“È stata la grande festa del jazz italiano. Una celebrazione più che meritata da parte dei musicisti, i cui nomi, come i lettori sanno, sono usciti dai risultati del referendum Top Jazz da noi promosso tra oltre cento «addetti ai lavori» di tutta Italia. Lo scopo di questa consultazione – giova ribadirlo – non era quello di stabilire una precisa graduatoria di valore (nessuno crede a queste cose – che appartengono piuttosto al mondo dello sport – e noi meno che mai) bensì di mettere in evidenza musicisti e complessi che nell’anno passato hanno avuto modo di proporre, con concerti e dischi, un’immagine di se stessi particolarmente positiva”.
Con queste parole Pino Candini recensiva la serata organizzata da Musica Jazz al Ciak di Milano il 7 Marzo 1983, all’indomani del primo referendum indetto dalla rivista, all’epoca diretta da Arrigo Polillo.
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In realtà, e per dovere di cronaca, un contest era stato precedentemente tentato dalla rivista già nel maggio 1963, sotto la direzione di Giancarlo Testoni, che attraverso la compilazione di un questionario chiese ai lettori dell’epoca di esprimersi sullo stato del jazz dividendo l’inchiesta tra i musicisti italiani ed accorpando gli americani ed europei in una seconda parte della scheda.
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Il risultato fu che, nel numero 200 della rivista (ottobre 1963), uscì un articolo firmato dall’intera redazione ed intitolato “Un referendum impossibile” per via delle tante schede irregolari ricevute che disegnavano la volontà di alcuni di vincere a tutti i costi la gara, a discapito di una corretta ed utile fotografia del panorama jazzistico italico.
Ma torniamo al Top Jazz, quello che con questo nome è arrivato fino ai giorni nostri e che fu pubblicato per la prima volta nel gennaio 1983, per tentare di fare il punto sull’annata jazzistica appena conclusa, quella del 1982. Questa volta a rispondere furono esclusivamente un centinaio tra critici, giornalisti specializzati, organizzatori di concerti, responsabili di rubriche radiofoniche o televisive che, attraverso otto sezioni del referendum, così votarono:
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Miglior disco italiano
Opening Night di Enrico Rava Quartet
Miglior musicista italiano
Franco D’Andrea
Miglior gruppo italiano
Enrico Rava Quartet
Miglior disco straniero
We Want Miles di Miles Davis
Miglior musicista straniero
Sonny Rollins
Miglior gruppo straniero
Freddie Hubbard Superstars Quintet
Miglior nuovo talento internazionale
Winton Marsalis
Evento dell’anno
Il ritorno di Miles Davis in Italia.
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Ovviamente, le critiche al referendum videro luce simultaneamente all’ideazione del Top Jazz stesso, e questo è sano, ma spesso si ricadeva in un semplice contro dibattito soggettivo (Tizio dovrebbe procedere Caio, e non viceversa), o in cavilli superficiali che sembravano più una scusa per attaccar maretta che altro. Una su tutte, la diatriba sul periodo preso in considerazione in merito alla categoria Miglior Disco dell’anno, che per logica avrebbe dovuto seguire l’ordinamento del calendario solare (1 Gen – 31 Dic), ma per ovvie ragioni d’impaginazione e stampa non poteva includere il mese di Dicembre nelle valutazioni. Anche questo dettaglio scatenò ulteriori polemiche che richiesero, ogni volta, la pubblicazione del periodo di riferimento (a volte cambiato in 1 Dic – 30 Nov).
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Questa prima edizione fu documentata su LP, con la registrazione di parte del concerto tenuto nella sera del 07 marzo ed i partecipanti italiani, cosa rara sia allora che oggi, usufruirono anche di un passaggio televisivo nella trasmissione Blitz, condotta da Gianni Minà e registrata il giorno precedente al concerto.
Per avere un’altra edizione del Top Jazz documentata su supporto sonoro, dovremmo attendere il 1999, anno nel quale la rivista pubblicò in CD i risultati del sondaggio, aprendo ad una tradizione che va avanti ancora oggi.
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La seconda edizione del Top Jazz fu quella del 1984 (l’annata ’83, chissà perché, non ebbe il suo referendum), anno in cui risposero ottanta «addetti ai lavori», questa volta a nove domande leggermente diverse, con l’aggiunta del miglior nuovo talento italiano, divise nelle seguenti categorie:
Miglior disco italiano
No Idea of Time di Franco D’Andrea Quartet
Miglior musicista italiano
Franco D’Andrea
Miglior gruppo italiano
Lingomania
Miglior nuovo talento italiano
Paolo Fresu
Miglior disco straniero
Historic Concerts di Max Roach & Cecil Taylor
Miglior musicista straniero
Miles Davis
Miglior piccolo complesso straniero
Miles Davis
Miglior grande orchestra straniera
Gil Evans
Miglior nuovo talento internazionale
Bobby McFerrin
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C’è da dire che, per la trasparenza del poll, sin dal principio la rivista pubblicò la lista dei votanti, il dettaglio delle votazioni (chi vota cosa) e, almeno dal 1999, tutti i nomi a seguire dopo i primi in classifica, anche quei dischi e/o musicisti che avevano ricevuto un solo voto a favore.
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In ogni caso, da quello spunto iniziale datato ‘82, il Top Jazz è andato avanti quasi ininterrottamente fino ad oggi, con la formula di raccontare nel primo numero di ogni nuovo anno della rivista, le produzioni, gli accadimenti ed i personaggi che hanno segnato l’anno appena concluso o, quantomeno, quelli che avevano attirato l’attenzione della critica specializzata.
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Uno scossone si ebbe con l’edizione del 2004, quando Alessandro Achilli e Luca Conti, due redattori di Musica Jazz, resero pubblico il fatto, segnalato come anomalo, che alcuni giurati avevano votato dei musicisti italiani in una delle categorie dedicate ai jazzisti internazionali (MJ Febbraio 2005). Da quello spunto pubblicarono una lettera aperta alla rivista, in cui lanciavano il quesito “ma il jazz italiano è davvero maggiorenne?” e proponevano una nuova regola, cioè quella di non considerare votabile come “nuovo talento” chi avesse già pubblicato almeno un disco da leader.
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Nella risposta di Filippo Bianchi, all’ora Direttore, si intravedono “in nuce” i cambiamenti che scuoteranno di lì a breve l’assetto del referendum, e della rivista tutta. Bianchi, seguendo una tradizione connaturata alla rivista e di nobili intenti, chiama all’appello i lettori, i musicisti ed i critici che votano nel Top Jazz per conoscere pubblicamente le loro impressioni ed avviare così un dibattito allargato. .
Tra le risposte interessanti, oltre che condivisibili dal sottoscritto troviamo quella di Antonia Tessitore (RaiRadio3) che esprime dubbi sull’utilità del referendum, se non altro perché compilato da “persone specializzate che non rappresentano certo l’ascoltatore medio italiano […] dato che molti non comprano i dischi ma li ricevono” e propone di chiedere ai distributori/rivenditori un dettagliato rapporto annuale sulle vendite, oltre che tornare a coinvolgere i lettori.
Maurizio Franco (Musica & Dischi, Musica Oggi) concorda con il Direttore sulla divisione tra jazz italiano ed il resto del mondo, “per non partecipare alla scomparsa delle culture nazionali. Sarebbe una tragedia culturale, una globalizzazione della mente artistica che uccidendo i relativismi culturali ridurrebbe la varietà dei modi di esprimersi”.
Ottimo l’intervento di Paolo Damiani che trova giusto e doveroso che un periodico italiano di jazz si occupi dei musicisti nazionali per valorizzarli e farli conoscere e sottolinea che “ci sono musicisti italiani che fanno jazz e non musicisti che fanno jazz italiano”. La lettera di Damiani, che è quella di un musicista è utile ricordarlo in questa sede, ci lascia con più domande che risposte: “chi compone il gruppo ZU? Dove sono finiti maestri come Gaslini, Intra, Cerri, Schiano, Tommaso, Cazzola? È giusto inserire Gianni Lenoci nella categoria nuovo talento? I giurati hanno ricevuto tutti i CD? E chi glieli manda, l’etichetta discografica o il musicista?” ed una costruttiva proposta “i temi all’ordine del giorno dovrebbero essere altri che un innocuo e divertente giocattolo chiamato Top Jazz: Quanto Jazz viene prodotto e proposto in RAI? Perché la Scala programma solo Jarrett? E perché il più mal ridotto teatro di periferia tenta di imitare la Scala, senza averne possibilità? Per cui ragioniamo sull’urgenza di costruire un coordinamento di soggetti diversi che rappresenti le varie anime del jazz che si produce, si studia e si diffonde oggi in Italia”.
Termino con la risposta di Francesco Martinelli che ci riporta alla realtà e ci ricorda: “tutte le riviste fanno i loro polls: Leonard Feather s’inventava i risultati di Metronome per promuovere i musicisti di be-bop, che negli anni Quaranta nessuno avrebbe altrimenti votato; la rigorosa Cadence chiede ai collaboratori d’indicare i loro dischi preferiti, ma non somma i voti dando un vincitore finale. In arte non c’è né un migliore né un peggiore, ci sono solo opzioni diverse che risuonano diversamente con le sensibilità delle diverse persone. Il Top Jazz per me ha valore solo come evento di carattere mediatico, al meglio come promozione di questa musica presso un pubblico più vasto, al peggio come luogo d’infinito gossip”.
Maurizio Franco (Musica & Dischi, Musica Oggi) concorda con il Direttore sulla divisione tra jazz italiano ed il resto del mondo, “per non partecipare alla scomparsa delle culture nazionali. Sarebbe una tragedia culturale, una globalizzazione della mente artistica che uccidendo i relativismi culturali ridurrebbe la varietà dei modi di esprimersi”.
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Ottimo l’intervento di Paolo Damiani che trova giusto e doveroso che un periodico italiano di jazz si occupi dei musicisti nazionali per valorizzarli e farli conoscere e sottolinea che “ci sono musicisti italiani che fanno jazz e non musicisti che fanno jazz italiano”. La lettera di Damiani, che è quella di un musicista è utile ricordarlo in questa sede, ci lascia con più domande che risposte: “chi compone il gruppo ZU? Dove sono finiti maestri come Gaslini, Intra, Cerri, Schiano, Tommaso, Cazzola? È giusto inserire Gianni Lenoci nella categoria nuovo talento? I giurati hanno ricevuto tutti i CD? E chi glieli manda, l’etichetta discografica o il musicista?” ed una costruttiva proposta “i temi all’ordine del giorno dovrebbero essere altri che un innocuo e divertente giocattolo chiamato Top Jazz: Quanto Jazz viene prodotto e proposto in RAI? Perché la Scala programma solo Jarrett? E perché il più mal ridotto teatro di periferia tenta di imitare la Scala, senza averne possibilità? Per cui ragioniamo sull’urgenza di costruire un coordinamento di soggetti diversi che rappresenti le varie anime del jazz che si produce, si studia e si diffonde oggi in Italia”.
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Termino con la risposta di Francesco Martinelli che ci riporta alla realtà e ci ricorda: “tutte le riviste fanno i loro polls: Leonard Feather s’inventava i risultati di Metronome per promuovere i musicisti di be-bop, che negli anni Quaranta nessuno avrebbe altrimenti votato; la rigorosa Cadence chiede ai collaboratori d’indicare i loro dischi preferiti, ma non somma i voti dando un vincitore finale. In arte non c’è né un migliore né un peggiore, ci sono solo opzioni diverse che risuonano diversamente con le sensibilità delle diverse persone. Il Top Jazz per me ha valore solo come evento di carattere mediatico, al meglio come promozione di questa musica presso un pubblico più vasto, al peggio come luogo d’infinito gossip”.
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Chi volesse leggere l’intero carteggio (MJ Mar_Apr 2005), può fare richiesta al Centro Studi della Fondazione Siena Jazz.
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Nel numero di Novembre 2005 Bianchi pubblica una lettera aperta in cui cita Pasolini dello splendido "Uccellacci e uccellini" e, attraverso le parole pure di Ninetto dichiara di lasciare tutto così com’è, o quasi, assumendosene ovviamente le responsabilità. Conferma che il Top Jazz è il referendum del mondo del jazz italiano, apprezza le proposte di modificare l’elezione del nuovo talento, ma ci ricorda che questo è un Paese che soffre più di ogni altro in Occidente di una sorta di «superfetazione legislativa», che crea irrisolvibili labirinti normativi nei quali a tutti è toccato perderci o tentare di districarci con ingenti energie, per cui potremmo ottenere molto di più delegiferando anziché continuando a legiferare.
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Di conseguenza, nell’edizione del 2007 - ventesima edizione del Top Jazz - la rivista decise di dedicare esclusivamente al jazz italiano il referendum.
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“Perché si cambia? Qual è il significato di spostarsi da una visione così vasta, tale da abbracciare addirittura il jazz nel mondo intero, ad un obiettivo molto più concentrato? Possiamo partire dal rischio di una stanchezza della formula, tradotta negli ultimi anni in ripetitività dei risultati. Ma assai più forte sentivamo l’esigenza di adeguare il Top Jazz a questa lunga stagione di grande creatività e reputazione internazionale che il jazz di casa nostra sta vivendo. Non è, quindi, una scelta «provinciale», della coltivazione di un privato orticello; è al contrario un impegno tendente a dare agli esiti del referendum il massimo risalto internazionale, proprio per un meno superficiale riconoscimento. Se ormai tutte le consorelle straniere, Down Beat in testa, ci dicono quanto siano bravi alcuni (i più noti) dei nostri, noi a tutti forniamo un quadro generale in cui di bravi ce ne sono molti altri, che magari oltre frontiera non hanno mai sentito nominare, e magari anche l’appassionato nostrano trascura.
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Tutto questo si muove in una logica di «promozione» che da sempre appartiene allo spirito del Top Jazz, al di là della spettacolarità delle classifiche”.
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La rivista, nella sua dichiarazione d’intenti era chiara e, nelle stesse nove sezioni del sondaggio, poté ampliare i settori in cui valutare i musicisti italiani creando cinque categorie a carattere individuale. Sessanta esperti tornarono a votare e, nel gennaio del 2008, questa la classifica che si presentò agli occhi dei lettori appassionati:
Disco dell’anno
Al Tempo che Farà di Paolo Damiani
ex aequo con The Third Man di Rava & Bollani
Musicista dell’anno
Enrico Rava
Formazione dell’anno
Italian Instabile Orchestra
Miglior nuovo talento
Giovanni Guidi
Compositore o Arrangiatore dell’anno
Dino Betti Van Der Noot
Strumentista dell’anno – Ottoni
Gianluca Petrella
Strumentista dell’anno – Ance
Daniele D’Agaro
Strumentista dell’anno – Pianoforte, Tastiere, Chitarra
Roberto Cecchetto
ex aequo con Stefano Bollani
Strumentista dell’anno – Basso, Batteria, Miscellanea, Voce
Roberto Gatto
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Ancora una volta le polemiche dei lettori infuriarono.
Prima si contestò la decisione di guardare solo al jazz italiano, scelta che sembrava retrograda, riduttiva e provinciale ai più, nonostante le esplicite premesse degli organizzatori, e questo fa sorridere se si pensa che per i primi 30/40 anni la rivista veniva spesso accusata di esterofilia a discapito dei musicisti del Bel Paese.
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Secondo si confutò la scelta, arbitraria ma legittima, di mettere insieme le pere e le mele, di accorpare cioè strumenti abbastanza differenti sotto la stessa categoria, che creava perlopiù pasticci anziché utili distinguo tra i vari musicisti. In questo caso la rivista difese la posizione, intanto ricordando in modo ironico ai lettori che già in altre occasioni l’idea di mettere insieme le pere con le mele era stata utilizzata nell’Arte, ed aveva dato risultati grandiosi, come nel caso delle nature morte di Paul Cézanne poi, assumendo toni più seri, dichiarando che gli accorpamenti erano necessari, altrimenti la furia metodologica imporrebbe una categoria a sé per l’ottavino, una per il fagotto, una per il violoncello e così via, dal momento che tanti sono gli strumenti atipici che, anche nel jazz, hanno avuto personalità illustri.
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Nel gennaio 2009 si dichiara pubblicamente il successo dell’iniziativa “con l’adesione alla nuova formula che resta molto alta a livello nazionale, per la quale hanno votato anche critici illustri che non avevano mai votato prima”. E si affermano alcuni assestamenti tra le regole, che comunque sarebbero esistite da sempre, come “non esistono pari merito” e che “tra i nuovi talenti non sono rieleggibili i vincitori dei precedenti sondaggi”. Alla fine, i cinquantasei «addetti ai lavori» così si esprimono in merito al Top Jazz 2008:
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Disco dell’anno
Canto di Ebano di Gabriele Mirabassi
Musicista dell’anno
Franco D’Andrea
ex aequo con Enrico Pieranunzi
Formazione dell’anno
Quintorigo
Miglior nuovo talento
Livio Minafra
Compositore o Arrangiatore dell’anno
Riccardo Brazzale
Strumentista dell’anno – Ottoni
Gianluca Petrella
Strumentista dell’anno – Ance
Daniele D’Agaro
ex aequo con Stefano Di Battista
Strumentista dell’anno – Pianoforte, Tastiere, Chitarra
Antonello Salis
Strumentista dell’anno – Basso, Batteria
Giovanni Tommaso
Strumentista dell’anno –Miscellanea, Voce
Maria Pia De Vito
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Nella ventisettesima edizione, per il Top Jazz 2009, la rivista ci tiene a sottolineare che “le graduatorie non sono importanti soltanto nella loro parte alta”, invitando così i lettori a scorrere tutta la lista fino in fondo, perché il Top Jazz fotografa un panorama e non esclusivamente le cime più alte e, senza aggiungere ulteriori informazioni, pubblica la nuova opinione dei sessanta critici di turno, così espressa:
Disco dell’anno
Stunt di Fabrizio Bosso & Antonello Salis
ex aequo con New York Days di Enrico Rava Quintet
Musicista dell’anno
Enrico Rava
Formazione dell’anno
Gianluca Petrella Cosmic Band
Miglior nuovo talento
Luca Aquino
Compositore o Arrangiatore dell’anno
Dino Betti Van Der Noot
Strumentista dell’anno – Ottoni
Fabrizio Bosso
Strumentista dell’anno – Ance
Francesco Bearzatti
Strumentista dell’anno – Pianoforte, Tastiere, Chitarra
Dado Moroni
Strumentista dell’anno – Basso, Batteria
Roberto Gatto
Strumentista dell’anno –Miscellanea, Voce
Maria Pia De Vito
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L’anno successivo, per il Top Jazz 2010, le categorie salgono a dodici ed i sessanta esperti premiano quanto segue:
Disco dell’anno
X (Suite for Malcolm) di Francesco Bearzatti Tinissima Quartet
Musicista dell’anno
Stefano Bollani
Formazione dell’anno
Tinissima Quartet
Miglior nuovo talento
Silvia Bolognesi
Compositore o Arrangiatore dell’anno
Paolo Damiani
Strumentista dell’anno – Ottoni
Fabrizio Bosso
Strumentista dell’anno – Ance
Rosario Giuliani
Strumentista dell’anno – Pianoforte, Tastiere
Danilo Rea
Strumentista dell’anno – Chitarra
Roberto Cecchetto
Strumentista dell’anno – Basso
Danilo Gallo
Strumentista dell’anno – Batteria
Roberto Gatto
Strumentista dell’anno –Miscellanea, Voce
Stefano Pastor
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Ed arriviamo alla ventinovesima edizione, quella del Top Jazz 2011, i cui risultati appena pubblicati riaccendono la miccia alle polemiche, spesso faziose ed inutili, che offrono singoli frame di personalissimi punti di vista, anziché una visione panoramica che indichi la strada del futuro, illuminando la scarsità di proposte del popolo jazzofilo tutto, l’immobilità di certa critica ed il cambio alla direzione della rivista (sicuramente non solo per questo motivo) tra Filippo Bianchi, uscente con gli onori della Storia e Luca Conti, nuovo Direttore di quella che è, e rimane, la più storica rivista specializzata sul jazz del nostro Paese.
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Questi i voti, che segnalano, almeno a detta della rivista, la quasi totale variazione tra i vincitori dell’attuale edizione e quella precedente :
Disco dell’anno
Around Ornette di Giovanni Falzone Quintet
Musicista dell’anno
Rita Marcotulli
Formazione dell’anno
Franco D’Andrea Quartet
ex aequo con Livio Minafra Quartet
Miglior nuovo talento
Fulvio Sigurtà
Compositore o Arrangiatore dell’anno
Dino Betti Van Der Noot
Strumentista dell’anno – Ottoni
Giovanni Falzone
Strumentista dell’anno – Ance
Francesco Bearzatti
Strumentista dell’anno – Pianoforte, Tastiere
Franco D’Andrea
Strumentista dell’anno – Chitarra
Lanfranco Malaguti
Strumentista dell’anno – Basso
Enzo Pietropaoli
Strumentista dell’anno – Batteria
Zeno De Rossi
Strumentista dell’anno – Voce
Maria Pia De Vito
Strumentista dell’anno –Miscellanea
Stefano Pastor
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Ora, dopo questo lungo, personalissimo ed opinabile excursus, voi penserete che una chiara idea su come debba essere organizzato un referendum io ce l’abbia in mente ed invece, continuo a pormi delle domande, tipo:
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• è possibile che dopo quasi trent’anni non si sia riusciti ad offrire una documentazione più vasta dei risultati? Cioè dopo aver pubblicato in CD la selezione dei primi classificati, non si può far lo stesso con i successivi votanti, in modo da promuovere la più ampia fauna del mondo del jazz?
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• Non è ancora arrivato il momento d’inserire una categoria per il jazz in rete? Eppure gli spazi dove le discussioni si fanno più frequentemente sono sempre di più sul web. .
• Non avrebbe senso valutare tra i nuovi talenti anche quei musicisti ai quali i dischi “convenzionali” non sono ancora stati prodotti, ma che mettono in condivisione la loro musica sul web, MySpace, i tanti blog etc? Forse aiuterebbe anche quei pochi produttori rimasti ad essere più coraggiosi ed aggiornati sul panorama e, se la valutazione di quel vasto mondo sommerso non fosse in linea con i tempi a stampa di una rivista, forse si potrebbe utilizzare il sito di Musica Jazz e renderlo così più vivo e frequentato, mettendo addirittura in download i brani vincitori.
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• E ancora, non sarebbe utile inserire la categoria sul miglior critico, e lasciare solo questa a libera votazione dei lettori, in modo da creare un contest anche tra gli addetti ai lavori che, in alcuni casi, porti stimoli e feedback al loro operato? .
Ora, se è vero che la maggior parte dei musicisti, nel nostro Paese, suona poco e mal retribuita come conseguenza di un mercato strutturato a piramide il cui vertice è occupato solo da pochissimi artisti, non è vero anche che dovremmo lavorare più sul quotidiano, sull’emancipazione del pubblico dalla dottrina mediatica, sulla diffusione trasversale, sulla cultura musicale che s’insegna a scuola, sulle nuove tecnologie di riproduzione, sulla sensibilità artistica dei proprietari di locali, sulla coscienza politica dei nostri governanti anziché accanirci senza alcuna propositività con quello che è solo un gioco, per quanto in grado di condizionare il mercato o almeno quello che pende dalle labbra delle statistiche di vendita?
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Insomma, c’è sicuramente molto da fare e non ci sono soluzioni uniche, ma la prima cosa è tenersi aggiornati con i tempi ed ampliare il proprio punto di vista, sia nella struttura del referendum che tra i fruitori del Top Jazz, perché è impossibile inquadrare tutto un mondo in movimento senza voler mai cambiare posizione.
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Mio nonno, antifascista ed anticlericale più per natura anarchica che per convinzione politica, mi raccontava che tutte le volte che doveva passare in piazza Venezia (alla chetichella, ‘chè erano cazzi), si stupiva di quante persone fossero radunate lì con il braccio teso.
Ma ancor di più si stupì dopo il giudizio del popolo di piazzale Loreto (così lo chiamava), perché da quel 29 aprile, in giro per Roma c’erano moltissimi antifascisti.
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Io ascoltavo ogni volta incuriosito il suo racconto (gli occhi Robbè, vuoti e tesi come quelle braccia), ma è stato grazie a mia nonna, più morbida ma non meno incisiva, che ho forse capito cosa intendeva dire.
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Lei era solita raccontarmi una storia, che penso riuscirete a capire anche voi e che in ogni caso preferisco lasciarvi come uno stimolo a pensare, piuttosto che aggiungere immodeste soluzioni utili solo a se stesse.
Una storia, dicevo, che faceva più o meno così:
Una storia, dicevo, che faceva più o meno così:
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C’era una volta un povero vecchio che viveva con la sua nipotina in una casa in cima alla montagna, perché sua figlia, madre della bambina, si era dovuta trasferire giù in paese per lavorare e non poteva ospitare nella stanza che gli avevano destinato i signori presso i quali era a servizio la sua amata figliola.
Allora, per far soffrire meno la distanza alle due donne, ogni lunedì all’alba il vecchio preparava la bambina ed insieme scendevano al paese, attraversando due piccole frazioni poste a metà ed alla base della montagna, e risalivano quando non s’era ancora fatta sera.
Un viaggio lungo e faticoso, alleviato solo dalla felicità che emanava dagli occhi di madre e figlia al loro incontro e da un magro asinello, anziano quanto il padrone, che gli dava un po’ di sollievo trasportandoli durante il tragitto.
Come ogni lunedì, anche oggi il vecchio si alzò prima dell’alba, scaldò un poco di latte per la nipotina che amava, diede un po’ di paglia ed un pezzo di carota all’asino che lo serviva e si preparò.
La bambina a quell’ora non riusciva mai a svegliarsi davvero, allora il vecchio la coprì bene e, come sempre, la caricò sulla groppa dell’asino ed iniziarono il viaggio.
Quando, con la luce del sole, giunsero alla prima frazione, come al solito la bimba si svegliò del tutto e, come i bambini sani ed amati, era iperattiva e cantava a squarciagola in sella all’asino. Gli abitanti del piccolissimo paesello, vedendo la scena da dietro alle finestre, fecero i soliti commenti di quanto era cattiva quella bambina che, con la forza della sua giovane età, se ne stava comodamente in groppa all’asino, mentre il povero vecchio doveva faticare camminando a piedi al suo fianco.
Appena oltrepassato il primo paese, la bimba che amava suo nonno, gli disse che era ora di darsi il cambio. Smontò quindi dall’asino ed aiutò il vecchio a salire per riposarsi un poco.
Quando, a mezzogiorno, arrivarono al paese posto alla base della montagna, gli abitanti del piccolo paesello, vedendo la scena da dietro alle finestre, fecero i soliti commenti di quanto era cattivo quel vecchio che, col potere della sua vecchia età, se ne stava comodamente in groppa all’asino, mentre la povera bambina doveva faticare camminando a piedi al suo fianco.
Appena oltrepassato il secondo paese, il vecchio che teneva al suo asino, smontò per far riposare un poco il povero animale.
Quando finalmente raggiunsero il paese dove lavorava la figlia, madre della bambina, gli abitanti vedendo la scena da dietro alle finestre, fecero i soliti commenti di quanto erano stupidi quel vecchio e quella bambina che, con un asino a disposizione, faticavano camminando a piedi al suo fianco.
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P.S.
Luca Conti ha voluto aggiornarmi personalmente sulla situazione del Top Jazz, facendo cenno a novità che saranno condivise con tutti noi lettori sulle pagine della rivista nei prossimi mesi.
Per quanto riguarda il cambio alla direzione di Musica Jazz, ci rimanda invece al suo scritto che apparirà tra pochi giorni, sul numero in edicola a febbraio.
a Luca, ed alla storica rivista, i migliori auguri di un nuovo inizio.
Credits:
Label: Musica Jazz
Catalog #: 2 MJP 1014
Format: LP
Country: Italy
Recorded at Milan, Ciak Theatre, 7 March 1983.
Tracklisting:
Side One
A1. Gianluigi Trovesi Trio:
Estampida Suite (Trovesi) – 7:01
Gianluigi Trovesi (bass cl, soprano, small cl, fl, launeddas),
Paolo Damiani (bass), Gianni Cazzola (drums)
A2. Enrico Pieranunzi:
Monologue2 – Introspection (Pieranunzi) – 5:06
Enrico Pieranunzi (piano solo)
A3. Giorgio Gaslini Octet:
Indian Suite (IV Mov.) – part (Gaslini) – 8:42
Giorgio Gaslini (p),
Claudio Allifranchini, Maurizio Caldura (saxes),
Fabio Morgera (tp), Daniele Di Gregorio (vibes, perc),
Giko Pavan (bass), Paolo Pellegatti (drums)
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Side Two
B1. Milan Jazz Quartet:
A Blue Day (Bagnoli) – 5:12
Carlo Bagnoli (bar. Sax), Rudi Migliardi (trne),
Attilio Zanchi (bass), Carlo Sola (drums)
B2. Franco D’Andrea:
No Idea of Time (D’Andrea) – 7:15
Franco D’Andrea (piano solo)
B3. Enrico Rava Quartet plus Massimo Urbani:
Andanada (Rava) – 6:32
Enrico Rava (tp),
Massimo Urbani (alto sax),
Franco D’Andrea (p.),
Giovanni Tommaso (bass),
Barry Altschul (drums)
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Art by
Vasilij Kandinskij
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Caro Roberto, personalmente non ho mai preso un voto, cosa di cui sono particolarmente felice; e spero proprio che qualche buontempone non mi faccia simile scherzo in futuro,magari inserendomi nei nuovi talenti.
RispondiEliminaLe classifiche (come le categorie) mi danno alquanto fastidio, a meno che non si tratti di sport, mentre mi fa sempre piacere leggere e riascoltare questa bella musica che veleggia nell'aria mentre scrivo il mio commento.
Mi piacerebbe proprio riabbracciarti in carne e ossa, per ora accontentati di un abbraccio virtuale
Roberto Del Piano