martedì 29 giugno 2010

Il Fuoco sotto la Cenere - Intervista a Gianni Lenoci

Who wants to kill Jazz? #2


Concetto Spaziale - 1960

Dopo il post sull'Open Jazz Festival, alcune considerazioni hanno assunto nuova forma.

Da parte delle istituzioni, c'è stato il silenzio totale (evidentemente non siamo cittadini degni...) però sembra che abbiano mantenuto la promessa (ricordate? il festival si farà....)

Le novità riguardo al Festival di Ceglie che circolano in rete, sono ancor più preoccupanti: sembra che l'Amministrazione continuerà a usare lo stesso nome del Festival (snaturandolo ovviamente), affidando la direzione a non si sa bene chi, e fregandosene del fatto che Pierpaolo Faggiano era stato designato come direttore artistico fino al 2010 (ex delibera della giunta comunale del 2008).

In pratica, dal momento che il Festival è a tutti gli effetti del Comune, si fotteranno tutto: nome, logo, sito web e precedenti esperienze. Un appropriazione degna del metodo più usato da questo nostro governo: l'abuso di potere (tanto l'opinione pubblica li condonerà e la legge la fanno loro, per cui nessuno li denuncerà).

Il programma prevederebbe : Paola Arnesano (Omaggio a Elis Regina), Minnie Minoprio, Maria Pia De Vito e Luca Aquino. La prima è l'unica che riporta la data sul suo sito web (4 agosto ore 22:00), della seconda davvero mi stupisco che faccia ancora concerti, mentre per gli ultimi due, la speranza che disertino l'appuntamento è tanta.

Concetto Spaziale - 1957

Questo getta una luce ancor più preoccupante sulla faccenda perché, come mi ha raccontato Massimo Barbiero in riferimento al Paone Open Jazz Festival (intervista in corso di pubblicazione)  "...bisognava trovare il modo di dare a qualcuno del denaro, non sempre sono appalti, cattedre, ospedali... no, si può anche solo strappare a chi l'ha creata una manifestazione e darla da gestire al proprio figlio, alla propria amante o a qualcuno che il partito ha deciso che deve essere «sistemato... »"
Per quanto riguarda le partecipazioni a questa discussione, sinceramente mi aspettavo un'adesione più alta ad una problematica come questa. Pochi gli operatori culturali tra quelli che ho contattato (su tutti ringrazio Franco Bergoglio, saggista e autore, tra l'altro, del libro JAZZ! Appunti e note del secolo breve).

Pochi anche i musicisti, che per primi dovrebbero vivere questa problematica sulla loro pelle e nella loro coscienza. Ringrazio quindi Roberto Ottaviano, Massimo Barbiero, Stefano Maltese  (oltre a quelli che, ci spero ancora, verranno) e Gianni Lenoci, dal quale ho deciso di riprendere il discorso.


Gianni Lenoci, pianista, compositore ed insegnante, nato a Monopoli (BA) il 06 giugno 1963, è stato tra i primi musicisti a voler dichiarare la propria solidarietà al Festival di Ceglie (con Roberto Ottaviano, Massimo Barbiero e Stefano Maltese, che seguiranno), non credo per appartenenza geografica, perchè come dice lui "ciò che conta sono i percorsi individuali", quanto per le sue qualità personali, che esprime nel senso del rischio, nella cultura profonda e vera (non l'erudizione), nella capacità di trascendere la tecnica, nell'amore per il suono, nella spiritualità e nell'umanità, oltre che per dichiarare il proprio orrore nella mancanza di onestà intellettuale di alcuni, nel confondere l'arte con il mercato dell'arte.

Diplomato al "Santa Cecilia" di Roma, ed in musica elettronica al Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari, Lenoci elabora l'impronta più evidente della sua espressione musicale nell'evoluzione permanente, "io vado verso l'inaudito" dice in un'intervista, che esprime attraverso l'attitudine intermediale, interdisciplinare, multisensoriale e transculturale della sua ricerca, in piena sinergia con i linguaggi dell'arte contemporanea.

E', inoltre, docente di Jazz presso il Conservatorio "Nino Rota" di Monopoli.

Concetto Spaziale, Attese - 1959

Attivo sulla scena musicale da oltre vent'anni, registra la sua musica in oltre sessanta dischi e si esibisce in molteplici formazioni che vanno dal piano solo alla grande Orchestra, passando per i piccoli combo. Negli anni collabora con i più importanti nomi del jazz e della musica improvvisata contemporanea come Massimo Urbani, Steve Lacy, Joelle Leandre, Steve Grossman, Harold Land, Bob Mover, Enrico Rava, Glenn Ferris, Eugenio Colombo, Giancarlo Schiaffini, Don Moye, Han Bennink, Antonello Salis, Carlo Actis Dato, David Gross, Stephen Heckel, Paul Lovens, Sakis Papadimitriou, Georgia Sylleou, Jean-Jacques Avenel, John Betsch, Markus Stockhausen, Steve Potts, Carlos Zingaro, John Tchicai, Kent Carter, William Parker.

Lenoci, performer e compositore, si forma sulla stratificazione delle sue esperienze che, partendo come pianista classico, incrocia le urgenze della musica contemporanea e si nutre della potenzialità affabulatrice del linguaggio afroamericano del jazz e degli uomini che lo parlano. Ovviamente hanno contribuito a portare nuova linfa vitale le correnti degli ascolti, su tutte la black music di Stevie Wonder e degli Earth, Wind & Fire.

Questo accumulo di espressioni, fuse insieme in una sintesi personale, sono scaturite in una zona nuova tra le più affascinanti della musica contemporanea, che è quella costruita ed abitata dal pianista.
Pertanto, sono onorato di essere suo ospite.


JfI: Gianni, è possibile che in questo paese ci stiamo abituando all'idea che le istituzioni e la ricerca culturale siano agli antipodi?

GL: Certo. E' la realtà.
Solo per limitare il campo (il discorso è complesso e stratificato): fenomeni come i tagli all'Università e Conservatorio ed una riforma di questi ultimi completamente priva di amore e rispetto per la musica, sono la punta dell'iceberg di un tessuto politico (e sociale) logoro e privo di alcuna competenza da parte delle istituzioni. Da qualsiasi parte ci si ponga. Destra, sinistra e centro hanno le medesime colpe e responsabilità.

Concetto Spaziale - 1959

JfI: Tu effettui spesso concerti o workshops all'estero e collabori con musicisti internazionali. Questo ottuso atteggiamento di chi detiene il potere, è "una storia tutta italiana"?

GL: Sì. Il problema italiano inoltre è la mancanza di una "controcultura" che realmente possa offrire un'alternativa valida al degrado nel quale affoghiamo ogni giorno.

Concetto Spaziale - 1968

JfI: Secondo te, come mai pochissimi musicisti italiani hanno accolto questa discussione? Non dovrebbero essere loro i primi ad avere interesse nella salvaguardia della "biodiversità" nel jazz?

GL: Dal mio punto di vista, la maggior parte dei musicisti di jazz italiani e non (in particolare quelli più in vista e che quindi dovrebbero essere di esempio) non fa jazz ma semplice pop music. O perlomeno usano procedure jazzistiche per improvvisare ornamenti su canzoncine et similia. Ma il risultato estetico (ed anche l'atteggiamento etico, perchè no?) è prossimo al pop.
In realtà tutto ciò non fa altro che celebrarne il disamore e l'estinzione (del jazz). Sfido chiunque a dimostrare il contrario. Capisco perfettamente che questa formula pop è remunerativa in termini economici, ma credo sia limitante dal punto di vista della propria ricerca estetica e dei contributi che si possono dare a quest'Arte.
L'importante è che ogni fiume scorra nel proprio letto.

Capisco che il postmodernismo ha contribuito a mischiare "l'alto" con "il basso", ma ora più che mai credo si debba prendere coscienza dei limiti di questa visione. Da parte di molti c'è stata una sorta di rimozione collettiva verso il jazz nella sua componente di ricerca, o comunque c'è un atteggiamento acritico verso la Storia. Se l'ultimo Coltrane (solo per fare un esempio) ha portato il linguaggio in una certa area 40 anni fa, forse è il caso di rifletterci e non rimuovere il tutto come se fosse stato un sogno di un pazzo visionario.
Il valore sociale di un artista risiede nel suo diritto ad essere esoterico.

Concetto Spaziale - 1952

JfI: Il rimedio all'omologazione culturale, dovrebbe partire dai musicisti stessi, dai critici che non si schierano abbastanza o dal pubblico che, finchè l'educazione musicale nelle scuole italiane sarà ferma al flautino ed al triangolo e la TV deterrà il potere, dovrà fare una fatica doppia?

GL: Io non credo per niente a questa balla secondo la quale bisognerebbe dare al pubblico ciò che vuole.
E' esattamente il contrario. Io ho fiducia nell'uomo. Il pubblico è di gran lunga più sensibile ed intelligente rispetto ai musicisti e giornalisti e tutto lo star system in questione. Nessuno nutrirebbe un figlio solo con le merendine. Ergo: diamo al pubblico semplicemente bellezza e contenuti.

Tanto per uscire dal campo del jazz (e non urtare le sensibilità dei colleghi): tutta la grande Arte possiede già tutto. Ogni brano è uno spaccato esistenziale - in Mozart troviamo la leggerezza e la profondità contemporaneamente - in un gioco di rimandi e sovrapposizioni. C'è humor e dramma, come nella vita. Pertanto operazioni di rilettura e/o semplificazione alla Allevi, sono semplicemente ridicole (e dannose).

Ti dirò che non credo neanche ci sia bisogno di educazione musicale in termini tecnici. La musica ha bisogno di essere ascoltata. E' di "educazione all'ascolto" ciò di cui abbiamo bisogno. Ascolto dell'altro, dell'individuo, ascolto interiore. Ancora una volta, l'Arte potrebbe essere il modello politico (sociale) cui educare le nostre coscienze.

Concetto Spaziale - 1959/1960

JfI: C'è stato un momento in cui l'impegno sociale e la ricerca culturale era voluta e sentita da tutti (penso agli anni Settanta). Poi c'è stato un declino dei sogni e l'affermazione della mercificazione di tutti i valori (ed intendo gli anni Ottanta). Ora c'è questa frattura che sembra indolore, perchè è meglio non pensare a come stiamo e fare i soldi con un gratta&vinci. Ci può essere un futuro senza l'estensione del nostro passato?

GL: Noi siamo il nostro passato.

Concetto Spaziale, Attesa - 1966

JfI: Tu hai suonato nel 2008 a Ceglie, nella produzione originale della John Tchicai & the Open Orchestra, che ricordo hai di quel Festival?

GL: Un bellissimo ricordo. Ringrazio ancora Pierpaolo Faggiano (Direttore artistico del Festival) per avermi offerto l'opportunità di scrivere un brano per l'Orchestra.

Concetto Spaziale - 1956

JfI: E di Tchicai, che ha inciso "Ascension" con Coltrane ed è stato fondatore del New York Art Quartet?

GL: Un uomo di grandissima spiritualità e sincerità. Il suo incontro mi ha insegnato tantissimo. 
Un Maestro che ti comunica la bellezza del navigare nel mare aperto.

Concetto Spaziale, Attese - 1962

JfI: Perchè è importante un Festival come Ceglie nella "sperduta" provincia italiana?

GL: Proprio perchè la provincia italiana da sempre è portatrice di quei valori umani etici ed estetici a cui alludevo prima.
Pertanto l'atteggiamento dell'attuale amministrazione verso il Festival diretto da Faggiano è ancorpiù deplorevole ed intellettualmente miope.

Concetto Spaziale - 1959

JfI: Quali sono le prossime tappe "certe" del tuo percorso artistico ed evolutivo?

GL: Continuare a lavorare sempre più alla definizione ed alla profondità del mio linguaggio come un vasaio fa con la creta.

Concetto Spaziale - 1964

JfI: Quale strada, tra quelle che ancora non conosci, vorresti trovarti davanti domani?

GL: Strade che riservano sorprese inaspettate.


Concetto Spaziale - 1952

JfI: Gianni, grazie per il tuo tempo e, soprattutto, per la tua musica.

GL: Grazie a te, per lo spazio e l'attenzione concessami.

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Tutte le immagini sono di
Lucio Fontana 1899 - 1968


"...non è che bucavo per rompere il quadro 
- no - 
ho bucato per trovare qualcosa..."

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