Io non so quanti di voi sapranno riconoscere dall'accento di questo sax tenore la provenienza del giovane uomo che ci soffia dentro. Io non sarei stato capace, perchè non mi interessa approfondire questa capacità e, francamente, mi sono pure rotto di questo inutile espertise.
Per spiegarmi meglio cito ancora Filippo Bianchi:
“il jazz costituisce storicamente la fine delle «parrocchie» rigidamente separate, il primo luogo culturale che, in quanto privo di una tradizione di riferimento, induceva ognuno a portare la propria tradizione, sciogliendola assieme alle altre, creandone una nuova ed inedita”.
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“il quesito di quanto segno abbiano portato nel jazz i neri americani, quanto gli italiani come Nick La Rocca, Eddie Lang e Joe Venuti, o i tedeschi come Bix Beiderbecke, o i greci come Jean Goldkette, o i polacchi come Gene Krupa, è in realtà poco interessante. Ben più degno di nota è il fatto che ognuno, indipendentemente dalla provenienza, si sentiva autorizzato a nutrire questo corpo, aperto ad ogni possibile influsso, con il proprio segno”.
Mi ritrovo in questo ragionamento che, tra l'altro, non solo è veritiero e palesemente chiaro, ma anche del tutto plausibile e per niente complesso.
Eppure, sempre più spesso m'imbatto in discorsi tipo: cos'è il jazz? può esistere un jazz italiano o europeo? E' più corretto dire Black American Music o Jazz? Bollani è un jazzista oppure no? e l'ultimo Rava è più pop che jazz?
Devo ammettere che sempre meno frequentemente trovo le risposte dentro di me, per non parlare dell'interesse nell'argomento e delle prospettive di crescita culturale che riesco ad intravedere.
Devo ammettere che sempre meno frequentemente trovo le risposte dentro di me, per non parlare dell'interesse nell'argomento e delle prospettive di crescita culturale che riesco ad intravedere.
Vi faccio un esempio pratico:
dal momento che lavoro da molti anni per una multinazionale, che ha più di trecento punti vendita nel mondo, mi capita di assistere/partecipare ad quelli che chiamiamo Review.
In pratica sono delle giornate in cui un gruppo di reviewers analizza le modalità di gestione di uno dei tanti punti vendita scelti a caso. Ci sono più tipi di Review, tra cui il Growth ed il Functional.
Il Growth Review, quasi sempre tenuto da colleghi non italiani di funzioni miste, è finalizzato ad analizzare le strategie a lungo termine, ad intravedere nuove soluzioni nella declinazione locale delle linee guida internazionali, si focalizza sul macrotema del mercato esterno di riferimento (come del clima interno dello store) e scende nel dettaglio solo per comprendere l'utilizzo dei tanti tools a disposizione utilizzati per analizzare quelli che definiamo Key Performance Indicators.
Non mi è mai successo di assistere che un growth's reviewer abbia indicato chiaramente un not ok in termini di numero o valore percentuale, ed ho visto sempre un gran lavoro d'indicazioni e di suggerimenti ed una vera guida nel portare gli esaminati stessi all'enunciazione dell'errore, facendo così prendere personalmente atto della cosa, e non facendola subire dall'alto, donando un valore addirittura positivo alle parole che evidenziano la negatività del risultato.
Al termine del Growth si riceve un feedback, che può anche assumere la forma di un tender internazionale di riferimento, ma mai un numero e, più nel dettaglio, la consegna di tre punti "to mantain" ed altri tre punti "to improve".
Il Functional Review, invece, è sempre tenuto da colleghi più anziani (professionalmente) appartenenti alla tua stessa funzione, che spesso hanno così radicato il loro personale punto di vista su come gestire il proprio reparto che tutto ciò che appare diverso, anche solo nella forma, viene interpretato come pericoloso o non appartenente alla stessa cerchia di funzione.
Da subito si parte da una vera e proria rigida check-list, che in alcuni casi arriva ad un migliaio di domande, e le affronta analiticamente, senza possibilità d'interpretazione, senza valutazione delle varianti possibili tra punti vendita visitati da 5.000 persone al giorno ed altri che ne accolgono più di 20.000, senza considerare le scelte dell'oggi in funzione di un prossimo domani, senza tentare di costruire l'autocoscienza dei propri errori che ti vengono segnalati anche solo se, invece di una lampada OSRAM a luce calda da 150W tu abbia scelto di utilizzare una Philips a led. Per il Functional, insomma, ogni specifica query o è ok, o not ok.
Alla fine dell’estenuante esame, si realizza un punteggio in cui le risposte OK devono raggiungere il minimo valore di 75% altrimenti, come a scuola, il CR non si passa.
Ora, è ovvio che sono strumenti diversi, entrambi utili per i diversi ambiti, ma mi chiedo davvero quale investa nel futuro e quale tenda a conservare la consolidata vecchia forma, senza accorgersi che tutto intorno cambia molto velocemente.
Per tornare al tema principale, parafrasando questo personale esempio, qual'è secondo voi il ruolo della critica? Può essere strumento utile ad indicare nuove vie, a sottolineare accenti, a scoprire i tanti punti di collegamento? Non dovrebbe essere un territorio comune che aiuti le diverse radici a trovare uguale sostentamento? Un mezzo che aiuti l'occhio incerto a guardare oltre la superficie della tela? Una forma del sapere che, proteggendo il passato e attraverso l’affluenza del nuovo, permetta lo sviluppo della collettività?
Ma si sa, i confini mentali sono molto più difficili da oltrepassare di quelli geografici, e voi da che parte state?
Ad esempio, mi piacerebbe sapere che tipo di influenze trovate nel secondo pezzo che state ascoltando, cioè quanta Africa, quanta America e quanta Europa e, soprattutto, per voi cos'è?
Vi lascio con una lunga, provocatoria citazione che è di un Poeta, un critico, un cantautore, un traduttore, un musicista, uno scrittore, un artista, insomma.
“In verità, amici miei, la letteratura sul jazz dovrebbe limitarsi alla pura pubblicità, poiché tutti i commenti, venendo a posteriori, (come ogni commento che si rispetti) fanno del jazz un mostro che non è mai stato. E tentare di dimostrare brano per brano l'evoluzione avvenuta nello spirito di un musicista, dopo il risultato finale, è sterile, a differenza dell'analisi scientifica dei fenomeni naturali; poiché, in fin dei conti, la scienza vi permetterà di agire sulla materia, mentre il critico non potrà mai, sebbene conosca tutte le risposte, fare qualcosa: un bell'assolo per esempio; o prevedere in anticipo che il tal giorno alla tal ora, un tale farà un assolo formidabile poiché così fa pensare tutta la sua vita fino a quel momento.
Realmente, in tutta sincerità non c'è, io penso, che un'alternativa: cos'è il jazz, o il pubblico lo sa o non lo sa. La critica non è in grado di farglielo sapere meglio. Lo informerà solo su ciò che Machin pensa che sia. Potrà attirare l'attenzione, certo! E questo non è altro che pubblicità. È una forma più occulta di pubblicità, proposta con un interesse spesso sincero da un appassionato più eloquente degli altri, che intravede quanto può guadagnarci con il fine recondito di schiarirsi le idee sull'argomento.
È triste, davanti a tante belle frasi, dirlo così brutalmente, ma l'utilità della critica mi sembra identica a quella del bollettino meteorologico; ecco come vanno le cose. All'inizio ci sono gli elementi attivi — i cicloni e gli anticicloni, che corrispondono ai musicisti. Qualcosa li determina (ancora un percorso difficile per la critica: chi spinge Dupont a suonare?) L'essenziale è che suonino. Si creano un pubblico — un primo gruppo di seguaci (che può anche includere un critico). Questo pubblico gioca il ruolo del talent-scout hollywoodiano (possiamo definirla critica?) ruolo analogo a quello dell'osservatore di una stazione meteorologica. Questo pubblico segnala: c'è Dupont che fa qualcosa. Lo si fa sapere (questo continua a chiamarsi pubblicità). Subentra la fase statistica: si misura in che grado il successo di Dupont superi quello di Durand. Prima su scala locale, poi in confronto al successo di Duval più lontani. Si tenta di tracciare le curve isobare. Si ipotizza che in un certo lasso di tempo, a determinate condizioni, Dupont diventerà questo o quello; impazzerà sulle coste bretoni o si disperderà al largo. Tutto questo può servire all'appassionato, e può persino suscitare interesse in chi non si è mai occupato di jazz, ma si preoccupa per la sua casa sulla costa.
Quando finalmente Dupont arriva, tutto si riduce a questo: o ti piace o non ti piace”.
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Art by
Jean Michel Basquiat
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Espertise...hai ragione. A che serve?
RispondiEliminaL'accento del sax un pò argentino mi fa pensare ad un giovane Gato Barbieri, ma non importa.
Piuttosto, passando alle cose "serie", quando ci vediamo per giocare a figurine?
...che tristezza.
Stima
Costantino Spineti