
antesignane del jazz italiano, grazie all’immane sforzo di Adriano Mazzoletti
che ha raccontato in migliaia di pagine prima la storia della “Mirador’s
Syncopated Orchestra” del pioniere Arturo Agazzi, della “Ambassador’s
Syncopated Orchestra” del sassofonista Carlo Benzi, della “Louisiana Orchestra”
del sassofonista Piero Rizza o della “Blue Star Orchestra” del violinista Pippo
Barzizza, ma anche della “Savoy Orchestra” del pianista Rodolfo Del Lago e
della “Escobar Orchestra” del pianista Amedeo Escobar.
La
ricerca di Mazzoletti, è dettagliata anche per gli anni Trenta, dove vengono raccontate le gesta della
“Orchestra Jazz Columbia” diretta dal violinista Edoardo De Risi o della
“Orchestra Italiana” del violinista Armando Di Piramo, attive soprattutto in
campo discografico e radiofonico, ma la loro attività non fu mai veramente
costante, né le esecuzioni prettamente jazz numerose.
L’Adriano del jazz nazionale, racconta che fu
solo quando la radio decise di investire su questo tipo di formazione per le
proprie programmazioni che si poterono tenere insieme per periodi un po’ più
lunghi le orchestre. Inizialmente nacque la “Radio Orchestra Milano”, diretta
dal 1933 da Tito Petralia, impiegata oltreché per le trasmissioni radiofoniche,
per incidere dischi per la Parlophon. In
questa orchestra, composta inizialmente da quindici elementi, militavano due
violinisti che furono anche i padri di due future stelle del jazz moderno:
Igino Masetti e Agostino Valdambrini.
Qualche
anno dopo l’EIAR, che poi diventò RAI nel 1944 e che prima utilizzava orchestre
riprese in diretta dalle varie sale da ballo per le sue trasmissioni, per
rispondere al bisogno di modernità costituì a Torino nel 1935 la “Orchestra
Cetra”, diretta inizialmente dal pianista inglese Claude Bampton che,
nell’ottobre 1936, fu sostituito da Pippo Barzizza. Questa Orchestra rimase in
attività per venticinque anni e la prima formazione, che rimase unita fino al
1942 sotto la direzione di Barzizza, fu la migliore grande formazione italiana
in grado d’esprimersi in un linguaggio jazzistico, almeno fino alla seconda
guerra mondiale.
Fin
da subito, come nelle migliori storie di cappa e spada, l’Orchestra Barzizza
ebbe un rivale nato proprio in seno
alla stessa EIAR: l’Orchestra Angelini, diretta dal Maestro Angelo Cinico,
meglio noto come Cinico Angelini. Nonostante l’impostazione più commerciale di
questa compagine, c’è da dire che Angelini impiegò tra le sue fila validissimi
musicisti come Michele Ortuso e Calcedonio “Nello” Digeronimo.
Come
dicevo all’inizio, grazie alle tante informazioni oggi reperibili, potrei
continuare ancora a parlare delle orchestre anteguerra, citando ad esempio
l’Orchestra diretta da Carlo Zeme, che iniziò a trasmettere nel 1939 e che
vedeva tra i suoi musicisti un giovanissimo Oscar Valdambrini, Glauco Masetti e
Mario Midana, o l’Orchestra di Piero Rizza a Radio Roma, attiva dal 1943, dove
si evidenziarono Armando Trovajoli e Nunzio Rotondo o, ancora, l’Orchestra di
Ritmi Moderni diretta da Francesco Ferrari, attiva per dieci anni consecutivi,
sin dal 1944. Potrei, ma c’è già tanto tra le righe della storia, ed io pensavo
di raccontare qualcosa d’altro.
Sì,
perché è sempre curioso notare come alcuni avvenimenti della Storia del jazz si
possano ricordare fin nel più minimo dettaglio ed altri, viceversa, si siano
praticamente smarriti nell’oblio, o quasi. Ad esempio, dall’aprile del 1979 al
maggio 1980, la Big Band della RAI, nella quale figuravano Nino
Culasso, Baldo Maestri, Cicci Santucci, Gianni Oddi, Dino Piana, Carlo Metallo,
Sal Genovese, Maurizio Majorana o Roberto Zappulla, giusto per citarne alcuni, diede diversi concerti a Roma ed a Venezia, voluti da Pasquale
Santoli, con delle special guest di tutto rispetto alla direction.
Avete letto bene: Steve Lacy, Albert Mangelsdorff, Alexander Von
Schlippenbach, Gil Evans, Archie Shepp, Roswell Rudd, Chris Mc Gregor, Barry
Guy, Mike Westbrook, Willem Breuker, Misha Mengelberg, George Russell. Concerti
memorabili, team stratosferici eppure pochi ricordi, nessuna incisione
ufficiale, se non quella della FMP Records (SAJ 31) dedicata alla direction di
Alexander Von Schlippenbach e queste serate si sarebbero dissolte nel tempo se
non ci fosse stata la dedizione dei compagni del mitico Inconstant Sol a tenere viva la
memoria.
Un'altra
orchestra di cui si conosce praticamente pochissimo è quella a cui ho dedicato
questo post che, se si esclude il coraggioso ma breve esperimento dell’Orchestra
013 di Piero Piccioni, è la prima Orchestra squisitamente
Jazz istituita dalla RAI nel dopoguerra, cioè quando il jazz italiano divenne moderno.
L’Orchestra
di Armando Trovajoli, voluta da Giulio Razzi, nacque nell’ottobre del 1956,
sulle ceneri dell’orchestra che fino all’estate di quell’anno fu diretta da
Cinico Angelini. Pierluigi Catalano, in un articolo del ’56 intitolato
“L’Esperimento Trovajoli” diceva che «certamente le ragioni non ultime di
questo avvenimento vanno ricercate nel fiasco,
al Festival Internazionale di Venezia, delle nostre canzoni in diretto
confronto con la produzione leggera
delle altre nazioni europee. Chiarissima è apparsa a tutti la necessità di
sbloccare una situazione che, con il pretesto della difesa della tradizione della Canzone italiana, si
concretava in un costante, ingiustificato ricorso a formulette musicali trite e
risapute che, a prescindere da ogni questione di gusto e di validità artistica,
risultavano alla prova dei fatti, assolutamente superate.»
Trovajoli
aveva già avuto un notevole successo in radio quando, nel ’50, condusse la
trasmissione “Musica per i Vostri Sogni”. Successivamente formò e diresse
l’Orchestra Eclipse, con la quale fu tanto applaudito anche al III° Festival
della Canzone di San Remo, ma questa orchestra era tutta un’altra cosa. L’Orchestra
jazz di Trovajoli apparve come un fatto nuovo ed interessante nel campo dei
programmi radiofonici e televisivi italiani e, scorrendo i nomi dei musicisti,
si può facilmente intuire il perché.
Nella prima versione dell’Orchestra, la
sezione delle trombe era composta da: Oscar Valdambrini, Sergio Fanni, Giovanni
D’Ovidio e Gino Orsatti. Ai tromboni c’erano: Giacomo Polverino, Palmiro
Mautino e Ennio Gabbi. Alle ance: Gianni Basso, Mario Di Cunzolo, Sergio
Valenti, Sergio Rigon e Gino Marinacci, oltre a Berto Pisano al contrabbasso,
Roberto Zappulla alla batteria ed il leader al pianoforte. Oltre a questo vasto
zoccolo duro d’impianto jazz,
Trovajoli aggiunse una sezione d’archi, un corno, un flauto ed un oboe per
costituire un organico orchestrale che gli permetterà di operare in un
vastissimo campo musicale, utilizzando anche gli arrangiamenti di Giampiero
Boneschi, Franco Pisano o Zeno Vukelich.
Con
questa formazione Trovajoli iniziò così a trasmettere sul Programma Nazionale,
a partire dal 14 ottobre 1956, quelli che saranno chiamati i Concerti Jazz. «Quelle prime
trasmissioni domenicali duravano solo quindici minuti, ma le registrazioni,
effettuate ogni sabato pomeriggio precedente la messa in onda, avevano la
durata di un vero e proprio concerto e la presenza di un pubblico conferiva a
quegli eventi registrati in studio le caratteristiche tipiche di un live» dice
Mazzoletti. «Nei concerti, oltre alle esecuzioni per l’intera orchestra,
venivano presentati brani eseguiti da piccoli complessi, come il trio di
Trovajoli, il neonato Quintetto Basso-Valdambrini o il Quintetto di Gil
Cuppini, con Sergio Fanni alla tromba» continua il critico nel suo “Il Jazz in
Italia”
Nel
tempo, diversi furono gli aggiustamenti d’organico effettuati dal Maestro
Trovajoli: per primi le sostituzioni di Nini Rosso, al posto di D’Ovidio e di
Gil Cuppini, che rilevò Zappulla. Successivamente entrarono Nino Culasso, Beppe
Cuccaro, Attilio Donadio ed Enzo Grillini, oltre a Sergio Conti che rimpiazzò
Cuppini. Per ultimo si aggiunsero Baldo Panfili, Bill Gilmore, Livio
Cervellieri e Franco Pisano.
Nonostante
questo continuo fine-tuning,
l’orchestra stette insieme per oltre quattro anni, anche grazie all’ingegno di
Trovajoli che, per tenere unita la sua Big Band durante l’estate del ‘57,
accettò un ingaggio alla “Capannina” di Forte dei Marmi, con la voce aggiunta di
Miranda Martino, che vocalizzava senza parole. Il repertorio della stagione estiva era ovviamente più
popular, e l’ascolto lascia immaginare un’atmosfera satura di romanticismo ed
uno stuolo di signore estasiate.
È
curioso notare che il primo documento sonoro di quella eccezionale orchestra
jazz, fu registrato dalla RCA solo due anni dopo la sua data di formazione, nel
giugno del ’58, con il titolo “Magic Moments at La Capannina”, che lascia
intendere una registrazione dal vivo presso il locale per eccellenza della
Versilia negli anni Sessanta. «La storia di quel disco, in effetti, è curiosa»
dice Trovajoli a Maurizio Becker nel libro “C’era una volta la RCA”. «per quel disco
registrai a Roma una serie di brani da utilizzare durante le pause
dell’orchestra, diciamo delle basi sulle quali io avrei suonato il piano per
far ballare la sala mentre la Big Band
riposava. Erano pezzi alla moda arrangiati con archi ed un esperimento con la
voce femminile di Miranda: la cosa funzionò benissimo e il Magic Moment diventò l’evento dell’estate». Infatti l’ingaggio a La Capannina di Franceschi
proseguì anche per l’anno successivo.
Nonostante l'oggettivo successo di questo live
in playback, il batterista Sergio Conti riporta un ricordo leggermente
diverso a Mazzoletti: «fu un’estate tragicomica. L’orchestra iniziava a suonare
alle nove e andava avanti fino alle tre del mattino. Il repertorio era
insufficiente. Oltretutto Armando non arrivava mai prima dell’una, una e mezza,
sempre vestito di bianco, elegantissimo, quando noi avevamo già suonato tutto
quello che era possibile suonare. Era stato ingaggiato il pianista Vittorio
Buffoli, che sostituiva Armando nella prima parte, anche se, quando arrivava,
al massimo suonava tre o quattro pezzi. L’orchestra, che esauriva presto il
repertorio, era impegnata soprattutto ad ordinare consumazioni al bar, mentre
Buffoli, Berto Pisano ed io, non smettevamo mai di suonare. A Berto, alle tre
del mattino, usciva il sangue dalle dita.»
«I piemontesi erano fantastici» prosegue Sergio Conti
«Valdambrini beveva solo champagne d’annata, Sergio Valenti, Attilio Donadio e
Gianni Basso vini pregiati. Mario Midana era sempre occupato a fare le liste
delle ordinazioni: gelati flambé, liquori di marca… non suonava mai. Tanto che
una sera Franceschi, il proprietario della Capannina, venne da noi e disse “ragazzi, vi pago bene, ma il conto al bar
supera di gran lunga il vostro cachet, come la mettiamo?” ma la cosa non
finì lì. I piemontesi erano soliti prendere in giro Armando perché arrivava
tardi, suonava poco e tutto sommato non si interessava granché all’orchestra.
Una sera, stanco della situazione, ci riunì e senza tanti complimenti licenziò
su due piedi Valdambrini, Basso, Donadio e Valenti, che vennero temporaneamente
sostituiti da Sergio Fanni, Leandro Prete, Santino Tedone e Livio Cervellieri.»
Nell’autunno
del ’58 i Concerti Jazz furono
rinviati e l’orchestra fu diretta a turno oltreché da Trovajoli, anche da
Kramer, Luttazzi e Franco Pisano. Poi, nel gennaio 1959, i piemontesi
rientrarono e l’orchestra di Trovajoli, nella sua formazione migliore, continuò
fino a tutto il 1960.
Di
quei quattro anni straordinari per il Trovajoli in jazz, Mazzoletti riporta in
calce una marea d’incisioni, molte inedite e diverse note, ma tutte in
quartetto, quintetto e sestetto, come quelle pubblicate sotto il titolo
“Trovajoli Jazz Piano” e “Softly”, sempre dalla RCA. Solo un album abbozza un
ritratto dell’Orchestra, il mitico “The Beat Generation” che, come tante storie
di questa Storia, ha avuto una gestazione particolare.
L’album
fu registrato a Roma nel 1960, cioè due anni dopo il grande successo del ’58
della migliore formazione dell’Orchestra Trovajoli e fu pubblicato ancora due
anni dopo la registrazione, cioè solo nel 1962, quando l’orchestra era
praticamente sciolta da tempo e, forse, dimenticata. Lo schieramento registrato
dalla RCA comprendeva Oscar Valdambrini, Nini Rosso, Nino Culasso, Beppe
Cuccaro e Baldo Panfili alle trombe. Bill Gilmore e Dino Piana ai tromboni a
pistoni. Mario Midana, Ennio Gabbi, Enzo Forte e Mario Pezzotta ai tromboni. Attilio
Donadio, Sergio Valenti e Livio Cervellieri ai sax alti e clarinetti. Gianni
Basso, Marcello Cianfanelli e William Hawthorne ai sax tenori. Gino Marinacci
al sax baritono e flauto. Enzo Grillini e Franco Pisano alle chitarre
elettriche. Berto Pisano al contrabbasso, Jimmy Pratt e Sergio Conti alla
batteria e Armando Trovajoli al pianoforte. Gli arrangiamenti furono curati da
Bill Russo, Bill Holman, Bill Smith.
Il
Maestro, sempre a colloquio con Maurizio Becker nel libro citato, così ricorda
quel disco: «in quel periodo avevo una magnifica orchestra scritturata dalla
RAI per un programma di jazz. Ne approfittai per incidere quel disco che porta
il titolo di una composizione di Bill Holman. Purtroppo però quell’album fu
inciso male, con troppe limitazioni tecniche. Sono stati pubblicati solo una decina
di pezzi, ne sacrificammo molti altri che forse erano superiori. Purtroppo quel
materiale è andato perduto e ancora oggi rimpiango di non aver inserito una
versione di Laura firmata da Zeno
Vukelich, il miglior arrangiatore che io abbia mai incontrato»
Ora,
a parte l’imperscrutabilità dei piani delle case discografiche ed i rimpianti
naturali dell’artista, che vede in quello non ancora pubblicato l’aspetto
migliore del suo lavoro, la musica incisa in The Beat Generation resta una delle più significative opere di
un’orchestra italiana, principe del cosiddetto jazz moderno, ed il documento
vinilico, mai ristampato in CD, è uno dei dischi di jazz italiano più rari da
trovare in circolazione.
Enjoy
it!
NdC:
- Art by Mimmo Rotella
- le foto delle orchestre sono tratte dal libro “L’Italia
del Jazz” di Mazzoletti, edito da Stefano
Mastruzzi
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Credits:
The Beat Generation
Label: RCA Victor
Catalog#: PML 10300
Format: LP
Country: Italy
Recorded: 1960, Rome
.
Oscar Valdambrini, Nini Rosso, Nino Culasso, Beppe
Cuccaro, Baldo Panfili (trumpet),
Bill Gilmore, Dino Piana (trnp),
Mario Midana, Ennio Gabbi, Enzo Forte, Mario Pezzotta
(trn),
Attilio Donadio, Sergio Valenti, Livio Cervellieri
(alto sax, cl),
Gianni Basso, Marcello Cianfanelli, William Hawthorne
(tenor sax),
Gino Marinacci (bariton sax, fl),
Enzo Grillini, Franco Pisano (el. g),
Berto Pisano (bass),
Jimmy Pratt, Sergio Conti (drums),
Armando Trovajoli (dir., arr., piano)
.
Tracklist:
1) The Beat Generation (arr.
B. Holman)
2) Why Not (arr. B. Smith)
3) Blues (arr. B. Russo)
4) O.K. (arr. B. Smith)
5)
O.B. Street Blues (arr. A. Trovajoli)
.
1) So Long (arr. B. Smith)
2) The Daffodil’s Smile (arr.
B. Russo)
3) Bonjour Tristano (arr. Valdambrini - Niccoli)
4) Love Is (arr. B. Smith)
5) The Stretch (arr. B.
Holman)