lunedì 25 maggio 2015

Sandro Brugnolini & Modern Jazz Gang - The Milestrane 1959 - 1964 _ Vol.1


Vi ho già parlato della Modern Jazz Gang, una delle poche formazioni di jazz italiano che, evolvendosi dalla precedente incarnazione traditional che prendeva il  nome di Junior Dixieland Jazz Band, ha lasciato un segno indelebile tra gli appassionati, pur se attraverso una limitata manciata di registrazioni. Di Sandro Brugnolini, leader, compositore e arrangiatore della gang, c’è un po’ più di materiale sulla rete, come l’intervista realizzata da Formosa Coweater e pubblicata su hapsnow's whirlwinds. Di entrambi, resta comunque da scoprire un sacco di materiale sommerso: penso alle registrazioni della Junior rimaste su 78 giri (ed apparse solo su un CD allegato alla rivista Blu Jazz, #14 del 1991) ed alle diverse sonorizzazioni fuori mercato, come per i corti “L’Appuntamento” di Francesco [Gibba] Guido (10 minuti del 1965), “L’Assurdo” di Lino Del Frà (11 minuti del ‘66) e “Cenerentola” di Pino Zac (13 minuti del 1966), solo per fare un esempio.

Approfitto delle parole di Brugnolini, pubblicate sul #11 de Il Giaguaro nel 2005, per condividere con voi un’esaudiente compilation della MJG (allegata allo stesso magazine ed OOP), nella speranza di raccogliere altro prezioso materiale in futuro.


«La musica di Bix rappresentò per tutti noi un traguardo da raggiungere, perché era diversa, tracciava un percorso di ricerca che non si limitava all’improvvisazione ma spaziava anche nei campi della purezza del suono e soprattutto della ricchezza armonica. Non che fosse complicata, anzi – Bix era uno di quei trombettisti dal fraseggio semplice e non certo verboso – tuttavia l’attrazione per un ascoltatore attento, e noi lo eravamo davvero (i nostri preziosi dischi a 78 giri di Bix erano diventati quasi bianchi a forza di ascoltarli solco dopo solco in modo da carpire il segreto di quell’accordo così particolare eppure tanto affascinante) consisteva nel fatto che quelle frasi non erano banali, non erano state mai sentite, non ammiccavano per riscuotere l’applauso facile ma anzi si accartocciavano su se stesse quasi per pudore. Tutto questo per un giovane, e noi al tempo lo eravamo, ha un fascino irresistibile perché attiene all’emozionale, perché prescinde dal successo, anzi quasi lo respinge in nome dell’arte assoluta e della ricerca.


E così noi della Junior Dixieland Gang (“dixieland” era il punto di riferimento musicale; gli altri due termini erano due omaggi: “junior” perché a Roma eravamo i nuovi jazzisti rispetto ai già molto noti colleghi della Roman New Orleans Jazz Band; “gang” perché la formazione più celebre, e soprattutto la migliore, di quelle in cui aveva militato Bix Beiderbecke era stata appunto la Gang) ci buttammo a corpo morto a ricreare le atmosfere rigorose ed armonicamente complesse della musica bixiana, studiando e rifacendo quasi pedissequamente tutti i brani di quel repertorio, da Royal Garden Blues a Jazz Me Blues, da At The Jazz Band Ball a Margie, da Louisiana a Mississippi Mud. Cercavamo di assimilarne ogni più piccolo segreto nel fraseggio, negli accenti, in un collettivo così serrato e geniale coi suoi pianissimo alternati ad improvvisi fortissimo, cosa che le altre band non facevano mai suonando quasi sempre, diciamolo pure, al massimo dei decibel.


Ma poi, impadronitici finalmente di quel linguaggio, incominciammo ad usarlo anche su brani che Bix non aveva mai fatto e alla fine componendone anche alcuni originali: come Bixin’ The Blues che io composi nel 1953 e che incidemmo per la Voce del Padrone Pathé a Milano in omaggio al brano più celebre di Bix che era appunto Singin The Blues. Di questo pezzo comunque facemmo pure una versione particolare in cui il compianto nostro baritoni sta, Francesco Forti, arrangiò per quattro fiati l’intero storico assolo che Bix vi aveva inciso. La ricerca in campo artistico, si sa, quando è sostenuta e stimolata da passione sincera e non contaminata, porta ad andare avanti e a non adagiarsi sugli allori. Sicché proprio nel momento in cui, al termine di una serie di concerti in tutti i maggiori teatri italiani (a Livorno trovammo tutta la marineria americana che proprio in quei giorni era nel porto e che, letti i manifesti del concerto, aveva invaso la platea ed era sbalordita ad ascoltare dei ragazzini italiani che suonavano i pezzi più difficili di un repertorio jazzistico che già in USA era riservato agli intenditori) e dopo esibizioni in Radio e l’incisione di una ventina di brani, eravamo al culmine della notorietà e rappresentavamo una specie di punto di riferimento originalissimo nell’ambito di tutto il revival europeo, invece di sfruttare il successo come molti altri avrebbero fatto, decidemmo di ricominciare davvero tutto da zero.


Infatti l’esperienza compositiva e gli approfondimenti dovuti al messaggio bixiano, ci avevano portato inevitabilmente a spaziare su altri mondi, quelli del jazz più avanzato al quale certamente Bix sarebbe giunto molto prima di ogni altro, se la morte non lo avesse colto ad appena 28 anni immergendo la rua romantica figura nell’alone di una leggenda senza fine. Alla sua soria vennero dedicati almeno due film, Chimere con Kirk Douglas in cui, a parte Bix che era morto, suonavano davvero molti dei jazzisti della sua epoca, ad esempio Benny Goodman, e, recentemente, il Bix di Pupi Avati in cui, non essendoci purtroppo più nessun protagonista dell’epoca, tutto è stato sapientemente ricostruito come in una cover. C’è da ricordare che in anni più recenti è esistito una specie di secondo Bix, anche lui bianco, anche lui trombettista, anche lui un po’ pazzo e scriteriato, anche lui un po’ maledetto: Chet Baker, il cui suono purissimo e certi atteggiamenti non solo musicali fanno riferimento a quel clangore argentino che solo la tromba golden, aurea, dorata (quella dell’arcangelo Gabriele, insomma), suonata da Bix, aveva saputo evocare come per miracolo.


Ebbene io ebbi la percezione che si sarebbe potuta proseguire la strada intrapresa da Bix anche e soprattutto nel jazz moderno: così cambiai nome all’Orchestra che divenne Modern Jazz Gang (quel gang rimase come nostalgico omaggio alla matrice sonora). Il gruppo, con nuovi prestigiosi elementi come Cicci Santucci ed Enzo Scoppa che si aggiunsero al nocciolo duo rappresentato oltre che da me (passato nel frattempo dal clarinetto al sax) anche da Alberto Collatina al trombone, Leo Cancellieri al pianoforte e Carlo Metallo al baritono, incominciò a distinguersi per una sua caratteristica speciale: tutti i brani in repertorio non appartenevano ai consueti tunes o canovacci cari al jazz moderno ma erano tutti brani composti e arrangiati da me o dagli altri componenti dell’orchestra. Con Arpo, brano che io composi dedicandolo al logo di Arrigo Polillo, il più importante critico di jazz italiano, la Modern vinse il primo premio per il migliore brano originale arrangiato el Festival nazionale del Jazz del 1958; e con Miles Before and After, altro brano di mia composizione, la Modern Jazz Gang rappresentò l’Italia al Festival Internazionale del Jazz di Sanremo nel 1961. 


Seguirono concerti e dischi, e da qui incominciò anche la meravigliosa e avventurosa esperienza con il mondo del cinema, dapprima per me e per la Modern, poi soltanto per me allorquando, per essere diventato giornalista professionista, dovetti abbandonare i concerti ed i teatri smettendo purtroppo di suonare ma spostando la mia attenzione soltanto sul settore della composizione per il cinema e per la TV, attività che ho potuto poi condurre negli anni, in parallelo con l’impegno giornalistico (sono diventato anche parlamentarista e vice direttore del quotidiano Il Popolo). La Modern infatti era apprezzata da tutti i registi e cineasti d’avanguardia e io, che la dirigevo e ne curavo gran parte degli arrangiamenti e dei brani originali, incominciai ad essere chiamato per musicare decine e decine di documentari culturali d’ogni tipo, tutti ammessi alla programmazione obbligatoria. A volte si faceva come Miles Davis nel celebre film Ascensore per il Patibolo: in sala si improvvisava mentre passavano i rulli delle varie parti della pellicola; altre volte preparavo io i temi e li arrangiavo per la Gang ma poi davo sempre ampio spazio alla creatività dei vari solisti durante la registrazione. Il culmine di questa attività arrivò nel 1962, quando composi la colonna sonora, interamente jazzistica e quasi tutta registrata con la Modern, del fil Gli Arcangeli, che fu molto apprezzato ed ebbe un buon successo. Il disco uscì anche su un 33 giri della RCA e oggi, a distanza di ben quarantadue anni, è stato ripubblicato dalla DejàVu perché considerato un disco “cult”: tra l’latro, alcuni dei miei brani di quella colonna sonora (tra cui Helen’s Blues) erano stati interpretati dalla famosa cantante jazz americana Helen Merrill. A questo punto, dati i miei sempre più pressanti impegni col giornale e con il Palazzo (c’è, inciso anche su disco, un mio brano che si intitola infatti Montecitorio e che è stato per moltissimi anni la sigla televisiva del programma della RAI “Speciale Parlamento), la Modern Jazz Gang incominciò a perdere colpi e pian piano si sciolse, fatte salve alcune rimpatriate in occasioni importanti: per esempio nel 1964 composi le musiche per un documentario, che poi ottenne non pochi premi, e al quale partecipò quasi tutta la Gang con in più, ospite davvero d’eccezione, il tenorsassofonista Gato Barbieri».

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Credits:

The Milestrane 1959 - 1964 _ Vol.1
Label: il Giaguaro Records
Catalog #: GRC 013
Format: CD
Country: Italy
Executive Producer:
Alessandro Casella
Licenced by
Sandro Brugnolini


Tracklisting:


1. Robert's Tune - 03:35 (1959)
2. Arpo - 04:47 (1959)
3. Blue Mirria - 03:28 (1960)
4. Leopoldville - 03:53 (1959)
5. Miles Before and After - 04:29 (1960)
6. Flying Boy - 03:37 (1961)
7. La Città di Pavese - 04:21 (1960)
8. Trickery - 03:37 (1961)
9. Big Concert Blues - 02:26 (1962)
10. Milestrane - 01:53 (1961)
11. Blue Sinanthropus - 03:13 (1962)
12. Homo Sapiens - 01:35 (1962)




13. Medium Herd - 03:15 (1962)
14. Train Up (Tema Lento) - 02:53 (1964)
15. Train Up (Medio Sold) - 05:19 (1964)
16. Train Up (Milestones) - 02:01 (1964)
17. Train Up (Velocistenor) - 02:09 (1964)
18. Things for Alto - 04:59 (1962)
19. Six Gospel Eight Jazz - 02:43 (1964)
20. Steel and Iron - 01:17 (1962)
21. A Trumpet for Veronique - 02:57 (1962)
22. Eliano City Blues - 02:19 (1962)
23. My Lady in the Night - 02:59 (1962)
24. Smog Time - 02:46 (1962)



Notes
all tracks composed by
Sandro Brugnolini

#1 and #4:
EP RCA - EPA 30-358
Cicci Santucci (tp),
Sandro Brugnolini (alto sax, arr),
Alberto Collatina (trne),
Enzo Scoppa (tenor sax),
Carlo Metallo (bar sax),
Leo Cancellieri (p),
Sergio Biseo (bass),
Roberto Petrin (drums)

#2:
LP Astraphon LPA 10001
Cicci Santucci (tp),
Sandro Brugnolini (alto sax, arr),
Alberto Collatina (trne),
Carlo Metallo (bar sax),
Leo Cancellieri (p),
Sergio Biseo (bass),
Roberto Podio (drums)

#3:
EP Cetra EPD42
Cicci Santucci (tp),
Sandro Brugnolini (alto sax, arr),
Alberto Collatina (trne),
Enzo Scoppa (tenor sax),
Carlo Metallo (bar sax),
Puccio Sboto (p),
Sergio Biseo (bass),
Roberto Podio (drums)

from #5 to #13, #18 and from #20 to #24:
documentaries soundtracks, performed mostly by
Cicci Santucci (tp),
Sandro Brugnolini (alto sax, arr),
Alberto Collatina (trne),
Enzo Scoppa (tenor sax),
Carlo Metallo (bar sax),
Leo Cancellieri (p),
Puccio Sboto (vib),
Tonino Ferrelli (bass),
Roberto Podio (drums)
in several cases the band is reduced to
only some of these elements;
in other tracks, however, also include
Maurizio Majorana and Gianni Foccià (bass),
Sandro Serra (perc), Silvana Masone and Simoncini (piano),
Angelo Baroncini (guitar),
Franco Morea and Maurizio Morandi (drums).

from #14 to #17:
ost of “Ogni Giorno” by Piero Nelli
Cicci Santucci (tp),
Sandro Brugnolini (alto sax, arr),
Gato Barbieri (tenor sax),
Franco D'Andrea (piano),
Carlo Loffredo (bass),
Gegè Munari (drums)

#19:
ost of "L'Iradiddio" by Pino Zac
Sandro Brugnolini (alto sax, arr),
Gato Barbieri (tenor sax, cl),
Carlo Metallo (bar sax, clarone),
Angelo Baroncini (el. guitar),
Franco D'Andrea (piano),
Gianni Foccià (bass), 
Gegè Munari (drums)


4 commenti: