martedì 31 gennaio 2012

Modern Jazz Gang _ Jazz in Italy vol.6_CETRA EPD 42


La Modern Jazz Gang, debuttò ufficialmente nel gennaio del 1958, durante una serata organizzata dal Jazz Club di Roma, ma per l’assenza involontaria di Sandro Brugnolini (alto sax), si dovette attendere il 14 aprile per poter esprimere un giudizio critico su questo complesso.


In realtà le sue origini risalgono a diversi anni prima, essendo la MJG l’evoluzione della Junior Dixieland Jazz Band, nata nel ‘51 all’epoca del revival italiano, influenzata dalla musica di King Oliver, Jelly Roll Morton e Louis Armstrong. La formazione iniziale era così composta: Giorgio Giovannini, tromba; Sandro Brugnolini, clarinetto; Alberto Collatina sax soprano, tenore e pianoforte; Ferruccio Piludu, trombone; Gino Tagliati, pianoforte; Ennio Marsico, chitarra; Boris Morelli, contrabbasso; Franco Morea, batteria. 


La JDJB è stata, con la Roman New Orleans Jazz Band, la Original Lambro Jazz Band e la Milan College Jazz Society, una delle quattro più importanti formazioni di stile tradizionale e l’unica che ha vissuto, con coraggioso slancio, una continua evoluzione.


Infatti, “dopo nemmeno un anno e mezzo di tentativi neworleanseggianti e quindi di musica nerissima, rimanemmo come magicamente folgorati sulla via di Davenport, la città di Bix Beiderbecke, proprio dalla sparuta componente bianca del jazz. E quella che era stata per noi la Junior Dixieland Jazz Band, già nota nel 1951 soprattutto per una street parade finalizzata a raccogliere fondi e indumenti per gli alluvionati del Polesine, divenne nel marzo del 1953 la Junior Dixieland Gang : laddove « Junior » era come un ossequio alla Roman New Orleans Jazz Band che, insieme con Carletto Loffredo, ci aveva tenuto a battesimo al Jazz Club Roma; « Dixieland » era l'indicazione generica dello stile prescelto e poi costituiva il nocciolo duro, appunto, della prima denominazione dell'orchestra; « Gang », infine, era il segno specifico del tipo di musica che avremmo suonato, in omaggio alla storica Gang di Bix per le incisioni del '27 e del '28”.


Oltre all’amore per le raffinate atmosfere bixiane, la spinta per il primo passaggio evolutivo venne soprattutto grazie alle capacità di arrangiamento e composizione di Sandro Brugnolini e di Francesco Forti, nuovo sassofonista inserito nel nucleo della formazione originaria, permettendo così ad Alberto Collatina di dedicarsi esclusivamente al trombone e, saltuariamente al pianoforte.


Nonostante tutto noi della Gang, giovani evidentemente animati da quel furore bixiano ben poco redditizio commercialmente però molto appagante artisticamente, ci provammo lo stesso e, per primi in Europa (quando si escluda soltanto un preciso momento della vita dello scrittore e musicista Boris Vian), ci rifacemmo in toto allo spirito di Beiderbecke, Trumbauer, Rollini, Don Murray, Bill Rank, Eddie Lang: ci buttammo a corpo morto a ricreare le atmosfere armonicamente complesse di quella musica, studiando e rifacendo tutti i brani del repertorio bixiano, da Royal Garden Blues a Jazz Me Blues, da At The Jazz Band Ball a Margie, a Louisiana, a Mississippi Mud, come ad assimilarne ogni più piccolo segreto di fraseggio, di accenti, di collettivo così serrato e geniale coi suoi pianissimo alternati a improvvisi fortissimo, cosa che le altre band non facevano mai suonando quasi sempre, diciamolo pure, al massimo dei decibel”.


Questa la formazione della JDG dal 1952 al 1954, con unica variazione di Roberto Trillò alla batteria che nel ’53 rilevò Morea : Giorgio Giovannini, tromba; Alberto Collatina, trombone, pianoforte; Sandro Brugnolini, clarinetto, arrangiatore e leader del gruppo; Francesco Forti, sax baritono, alto e arrangiatore; Gino Tagliati, pianoforte; Sergio Nardi, chitarra; Boris Morelli, contrabbasso; Franco Morea, batteria.


"Ognuno di noi, ovviamente, aveva preso a modello il musicista che nella Gang bixiana aveva ricoperto il medesimo ruolo; e tuttavia, pur avendo riprodotto alla perfezione tutti i brani classici di quel repertorio assimilandone compiutamente il fraseggio, impadronitici compiutamente del linguaggio incominciammo ad usarlo anche su brani autonomi, affrancati da quelli di Bix; al punto che, divenuto praticamente il leader del complesso di cui curavo la maggior parte degli arrangiamenti, io stesso mi cimentai addirittura nella composizione di un brano originale, non a caso intitolato “Bixin'The Blues” dove al "Singin" del notissimo pezzo di Bix-Trumbauer avevo voluto sostituire il nome del nostro ispiratore”.


Il 1953 fu un anno fondamentale per la Junior Dixieland Gang. Il 10 marzo tennero un concerto per commemorare il cinquantenario della nascita di Leon Bix Beiderbecke, organizzato dal Circolo Romano Del Jazz presso l’Associazione Artistica Internazionale di Via Margutta. 

Fu un successo di pubblico e di riconoscimenti della critica ufficiale “la JDG si è presentata nell’attuale formazione eseguendo i seguenti brani: Royal Garden Blues, Indiana, Louisiana, Margie, Way Down Yonder in N.O. (ottima esecuzione di Collatina al piano in assolo), Ballin’ the Jack, Mississippi Mud, Canal Street Blues e At the Jazz Band Ball. Il collettivo e gli assoli, di gusto nettamente « bianco », hanno confermato la piena assimilazione dello stile della « Gang » bixiana nei suoi elementi essenziali; non si creda però che non vi sia una personale elaborazione da parte di questi giovani musicisti che in pochissimo tempo hanno veramente fatto passi da gigante: la loro personalità ha modo di risaltare sia negli interventi « a solo » che negli arrangiamenti di gusto sicuro (dovuti alla penna di Brugnolini, Forti e Giovannini). Non avevamo mai sentito una tromba italiana suonare cosi « Bix » come Giovannini; Collatina è una colonna granitica dall’intonazione perfetta; di Brugnolini sono ben note le qualità ed il gusto musicale; a Forti, maestro nel contrappunto e nell’accompagnamento, vorremmo tuttavia raccomandare una sonorità più aggressiva. Ottimi i ritmi. […] È raro trovare in Italia un gruppo di musicisti cosi serii, coscienziosi e preparati musicalmente. Dopo tante caciare goliardiche fa veramente piacere trovare gente che preferisce la musica al frastuono” (Roberto Capasso – Musica Jazz Aprile 1953).


Il 7 e 8 maggio dello stesso anno, i ragazzi della JDG incisero a Milano le loro prime nove matrici, quasi tutti i pezzi suonati al tributo romano più quel “Bixin The Blues” di Brugnolini che, oltre ad essere un chiaro omaggio al loro ispiratore, affermava il loro desiderio, e le notevoli capacità, di creare nuove forme ispirate dalla musica di quel periodo. Poi “ fu proprio come accadeva nelle dorate favole dei film americani dell'epoca: il più importante critico di jazz, Arrigo Polillo, mi spedì a Roma il contratto per una serie di registrazioni con la mitica Columbia-Voce del Padrone-Pathè, dopo aver ascoltato una nostra prova incisa avventurosamente in casa di Alberto Collatina sul « Gelosino » di allora e speditagli senza alcuna speranza nemmeno di risposta. Registrammo i pezzi in una vecchia chiesa sconsacrata al centro di Milano, con i microfoni che pendevano dalle volte, le macchine in sacrestia e non senza problemi: al primo pezzo a Gianni Nardi cadde la penna dentro il foro della chitarra… si bloccò la registrazione e tutti a turno a cercare di sbattere quello strumento per farla uscire di nuovo… Poi, forse per l'emozione, per il fatto di essere al centro di una avventura musicale irripetibile, per l'ansia, per la responsabilità degli arrangiamenti e della direzione che ricadeva soprattutto su di me, a un certo punto mi mancò totalmente il fiato, non respiravo più e fu Nunzio Rotondo, grande nostro amico e maestro di tutti noi all'epoca, a massaggiarmi la schiena insieme con Polillo per farmi riprendere a suonare”.


Dal giugno al dicembre 1953 la Junior effettuò una lunga tournée, organizzata da Carlo Peroni, insieme al quintetto di Nunzio Rotondo, toccando Angera (VA), Torino, Cerano (NO), Livorno, Ferrara, Padova e naturalmente Roma. Rotondo, come fa Enrico Rava oggi, si è sempre accompagnato con molti giovani musicisti, dilettanti o professionisti, prendendo da loro la spinta innovativa ed influenzando, a sua volta. i loro primi passi acerbi. “con Nunzio abitavamo nello stesso quartiere di S. Bibiana, lui in via Cairoli, io in Viale Manzoni. Anche Enzo Scoppa, giovane sassofonista che poi entrò nell’orchestra che formai nel 1956, e che tanto suonò con Rotondo, abitava nello stesso quartiere”.


Nel 1954 Leo Cancellieri, pianista di Sulmona già attivo con Rotondo, sostituì Gino Tagliati, offrendo stimoli nuovi ed illuminando future tendenza della Gang. Il 3 e 4 maggio di quell’anno, incisero ancora una decina di facciate per la Pathé, con l’aggiunta di Sandro Serra al sax tenore. Tutti i brani della JDG furono incisi su 78rpm e ripubblicati in Cd solamente nel 1991, in allegato al n° 14 della rivista Blu Jazz, diretta da Adriano Mazzoletti.

Poi, nell’autunno del 1955 la Junior Dixieland Gang si sciolse “quando, dopo aver suonato alla radio, a vari festival, in tournée, aver inciso una ventina di dischi, eravamo al culmine della notorietà e rappresentavamo una specie di punto di riferimento originalissimo nell’ambito di tutto il revival europeo. Invece di sfruttare il successo, come molti avrebbero fatto, decidemmo di ricominciare tutto da capo”.


L’interruzione, dovuta anche a problemi di salute di Brugnolini ed al suo lavoro come giornalista al quotidiano “il Popolo”, dove per anni si occupò della redazione parlamentare, non fu motivo per perdersi tra i tanti gruppi cometa del jazz ma per elaborare nuove strade a loro più congeniali.
A quel punto io ebbi la percezione che si sarebbe potuta proseguire la strada intrapresa da Bix anche e soprattutto nel jazz moderno; cambiai nome all’orchestra che divenne “Modern Jazz Gang” (quel Gang rimase come nostalgico omaggio alla matrice sonora) e che, anche con nuovi prestigiosi elementi come Cicci Santucci, Enzo Scoppa e Roberto Podio i quali si aggiunsero al nocciolo duro della Gang rappresentato oltre che da me (passato dal clarinetto al sax alto) ovviamente anche da Alberto Collatina al trombone, Leo Cancellieri al pianoforte e Carlo Metallo al baritono, incominciò subito a distinguersi per una sua caratteristica molto speciale: tutti i pezzi in repertorio non appartenevano ai consueti tunes o canovacci cari al jazz moderno ma erano esclusivamente brani composti e arrangiati da me o da altri componenti dell’orchestra. Infatti l’esperienza compositiva e gli approfondimenti dovuti al messaggio di Bix ci avevano portato inevitabilmente a spaziare su altri mondi, quelli del jazz più avanzato”. 


E fu così, come dicevo in apertura, che nel 1958 nacque la Modern Jazz Gang, nella seguente formazione:
Cicci santucci (tp), Alberto Collatina (trne), Sandro Brugnolini (alto sax), Enzo Scoppa (tenor sax), Leo Cancellieri (p), Sergio Biseo (bass), Roberto Podio (drums). La stessa formazione ( con Adriano Pateri che sostituì Cancellieri al pianoforte), partecipò nella terza serata al II° Festival Nazionale del Jazz, organizzato al Teatro Quirino di Roma dal 6 al 11 Maggio ‘58. Di nuovo un tripudio di pubblico e critica, generato sia dall’attesa che dall’aspettativa che la nuova forma della promettente Junior Dixieland Gang avrebbe potuto assumere. Fu quella l’unica occasione in cui la MJG vinse il suo unico premio, la Coppa Paese Sera per il miglior pezzo originale, Arpo di Sandro Brugnolini, apertamente dedicato ad Arrigo Polillo.


Il 26 gennaio 1959, Alessandro Protti e Carlo Magnani, curatori della raccolta “10 anni di jazz in Italia” per la Astraphon, chiesero alla Gang di registrare la loro prima traccia in quella antologia, e la scelta ricadde nuovamente su Arpo, ma con Carlo Metallo (bariton sax) al posto di Scoppa.

Finalmente, tre mesi dopo, Salvatore G. Biamonte suggerì alla RCA di far incidere il primo disco a nome della Modern Jazz Gang, registrato con quella che si può definire la formazione abituale (tre saxes, trombone, tromba e ritmi), con la sola sostituzione di Roberto Petrin al posto di Podio alla batteria. Quattro i brani originali registrati su quel EP, Alexis (Cancellieri), Léopoldville (Brugnolini), Giardino di Boboli (Scoppa) e Robert’s Tune (Brugnolini), anche questi mai più ristampati, tranne i due di Brugnolini apparsi in un CD dedicato alla MJG allegato alla rivista “il Giaguaro” nel 2007.


Con la seguente formazione, Cicci Santucci (tp), Alberto Collatina (trne), Sandro Brugnolini (alto sax), Enzo Scoppa (tenor sax), Carlo Metallo (bar sax), Leo Cancellieri (p), Sergio Biseo (bass), Roberto Podio (drums) più Puccio Sboto al vibrafono, la MJG partecipò alla Coppa del Jazz, indetta nel gennaio 1960, arrivando al IV° posto su settantadue gruppi, dopo il quintetto di Gil Cuppini, il quintetto di Torino capitanato da Dino Piana e l’Enrico Intra trio. In quell’occasione la RCA pubblicò un LP con la singola traccia “Alichi” di Collatina eseguita dalla Gang. Solo nel 2009, per l’etichetta Via Asiago 10, furono pubblicati in CD altri due brani di quel concorso radiofonico, “Polimnia” di Scoppa, Santucci, Metallo e “The Drum is a Tramp” di Scoppa, Santucci, Brugnolini.


Il 6 maggio 1960, la Modern entrò negli studi romani della Cetra, con Puccio Sboto al pianoforte al posto di Cancellieri ed incise ancora una volta “Polimnia” e “The Drum is a Tramp”, più due nuovi originali “Carme for J” (Metallo) e “Blue Mirria” (Brugnolini), per l’EP che venne dato alle stampe come il 6° volume della serie Jazz in Italy.


A quel punto, con quella visibilità acquisita, la Modern Jazz Gang ricevette molte proposte di nuove sedute di registrazione, tra queste segnaliamo quelle per la Adventure, una piccola etichetta romana fondata da Claudio Consorti, proprietario di un noto negozio dei dischi della capitale, tra cui il bellissimo “Miles Before and After”, registrato in due sedute, il 22 settembre del ’60 ed il 17 marzo 1961 e recentemente ristampato ad opera di Paolo Scotti, per la Déjà Vu. Con il brano che diede il titolo a quel fantastico LP, la Modern rappresentò l’Italia al Festival Internazionale del Jazz di Sanremo del 1961.


Molte anche le richieste di sonorizzazione per film e documentari, la maggior parte irreperibile su supporto sonoro, incise su pellicola per la Corona Cinematografica presso l’Elettronica Calpini o la International Recording di Roma. “nel registrare le colonne sonore s’improvvisava mentre passavano i rulli della pellicola; alcune volte i temi e gli arrangiamenti erano preparati, ma ampio spazio veniva lasciato alla creatività dei vari solisti”.


Su tutte citeremo la colonna sonora de “Gli Arcangeli” di Enzo Battaglia, uscita nel novembre 1962 per RCA e ristampata sempre dalla Déjà Vu con questa formazione: Cicci santucci (tp, flgh), Sandro Brugnolini (alto sax, cl), Enzo Scoppa (tenor sax, fl), Carlo Metallo (bar sax), Puccio Sboto (vib), Amedeo Tommasi (p), Maurizio Majorana (bass), Roberto Podio (drums). In tre brani di questa ost è presente la voce di Helen Merrill.


In quello stesso anno la Modern Jazz Gang inesorabilmente si sciolse, con Brugnolini sempre più impegnato nella sonorizzazione cine TV (suo il brano Montecitorio, che è stato per moltissimi anni la sigla televisiva del programma della RAI – Speciale Parlamento), con Santucci & Scoppa che inaugurano un loro quintetto che proseguì insieme per almeno un altro decennio e Carlo Metallo che riuscì ad essere assunto nell’orchestra della Radio.


Certo, ci furono alcune rimpatriate tra Brugnolini ed i membri della Modern Jazz Gang, come quelle del ’64 con Cicci Santucci per il documentario “Ogni Giorno” di Piero Nelli o con Carlo Metallo per “L’iradiddio” documentario di Pino Zac, in entrambe le sedute erano presenti anche Gato Barbieri e Franco D’Andrea. Poi ancora nel ’67 Brugnolini chiamò ancora Santucci ed Enzo Scoppa per l sonorizzazione di “Fantabulous”, film di Sergio Spina e nel ’68 incise con Santucci e Metallo la colonna di “Gungala, la pantera nuda” film di Ruggero Deodato.


Io però continuai la mia esperienza musicale trasferendo le ormai acquisite capacità compositive e di arrangiatore sul piano delle colonne sonore in generale, e dunque anche al di fuori dell’ambito strettamente jazzistico. Per la televisione ho musicato decine e decine di filmati e creato la musica delle sigle di non pochi programmi: la prima sigla del TG2, negli anni Settanta, è stata composta da me con strumenti elettronici allora davvero insoliti; un’esperienza che ha lasciato il segno e che ha avuto un positivo seguito, essendomi specializzato negli ultimi anni proprio nella computer music. In questo genere, che spesso appare inviso a tanti colleghi jazzisti cui forse manca la spinta di rinnovarsi, ho al contrario ritrovato la possibilità di esercitare quel « tutto da solo » che costituisce proprio la caratteristica peculiare del vero autentico jazzista il quale, pur essendo certamente in grado di socializzare nel gioioso ambito del collettivo, è però soprattutto un inguaribile narcisista solitario in quanto «creatore e al tempo stesso interprete» di tutta la musica che va sciorinando”.


Ecco, questa la storia della Modern Jazz Gang, e del suo leader Sandro Brugnolini che, pur non avendo mai vinto un premio (si, lo so, il Top Jazz non esisteva) è stata, e rimarrà per sempre, una delle migliori formazioni italiane di quegli anni Cinquanta e, forse, la più rappresentativa dello spirito sempre cangiante del jazz.


Nota: tutti i corsivi, a parte dove specificato, sono stralci d'interviste a Sandro Brugnolini tratte da Blu Jazz, www.jazzmeblues.it, ed il libretto del CD allegato a "il Giaguaro".

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Modern Jazz Gang  _ Jazz in Italy vol.6 



Credits:

Label: CETRA
Catalog #: EPD 42
Format: EP
Country: Italy

Recorded at Rome,
1960, Maj 6


Cicci Santucci (tp),
Alberto Collatina (trne),
Sandro Brugnolini (alto sax, arr),
Enzo Scoppa (tenor sax),
Carlo Metallo (bar sax),
Puccio Sboto (p),
Sergio Biseo (bass),
Roberto Podio (drums)



Tracklisting:

1) Carme for J - 3:15
2) The Drum is a Tramp- 3:18
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3) Polimnia - 3:45
4) Blue Mirria - 3:30


Thanks at the Centro Studi Siena Jazz for images


lunedì 23 gennaio 2012

TOP JAZZ STORY _1982 - 2011

OVVERO: È PIÙ FACILE CHE UN APPASSIONATO SI METTA A CRITICARE UN CRITICO, CHE UN CRITICO INIZI AD ASCOLTARE I MUSICISTI CON ORECCHIO APPASSIONATO, O CHE UN MUSICISTA S’IMPEGNI A FAR APPASSIONARE UN ASCOLTATORE?


È stata la grande festa del jazz italiano. Una celebrazione più che meritata da parte dei musicisti, i cui nomi, come i lettori sanno, sono usciti dai risultati del referendum Top Jazz da noi promosso tra oltre cento «addetti ai lavori» di tutta Italia. Lo scopo di questa consultazione – giova ribadirlo – non era quello di stabilire una precisa graduatoria di valore (nessuno crede a queste cose – che appartengono piuttosto al mondo dello sport – e noi meno che mai) bensì di mettere in evidenza musicisti e complessi che nell’anno passato hanno avuto modo di proporre, con concerti e dischi, un’immagine di se stessi particolarmente positiva”.

Con queste parole Pino Candini recensiva la serata organizzata da Musica Jazz al Ciak di Milano il 7 Marzo 1983, all’indomani del primo referendum indetto dalla rivista, all’epoca diretta da Arrigo Polillo.

tormento-interiore_1925

In realtà, e per dovere di cronaca, un contest era stato precedentemente tentato dalla rivista già nel maggio 1963, sotto la direzione di Giancarlo Testoni, che attraverso la compilazione di un questionario chiese ai lettori dell’epoca di esprimersi sullo stato del jazz dividendo l’inchiesta tra i musicisti italiani ed accorpando gli americani ed europei in una seconda parte della scheda.
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Il risultato fu che, nel numero 200 della rivista (ottobre 1963), uscì un articolo firmato dall’intera redazione ed intitolato “Un referendum impossibile” per via delle tante schede irregolari ricevute che disegnavano la volontà di alcuni di vincere a tutti i costi la gara, a discapito di una corretta ed utile fotografia del panorama jazzistico italico.


Ma torniamo al Top Jazz, quello che con questo nome è arrivato fino ai giorni nostri e che fu pubblicato per la prima volta nel gennaio 1983, per tentare di fare il punto sull’annata jazzistica appena conclusa, quella del 1982. Questa volta a rispondere furono esclusivamente un centinaio tra critici, giornalisti specializzati, organizzatori di concerti, responsabili di rubriche radiofoniche o televisive che, attraverso otto sezioni del referendum, così votarono:
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Miglior disco italiano
Opening Night di Enrico Rava Quartet

Miglior musicista italiano
Franco D’Andrea

Miglior gruppo italiano
Enrico Rava Quartet

Miglior disco straniero
We Want Miles di Miles Davis

Miglior musicista straniero
Sonny Rollins

Miglior gruppo straniero
Freddie Hubbard Superstars Quintet

Miglior nuovo talento internazionale
Winton Marsalis

Evento dell’anno
Il ritorno di Miles Davis in Italia.
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 primo acquerello astratto_1910

Ovviamente, le critiche al referendum videro luce simultaneamente all’ideazione del Top Jazz stesso, e questo è sano, ma spesso si ricadeva in un semplice contro dibattito soggettivo (Tizio dovrebbe procedere Caio, e non viceversa), o in cavilli superficiali che sembravano più una scusa per attaccar maretta che altro. Una su tutte, la diatriba sul periodo preso in considerazione in merito alla categoria Miglior Disco dell’anno, che per logica avrebbe dovuto seguire l’ordinamento del calendario solare (1 Gen – 31 Dic), ma per ovvie ragioni d’impaginazione e stampa non poteva includere il mese di Dicembre nelle valutazioni. Anche questo dettaglio scatenò ulteriori polemiche che richiesero, ogni volta, la pubblicazione del periodo di riferimento (a volte cambiato in 1 Dic – 30 Nov).
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Questa prima edizione fu documentata su LP, con la registrazione di parte del concerto tenuto nella sera del 07 marzo ed i partecipanti italiani, cosa rara sia allora che oggi, usufruirono anche di un passaggio televisivo nella trasmissione Blitz, condotta da Gianni Minà e registrata il giorno precedente al concerto.


Per avere un’altra edizione del Top Jazz documentata su supporto sonoro, dovremmo attendere il 1999, anno nel quale la rivista pubblicò in CD i risultati del sondaggio, aprendo ad una tradizione che va avanti ancora oggi.
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La seconda edizione del Top Jazz fu quella del 1984 (l’annata ’83, chissà perché, non ebbe il suo referendum), anno in cui risposero ottanta «addetti ai lavori», questa volta a nove domande leggermente diverse, con l’aggiunta del miglior nuovo talento italiano, divise nelle seguenti categorie:

Miglior disco italiano
No Idea of Time di Franco D’Andrea Quartet

Miglior musicista italiano
Franco D’Andrea

Miglior gruppo italiano
Lingomania

Miglior nuovo talento italiano
Paolo Fresu

Miglior disco straniero
Historic Concerts di Max Roach & Cecil Taylor

Miglior musicista straniero
Miles Davis

Miglior piccolo complesso straniero
Miles Davis

Miglior grande orchestra straniera
Gil Evans

Miglior nuovo talento internazionale
Bobby McFerrin
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improvvisazione-XXVI_1912

C’è da dire che, per la trasparenza del poll, sin dal principio la rivista pubblicò la lista dei votanti, il dettaglio delle votazioni (chi vota cosa) e, almeno dal 1999, tutti i nomi a seguire dopo i primi in classifica, anche quei dischi e/o musicisti che avevano ricevuto un solo voto a favore.
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In ogni caso, da quello spunto iniziale datato ‘82, il Top Jazz è andato avanti quasi ininterrottamente fino ad oggi, con la formula di raccontare nel primo numero di ogni nuovo anno della rivista, le produzioni, gli accadimenti ed i personaggi che hanno segnato l’anno appena concluso o, quantomeno, quelli che avevano attirato l’attenzione della critica specializzata.
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Uno scossone si ebbe con l’edizione del 2004, quando Alessandro Achilli e Luca Conti, due redattori di Musica Jazz, resero pubblico il fatto, segnalato come anomalo, che alcuni giurati avevano votato dei musicisti italiani in una delle categorie dedicate ai jazzisti internazionali (MJ Febbraio 2005). Da quello spunto pubblicarono una lettera aperta alla rivista, in cui lanciavano il quesito “ma il jazz italiano è davvero maggiorenne?” e proponevano una nuova regola, cioè quella di non considerare votabile come “nuovo talento” chi avesse già pubblicato almeno un disco da leader.
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Nella risposta di Filippo Bianchi, all’ora Direttore, si intravedono “in nuce” i cambiamenti che scuoteranno di lì a breve l’assetto del referendum, e della rivista tutta. Bianchi, seguendo una tradizione connaturata alla rivista e di nobili intenti, chiama all’appello i lettori, i musicisti ed i critici che votano nel Top Jazz per conoscere pubblicamente le loro impressioni ed avviare così un dibattito allargato.
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Tra le risposte interessanti, oltre che condivisibili dal sottoscritto troviamo quella di Antonia Tessitore (RaiRadio3) che esprime dubbi sull’utilità del referendum, se non altro perché compilato da “persone specializzate che non rappresentano certo l’ascoltatore medio italiano […] dato che molti non comprano i dischi ma li ricevono” e propone di chiedere ai distributori/rivenditori un dettagliato rapporto annuale sulle vendite, oltre che tornare a coinvolgere i lettori.

Maurizio Franco (Musica & Dischi, Musica Oggi) concorda con il Direttore sulla divisione tra jazz italiano ed il resto del mondo, “per non partecipare alla scomparsa delle culture nazionali. Sarebbe una tragedia culturale, una globalizzazione della mente artistica che uccidendo i relativismi culturali ridurrebbe la varietà dei modi di esprimersi”.

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Ottimo l’intervento di Paolo Damiani che trova giusto e doveroso che un periodico italiano di jazz si occupi dei musicisti nazionali per valorizzarli e farli conoscere e sottolinea che “ci sono musicisti italiani che fanno jazz e non musicisti che fanno jazz italiano”. La lettera di Damiani, che è quella di un musicista è utile ricordarlo in questa sede, ci lascia con più domande che risposte: “chi compone il gruppo ZU? Dove sono finiti maestri come Gaslini, Intra, Cerri, Schiano, Tommaso, Cazzola? È giusto inserire Gianni Lenoci nella categoria nuovo talento? I giurati hanno ricevuto tutti i CD? E chi glieli manda, l’etichetta discografica o il musicista?” ed una costruttiva proposta “i temi all’ordine del giorno dovrebbero essere altri che un innocuo e divertente giocattolo chiamato Top Jazz: Quanto Jazz viene prodotto e proposto in RAI? Perché la Scala programma solo Jarrett? E perché il più mal ridotto teatro di periferia tenta di imitare la Scala, senza averne possibilità? Per cui ragioniamo sull’urgenza di costruire un coordinamento di soggetti diversi che rappresenti le varie anime del jazz che si produce, si studia e si diffonde oggi in Italia”.

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Termino con la risposta di Francesco Martinelli che ci riporta alla realtà e ci ricorda: “tutte le riviste fanno i loro polls: Leonard Feather s’inventava i risultati di Metronome per promuovere i musicisti di be-bop, che negli anni Quaranta nessuno avrebbe altrimenti votato; la rigorosa Cadence chiede ai collaboratori d’indicare i loro dischi preferiti, ma non somma i voti dando un vincitore finale. In arte non c’è né un migliore né un peggiore, ci sono solo opzioni diverse che risuonano diversamente con le sensibilità delle diverse persone. Il Top Jazz per me ha valore solo come evento di carattere mediatico, al meglio come promozione di questa musica presso un pubblico più vasto, al peggio come luogo d’infinito gossip”.
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Chi volesse leggere l’intero carteggio (MJ Mar_Apr 2005), può fare richiesta al Centro Studi della Fondazione Siena Jazz.
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Nel numero di Novembre 2005 Bianchi pubblica una lettera aperta in cui cita Pasolini dello splendido "Uccellacci e uccellini" e, attraverso le parole pure di Ninetto dichiara di lasciare tutto così com’è, o quasi, assumendosene ovviamente le responsabilità. Conferma che il Top Jazz è il referendum del mondo del jazz italiano, apprezza le proposte di modificare l’elezione del nuovo talento, ma ci ricorda che questo è un Paese che soffre più di ogni altro in Occidente di una sorta di «superfetazione legislativa», che crea irrisolvibili labirinti normativi nei quali a tutti è toccato perderci o tentare di districarci con ingenti energie, per cui potremmo ottenere molto di più delegiferando anziché continuando a legiferare.
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Di conseguenza, nell’edizione del 2007 - ventesima edizione del Top Jazz - la rivista decise di dedicare esclusivamente al jazz italiano il referendum.
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Perché si cambia? Qual è il significato di spostarsi da una visione così vasta, tale da abbracciare addirittura il jazz nel mondo intero, ad un obiettivo molto più concentrato? Possiamo partire dal rischio di una stanchezza della formula, tradotta negli ultimi anni in ripetitività dei risultati. Ma assai più forte sentivamo l’esigenza di adeguare il Top Jazz a questa lunga stagione di grande creatività e reputazione internazionale che il jazz di casa nostra sta vivendo. Non è, quindi, una scelta «provinciale», della coltivazione di un privato orticello; è al contrario un impegno tendente a dare agli esiti del referendum il massimo risalto internazionale, proprio per un meno superficiale riconoscimento. Se ormai tutte le consorelle straniere, Down Beat in testa, ci dicono quanto siano bravi alcuni (i più noti) dei nostri, noi a tutti forniamo un quadro generale in cui di bravi ce ne sono molti altri, che magari oltre frontiera non hanno mai sentito nominare, e magari anche l’appassionato nostrano trascura.
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Tutto questo si muove in una logica di «promozione» che da sempre appartiene allo spirito del Top Jazz, al di là della spettacolarità delle classifiche”.
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La rivista, nella sua dichiarazione d’intenti era chiara e, nelle stesse nove sezioni del sondaggio, poté ampliare i settori in cui valutare i musicisti italiani creando cinque categorie a carattere individuale. Sessanta esperti tornarono a votare e, nel gennaio del 2008, questa la classifica che si presentò agli occhi dei lettori appassionati:

Disco dell’anno
Al Tempo che Farà di Paolo Damiani
ex aequo con The Third Man di Rava & Bollani

Musicista dell’anno
Enrico Rava

Formazione dell’anno
Italian Instabile Orchestra

Miglior nuovo talento
Giovanni Guidi

Compositore o Arrangiatore dell’anno
Dino Betti Van Der Noot

Strumentista dell’anno – Ottoni
Gianluca Petrella

Strumentista dell’anno – Ance
Daniele D’Agaro

Strumentista dell’anno – Pianoforte, Tastiere, Chitarra
Roberto Cecchetto
ex aequo con Stefano Bollani

Strumentista dell’anno – Basso, Batteria, Miscellanea, Voce
Roberto Gatto
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improvvisazione-VII_1910

Ancora una volta le polemiche dei lettori infuriarono.
Prima si contestò la decisione di guardare solo al jazz italiano, scelta che sembrava retrograda, riduttiva e provinciale ai più, nonostante le esplicite premesse degli organizzatori, e questo fa sorridere se si pensa che per i primi 30/40 anni la rivista veniva spesso accusata di esterofilia a discapito dei musicisti del Bel Paese.
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Secondo si confutò la scelta, arbitraria ma legittima, di mettere insieme le pere e le mele, di accorpare cioè strumenti abbastanza differenti sotto la stessa categoria, che creava perlopiù pasticci anziché utili distinguo tra i vari musicisti. In questo caso la rivista difese la posizione, intanto ricordando in modo ironico ai lettori che già in altre occasioni l’idea di mettere insieme le pere con le mele era stata utilizzata nell’Arte, ed aveva dato risultati grandiosi, come nel caso delle nature morte di Paul Cézanne poi, assumendo toni più seri, dichiarando che gli accorpamenti erano necessari, altrimenti la furia metodologica imporrebbe una categoria a sé per l’ottavino, una per il fagotto, una per il violoncello e così via, dal momento che tanti sono gli strumenti atipici che, anche nel jazz, hanno avuto personalità illustri.
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Nel gennaio 2009 si dichiara pubblicamente il successo dell’iniziativa “con l’adesione alla nuova formula che resta molto alta a livello nazionale, per la quale hanno votato anche critici illustri che non avevano mai votato prima”. E si affermano alcuni assestamenti tra le regole, che comunque sarebbero esistite da sempre, come “non esistono pari merito” e che “tra i nuovi talenti non sono rieleggibili i vincitori dei precedenti sondaggi”. Alla fine, i cinquantasei «addetti ai lavori» così si esprimono in merito al Top Jazz 2008:
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Disco dell’anno
Canto di Ebano di Gabriele Mirabassi

Musicista dell’anno
Franco D’Andrea
ex aequo con Enrico Pieranunzi

Formazione dell’anno
Quintorigo

Miglior nuovo talento
Livio Minafra

Compositore o Arrangiatore dell’anno
Riccardo Brazzale

Strumentista dell’anno – Ottoni
Gianluca Petrella

Strumentista dell’anno – Ance
Daniele D’Agaro
ex aequo con Stefano Di Battista

Strumentista dell’anno – Pianoforte, Tastiere, Chitarra
Antonello Salis

Strumentista dell’anno – Basso, Batteria
Giovanni Tommaso

Strumentista dell’anno –Miscellanea, Voce
Maria Pia De Vito
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Nella ventisettesima edizione, per il Top Jazz 2009, la rivista ci tiene a sottolineare che “le graduatorie non sono importanti soltanto nella loro parte alta”, invitando così i lettori a scorrere tutta la lista fino in fondo, perché il Top Jazz fotografa un panorama e non esclusivamente le cime più alte e, senza aggiungere ulteriori informazioni, pubblica la nuova opinione dei sessanta critici di turno, così espressa:

Disco dell’anno
Stunt di Fabrizio Bosso & Antonello Salis
ex aequo con New York Days di Enrico Rava Quintet

Musicista dell’anno
Enrico Rava

Formazione dell’anno
Gianluca Petrella Cosmic Band

Miglior nuovo talento
Luca Aquino

Compositore o Arrangiatore dell’anno
Dino Betti Van Der Noot

Strumentista dell’anno – Ottoni
Fabrizio Bosso

Strumentista dell’anno – Ance
Francesco Bearzatti

Strumentista dell’anno – Pianoforte, Tastiere, Chitarra
Dado Moroni

Strumentista dell’anno – Basso, Batteria
Roberto Gatto

Strumentista dell’anno –Miscellanea, Voce
Maria Pia De Vito
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L’anno successivo, per il Top Jazz 2010, le categorie salgono a dodici ed i sessanta esperti premiano quanto segue:

Disco dell’anno
X (Suite for Malcolm) di Francesco Bearzatti Tinissima Quartet

Musicista dell’anno
Stefano Bollani

Formazione dell’anno
Tinissima Quartet

Miglior nuovo talento
Silvia Bolognesi

Compositore o Arrangiatore dell’anno
Paolo Damiani

Strumentista dell’anno – Ottoni
Fabrizio Bosso

Strumentista dell’anno – Ance
Rosario Giuliani

Strumentista dell’anno – Pianoforte, Tastiere
Danilo Rea

Strumentista dell’anno – Chitarra
Roberto Cecchetto

Strumentista dell’anno – Basso
Danilo Gallo

Strumentista dell’anno – Batteria
Roberto Gatto

Strumentista dell’anno –Miscellanea, Voce
Stefano Pastor
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Ed arriviamo alla ventinovesima edizione, quella del Top Jazz 2011, i cui risultati appena pubblicati riaccendono la miccia alle polemiche, spesso faziose ed inutili, che offrono singoli frame di personalissimi punti di vista, anziché una visione panoramica che indichi la strada del futuro, illuminando la scarsità di proposte del popolo jazzofilo tutto, l’immobilità di certa critica ed il cambio alla direzione della rivista (sicuramente non solo per questo motivo) tra Filippo Bianchi, uscente con gli onori della Storia e Luca Conti, nuovo Direttore di quella che è, e rimane, la più storica rivista specializzata sul jazz del nostro Paese.

 milieu-accompagné_1937
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Questi i voti, che segnalano, almeno a detta della rivista, la quasi totale variazione tra i vincitori dell’attuale edizione e quella precedente :

Disco dell’anno
Around Ornette di Giovanni Falzone Quintet

Musicista dell’anno
Rita Marcotulli

Formazione dell’anno
Franco D’Andrea Quartet
ex aequo con Livio Minafra Quartet

Miglior nuovo talento
Fulvio Sigurtà

Compositore o Arrangiatore dell’anno
Dino Betti Van Der Noot

Strumentista dell’anno – Ottoni
Giovanni Falzone

Strumentista dell’anno – Ance
Francesco Bearzatti

Strumentista dell’anno – Pianoforte, Tastiere
Franco D’Andrea

Strumentista dell’anno – Chitarra
Lanfranco Malaguti

Strumentista dell’anno – Basso
Enzo Pietropaoli

Strumentista dell’anno – Batteria
Zeno De Rossi

Strumentista dell’anno – Voce
Maria Pia De Vito

Strumentista dell’anno –Miscellanea
Stefano Pastor
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Ora, dopo questo lungo, personalissimo ed opinabile excursus, voi penserete che una chiara idea su come debba essere organizzato un referendum io ce l’abbia in mente ed invece, continuo a pormi delle domande, tipo:
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•    è possibile che dopo quasi trent’anni non si sia riusciti ad offrire una documentazione più vasta dei risultati? Cioè dopo aver pubblicato in CD la selezione dei primi classificati, non si può far lo stesso con i successivi votanti, in modo da promuovere la più ampia fauna del mondo del jazz?
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 •    Non è ancora arrivato il momento d’inserire una categoria per il jazz in rete? Eppure gli spazi dove le discussioni si fanno più frequentemente sono sempre di più sul web.
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•    Non avrebbe senso valutare tra i nuovi talenti anche quei musicisti ai quali i dischi “convenzionali” non sono ancora stati prodotti, ma che mettono in condivisione la loro musica sul web, MySpace, i tanti blog etc? Forse aiuterebbe anche quei pochi produttori rimasti ad essere più coraggiosi ed aggiornati sul panorama e, se la valutazione di quel vasto mondo sommerso non fosse in linea con i tempi a stampa di una rivista, forse si potrebbe utilizzare il sito di Musica Jazz e renderlo così più vivo e frequentato, mettendo addirittura in download i brani vincitori.
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•    E ancora, non sarebbe utile inserire la categoria sul miglior critico, e lasciare solo questa a libera votazione dei lettori, in modo da creare un contest anche tra gli addetti ai lavori che, in alcuni casi, porti stimoli e feedback al loro operato?

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composizione VII_1913

Ora, se è vero che la maggior parte dei musicisti, nel nostro Paese, suona poco e mal retribuita come conseguenza di un mercato strutturato a piramide il cui vertice è occupato solo da pochissimi artisti, non è vero anche che dovremmo lavorare più sul quotidiano, sull’emancipazione del pubblico dalla dottrina mediatica, sulla diffusione trasversale, sulla cultura musicale che s’insegna a scuola, sulle nuove tecnologie di riproduzione, sulla sensibilità artistica dei proprietari di locali, sulla coscienza politica dei nostri governanti anziché accanirci senza alcuna propositività con quello che è solo un gioco, per quanto in grado di condizionare il mercato o almeno quello che pende dalle labbra delle statistiche di vendita?
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 composizione VIII_1923

Insomma, c’è sicuramente molto da fare e non ci sono soluzioni uniche, ma la prima cosa è tenersi aggiornati con i tempi ed ampliare il proprio punto di vista, sia nella struttura del referendum che tra i fruitori del Top Jazz, perché è impossibile inquadrare tutto un mondo in movimento senza voler mai cambiare posizione.
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Mio nonno, antifascista ed anticlericale più per natura anarchica che per convinzione politica, mi raccontava che tutte le volte che doveva passare in piazza Venezia (alla chetichella, ‘chè erano cazzi), si stupiva di quante persone fossero radunate lì con il braccio teso.
Ma ancor di più si stupì dopo il giudizio del popolo di piazzale Loreto (così lo chiamava), perché da quel 29 aprile, in giro per Roma c’erano moltissimi antifascisti.
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frammento 2 per composizione VII_1913

Io ascoltavo ogni volta incuriosito il suo racconto (gli occhi Robbè, vuoti e tesi come quelle braccia), ma è stato grazie a mia nonna, più morbida ma non meno incisiva, che ho forse capito cosa intendeva dire.
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Lei era solita raccontarmi una storia, che penso riuscirete a capire anche voi e che in ogni caso preferisco lasciarvi come uno stimolo a pensare, piuttosto che aggiungere immodeste soluzioni utili solo a se stesse.
Una storia, dicevo, che faceva più o meno così:
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montagna_1909

C’era una volta un povero vecchio che viveva con la sua nipotina in una casa in cima alla montagna, perché sua figlia, madre della bambina, si era dovuta trasferire giù in paese per lavorare e non poteva ospitare nella stanza che gli avevano destinato i signori presso i quali era a servizio la sua amata figliola.

Allora, per far soffrire meno la distanza alle due donne, ogni lunedì all’alba il vecchio preparava la bambina ed insieme scendevano al paese, attraversando due piccole frazioni poste a metà ed alla base della montagna, e risalivano quando non s’era ancora fatta sera.
Un viaggio lungo e faticoso, alleviato solo dalla felicità che emanava dagli occhi di madre e figlia al loro incontro e da un magro asinello, anziano quanto il padrone, che gli dava un po’ di sollievo trasportandoli durante il tragitto.

Come ogni lunedì, anche oggi il vecchio si alzò prima dell’alba, scaldò un poco di latte per la nipotina che amava, diede un po’ di paglia ed un pezzo di carota all’asino che lo serviva e si preparò.
La bambina a quell’ora non riusciva mai a svegliarsi davvero, allora il vecchio la coprì bene e, come sempre, la caricò sulla groppa dell’asino ed iniziarono il viaggio.

Quando, con la luce del sole, giunsero alla prima frazione, come al solito la bimba si svegliò del tutto e, come i bambini sani ed amati, era iperattiva e cantava a squarciagola in sella all’asino. Gli abitanti del piccolissimo paesello, vedendo la scena da dietro alle finestre, fecero i soliti commenti di quanto era cattiva quella bambina che, con la forza della sua giovane età, se ne stava comodamente in groppa all’asino, mentre il povero vecchio doveva faticare camminando a piedi al suo fianco.
Appena oltrepassato il primo paese, la bimba che amava suo nonno, gli disse che era ora di darsi il cambio. Smontò quindi dall’asino ed aiutò il vecchio a salire per riposarsi un poco.

Quando, a mezzogiorno, arrivarono al paese posto alla base della montagna, gli abitanti del piccolo paesello, vedendo la scena da dietro alle finestre, fecero i soliti commenti di quanto era cattivo quel vecchio che, col potere della sua vecchia età, se ne stava comodamente in groppa all’asino, mentre la povera bambina doveva faticare camminando a piedi al suo fianco.
Appena oltrepassato il secondo paese, il vecchio che teneva al suo asino, smontò per far riposare un poco il povero animale.

Quando finalmente raggiunsero il paese dove lavorava la figlia, madre della bambina, gli abitanti vedendo la scena da dietro alle finestre, fecero i soliti commenti di quanto erano stupidi quel vecchio e quella bambina che, con un asino a disposizione, faticavano camminando a piedi al suo fianco.
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P.S.
Luca Conti ha voluto aggiornarmi personalmente sulla situazione del Top Jazz, facendo cenno a novità che saranno condivise con tutti noi lettori sulle pagine della rivista nei prossimi mesi.

Per quanto riguarda il cambio alla direzione di Musica Jazz, ci rimanda invece al suo scritto che apparirà tra pochi giorni, sul numero in edicola a febbraio.

a Luca, ed alla storica rivista, i migliori auguri di un nuovo inizio.


Credits:

Label: Musica Jazz 
Catalog #: 2 MJP 1014
Format: LP
Country: Italy

Recorded at Milan, Ciak Theatre, 7 March 1983.


Tracklisting:

Side One

A1. Gianluigi Trovesi Trio:
Estampida Suite (Trovesi) – 7:01
Gianluigi Trovesi (bass cl, soprano, small cl, fl, launeddas),
Paolo Damiani (bass), Gianni Cazzola (drums)

A2. Enrico Pieranunzi:
Monologue2 – Introspection (Pieranunzi) – 5:06
Enrico Pieranunzi (piano solo)

A3. Giorgio Gaslini Octet:
Indian Suite (IV Mov.) – part (Gaslini) – 8:42
Giorgio Gaslini (p),
Claudio Allifranchini, Maurizio Caldura (saxes),
Fabio Morgera (tp), Daniele Di Gregorio (vibes, perc),
Giko Pavan (bass), Paolo Pellegatti (drums)
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Side Two

B1. Milan Jazz Quartet:
A Blue Day (Bagnoli) – 5:12
Carlo Bagnoli (bar. Sax), Rudi Migliardi (trne),
Attilio Zanchi (bass), Carlo Sola (drums)

B2. Franco D’Andrea:
No Idea of Time (D’Andrea) – 7:15
Franco D’Andrea (piano solo)

B3. Enrico Rava Quartet plus Massimo Urbani:
Andanada (Rava) – 6:32
Enrico Rava (tp),
Massimo Urbani (alto sax),
Franco D’Andrea (p.),
Giovanni Tommaso (bass),
Barry Altschul (drums)
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Art by
Vasilij Kandinskij
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