martedì 3 gennaio 2017

Lo devo ammettere: m'ero proprio scordato di Dylan Dog...


Mi ero dimenticato di Dylan... nonostante la lunga e costante frequentazione iniziale, un po' per volta e piano piano, con naturale naturalezza, me l'ero proprio dimenticato. 


Cioè, non è che lo avevo rinnegato o mai del tutto abbandonato, perché sporadici incontri su un Frecciarossa o folgorazioni impreviste fuori dall'edicola come per Mater Morbi, avevano continuato a metterci sulla stessa strada, ma erano sveltine senza sentimento, vuoti simulacri di affettuosità, rigurgiti d'amore acido con lo stesso sapore di quando ti ricordi di un vero amico a Capodanno o per messaggiargli gli auguri di compleanno... 

Lo devo ammettere: m'ero proprio scordato di Dylan Dog. 


Poi ho ho sentito parlare de "Gli Anni Selvaggi", che ho immaginato come uno Year One del Old Boy; ho visto la cover di Gigi Cavenago, che ha scosso i miei sensi più per la pelle nera e strappata del chiodo - a sostituzione della sempitèrna giacca - sbattuto contro un muro sporco, che per il rossosangue tipico della continuity dell'Incubo, ho scorso avidamente i nomi degli autori e, all'apparire di Mr. Mari, ho scelto quello con la costoletta migliore, me lo sono portato a casa e mi sono piazzato proprio sotto al palco per godermi lo spettacolo.


Devo dire che la storia non è sorprendente, almeno nella sua macro-struttura, con il binomio macchina del successo/prezzo da pagare e con una delle tante declinazioni possibili che collegano l'uso della tecnologia al horror o al sovrannaturale, ma è molto interessante per le sfumature sentimentali («non si può proteggere nessuno dal proprio destino»), veritiera nell'analisi generazionale («fino a quel momento, la vita non ci aveva dato niente. Quello che volevamo era... tutto»), fertile per i sogni («i Bloody Hell suonano per passione, per rabbia, qualche volta per dimenticare. Suonano per loro stessi e per chi ha voglia di ascoltarli... la fama è una puttana che ti ruba la dignità»), unica come l'amicizia («Tu fai parte della squadra, e ricordati: il passato è morto, il futuro è per gli ingenui... esiste solo il nostro presente!») e raramente poetica («E' la vita. A volte fa male, a volte è crudele, ma è la vita e basta»). 

E poi diciamolo, questa Storia è dannatamente coraggiosa, perché chi altri si sarebbe messo in testa di riscrivere una parte fondamentale del passato di un personaggio storicizzato ed idealizzato da più di trent'anni? solo una donna, forse, per cui massimo rispetto per Barbara Baraldi. 


I disegni di Nicola Mari poi... quei segni sono perfettamente imperfetti... non nel senso puramente estetico, che è fatto più di scosse elettriche, memoria dimenticata e rivelazioni individuali che di "regolette", ma perché ascoltano la storia, si adattano a questa eppure la condizionano, la penetrano e gli colorano le gote, la vivono, insomma. 


Quì ci sono almeno tre incarnazioni della sua Arte: il "classico" Mari - che è sempre nuovo a sé stesso -, ricco di neri che se ne fottono dei contorni noti e rispettano solo il contrasto dei bianchi per il racconto lineare; un inaspettato e morbido Mari in punta di pennello per il ricordo più bello ed un ancor più graffiante Mari, quando tratteggia il dolore della mente. 


Non dico un Mari uno&trino per non scadere nel banale cattoidealismo all'italiana (un po' come qualche scivolone sulle droghe disseminato nella storia ma si sa, Bonelli è la Disney italiana, per cui ci sta e poi qui vediamo DD prendersi ben due acidelli in un colpo solo, per cui tutto torna) ma a me sorprende sempre questo suo rinnovarsi continuamente nelle forme, mantenendo fede al suo oscuro contenuto, tanto quanto ad altri amanti del fumetto destabilizza. 


Sì, mi ero dimenticato di Dylan... ed ora non so più se lo avevo allontanato dalle mie frequentazioni perché credevo fosse cambiato lui o se, invece, fossi rimasto fermo io. Ma vivere nuovamente in quegli "Anni Selvaggi" le emozioni di "Boys Don't Cry" o risentire anche solo l'eco delle sonorità elettroniche di "Black Celebration" (che io sono più legato alla seconda e terza anima musicale che tratteggia Roberto Recchioni in apertura) beh, è stato più che ritrovare un amico, è stato come abbracciare me stesso... 


Grazie ragazzi, e 'fanculo il fumetto popolare come media per adolescenti. 
«noi saremo amici per sempre, Dylan» 
«per sempre!»


2 commenti:

  1. Mi sono sentito ome lo avesse detto a me quel : perchè non ti sei mai fatto vivo....". Grazie per avermi riportato indietro

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