sabato 18 aprile 2015

Guido Manusardi Quintet _ Bridge Into the New Generation, 1981


«Nel jazz italiano il caso di Guido Manusardi è singolare: costituisce infatti l’unico esempio di un nostro musicista che, dapprima affermatosi all’estero, sia giunto in patria solo in un secondo tempo, godendo di quella stima e di quella considerazione generalmente riservate ai musicisti stranieri. L’atteggiamento immediatamente e universalmente favorevole della critica non ha comunque prodotto per Manusardi, in Italia, né maggiori occasioni di lavoro né, tantomeno, una migliore comprensione della sua musica».

Così esordisce Maurizio Franco nell’inserto di Musica Jazz dedicato al pianista di Chiavenna (Sondrio), nel aprile del 1998.


Il caso, più che singolare nel nostro Paese (basti pensare ad Enrico Intra, attivo negli stessi anni che, pur se con una copiosa produzione discografica italiana, è sempre restato ai margini dei panorami più noti della musica jazz) è comunque curioso: Manusardi inizia a suonare jazz già nel ’53 ma solo quindici anni dopo ha la prima opportunità d’incidere a suo nome (Blue Train – SE DISC SWELP 57), e lo farà nell’avanzata Stoccolma. Per ascoltare un’incisione ripresa nel territorio italiano, bisognerà attendere la metà degli anni Settanta.


«Strumentista-Progettista. Musicalmente si è mosso preferibilmente nell’ambito tonale (in subordine modale) anche se ha avuto modo di esprimersi in termini di jazz tradizionale, mainstream e free. Ha una natura prevalentemente ritmica per cui il suo pianismo ha generalmente un andamento spiccatamente dinamico. Il fraseggio è decisamente ricco con la linea metodizzante della mano destra che tende ad egemonizzare le situazioni (la mano sinistra è robusta, ma ha funzioni d’appoggio). Il tocco e la tecnica sono incisivi.»

Questo il breve profilo di Manusardi tracciato da Arrigo Zoli nel suo fondamentale Storia del Jazz Moderno Italiano (AZI Edizioni 1983).


Chissà se fu per via del suo stile trasversale, o del suo carattere defilato, che la critica e la produzione discografica ebbero più difficoltà d’inquadrare la sua musica, fatto sta che gli investimenti su questo artista italiano tardarono ad arrivare. O forse, più casualmente, fu per il periodo storico nel quale Manusardi si è presentato sui nostri palcoscenici. Classe 1935, il suo pianismo potrebbe essere rimasto schiacciato tra i pionieri Trovajoli (’17), Cesari (’20), Sellani (’27), Gaslini (’29) e la generazione appena successiva, che ha sicuramente goduto di un’identità più dichiarata, quella cioè che va da Franco D’Andrea (’41) a Pieranunzi (’49), un po’ come è successo ad Enrico Intra (’35), Oscar Rocchi (’36) o Mario Rusca (’37), per intenderci.


Altrimenti è inspiegabile come alcune perle della sua produzione anche più recente, come ad esempio The Village Fair (Soul Note, 1997), siano sempre state messe in attesa prima di essere nuovamente disponibili sul mercato e, in questo caso, solo grazie al traino di un musicista “ospite”, seppur di notevole valore, a discapito delle composizioni e degli arrangiamenti, tutta farina del sacco del nostro (Gianluigi Trovesi - The Complete Remastered Recordings on Black Saint & Soul Note - Cam Jazz, 2015).


In ogni caso, se è vero che dimenticare stanca, è anche vero che compararci con gli altri paesi resta un learning interessante, quantomeno per affermare chiaramente quali sono i nostri pregi e quanti i nostri limiti.
  


Intervista con Manusardi [estratto]
- di Enzo Fresia, da Musica Jazz gennaio 1969 -

EF: Caro Manusardi, lei è di passaggio a Milano diretto in Romania. So che lo scorso anno lei è venuto in Italia con l’intenzione di rimanerci e di svolgere qui la sua attività professionale, ci vuol dire cosa ha potuto fare in questo periodo?
GM: Poco, pochissimo. Sono rimasto in Italia dall’aprile all’ottobre del 1967. ho registrato un programma con Adriano Mazzoletti per il suo “Concerto Jazz” alla RAI, poi ho suonato una sera con Azzolini e Mondini a Torino in un Jazz Club. E poi… basta. Ho tentato d’incidere dischi di jazz in Italia: avevo avuto assicurazioni da una casa discografica, ma poi non se n’è fatto niente. Sa’ com’è, prima c’erano le canzoni o il Cantagiro. E dire che mi ero preparato bene ed avevo provato moltissimo con un quintetto… col jazz ho guadagnato in tutto 50.000 lire! Così ho dovuto mettermi con il complesso di Remo Germani.


EF: E si è trovato bene con Germani?
GM: Sì, ma non potevo fare del jazz: dovevo suonare solo canzoni e per di più sull’organo, uno strumento che non mi è congeniale. Ma con Germani ho almeno fatto qualche tournée all’estero e sono stato anche in Romania. Così ho conosciuto dei musicisti di jazz rumeni ed ho visto che in Romania era possibile fare del jazz. Il che, in fondo, è proprio quello che m’interessa di più. Certo che, se fossi rimasto in Italia ancora qualche mese, avrei dovuto vendere l’automobile per poter vivere…


EF: E dire che aveva già al suo attivo un microsolco, il Blue Train inciso in Svezia. Ma torniamo alla Romania.
GM: Avevo conosciuto dei jazzisti a Bucarest, dei musicisti che mi avevano sentito suonare in un ristorante. Abbiamo fatto subito amicizia e loro mi hanno portato alla radio per una registrazione di mezz’ora con musicisti locali in quintetto, quartetto e trio.


[…]
EF: Lei ha anche registrato recentemente un disco per la Elektrorecord (Free Jazz – EDD 1196 _ N.d.c.); come sono andate le cose?
GM: Ho registrato con musicisti di mia scelta, naturalmente i migliori disponibili in quel momento, abbiamo provato tre o quattro volte e poi ho fatto il disco. Era tutta musica mia: musica che avevo composto in Italia l’anno scorso e che avrei dovuto registrare in Italia. Ma lei sa come sono andate le cose…


[…]
EF: Lo Stato finanzia anche il Jazz?
GM: Sì, certamente. Tramite un’organizzazione che si chiama OSTA ed è quella tramite la quale si ottengono scritture per incisione di dischi, per suonare alla radio e nei teatri… le tariffe sono buone. Posso dirle che per il mio disco ho preso la tariffa massima, quella che viene corrisposta ai concertisti di musica classica.


[…]
EF: Intende stabilirsi definitivamente in Romania?
GM: No. Intendo rimanere in Romania fino a quando potrò fare del jazz, ci potrò stare anche due o tre anni, facendo ogni tanto una scappatina in Italia per vedere come vanno le cose. Ma se la situazione si mantiene com’è ora, non mi passa neppure per la testa di lasciare la Romania. È chiaro che un musicista non vive soltanto di denaro ma anche di soddisfazioni personali. Io ormai conosco tutti in Romania, in un anno ho fatto più conoscenze in Romania che non in sette in Svezia. Conosco tutti i musicisti ed in Romania posso fare quello che non sono riuscito a fare in Italia. Là posso chiedere quello che voglio e mi accontentano. Praticamente è proprio questo che noi chiediamo: che ci lascino fare quello che vogliamo. Cerchiamo di fare del nostro meglio, di tentare nuove esperienze che siano svincolate da quelle americane. Gli americani fanno delle cose molto buone; ma se noi riusciremo ad ancorare il jazz contemporaneo con la musica classica certo potremo fare qualcosa di nuovo, ed in questo noi siamo in vantaggio nei confronti degli americani, perché noi abbiamo un tradizione classica che loro non hanno. Del resto, anche in Italia, Gaslini sta facendo proprio questo, mi pare… e questo è anche ciò che sto cercando di fare io in Romania. Poi non si sa più se chiamarlo jazz o altro… ma non sono io che devo decidere…
    Vorrei anche portare il mio quintetto in Italia, mi piacerebbe proprio. Ma avrei bisogno di buone scritture e di un impresario serio e solido. Non so se ci riuscirò, anche se penso che sarebbe interessante far ascoltare in Italia, in Occidente, qual è lo stato attuale del jazz rumeno. Vedremo se il futuro mi permetterà di realizzare questo desiderio. Per ora, questa sera stessa, riparto per la Romania. Poi si vedrà.



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Credits:

Guido Manusardi Quintet
Bridge Into the New Generation

Label: SPLASC(H)
Catalog#: 102
Format: LP
Country: Italy
Recorded: at "Fontana Studio 7",
Milan, June 8th, 1981

Guido Manusardi (piano),
Fulvio Sisti (alto s),
Pietro Tonolo (tenor s),
Marco Vaggi (bass),
Alfredo Golino (drums)



Tracklist :


A1. Take The Coltrane (Manusardi) – 6:26
A2. Old Folks (Hill – Robinson) – 5:28
A3. Oltremera (Manusardi) – 8:20




B1. Scrapple From The Apple (Parker) – 5:45
B2. Sorrow (Manusardi) – 8:36
B3. Vera (Manusardi) – 5:17



5 commenti:

  1. eccellente post, però il link del side B ripete i brani del side A
    Un caro saluto Gigi

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    1. GiGi!!!

      è un vero piacere ritrovarti, erano forse anni che non ci s'incontrava... ogni tanto passo dal tuo blog e sapere che sei ancora "on board" mi entusiasma!!!

      Per la tua richiesta: ho appena provato a scaricare dai link di riferimento e non c'è nessun errore; se vuoi riprova.

      A presto

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  2. Ok grazie problema risolto, probabilmente un mio errore (scherzi dell'età). Mi sono goduto particolarmente questo tuo post, Su Manusardi ho scritto diverse cose sul mio blog, e ho moltissimi suo dischi compreso questo (Lp originale) ma averlo sul PC è più pratico. Quando vivevo a Bucarest una trentina di anni fa, ho conosciuto alcuni dei musicisti che suonarono con Guido, che lo ricordavano con grande stima e rimpiangevano quei tempi. Ma non ti voglio annoiare coi ricordi di un vecchio. Un caro abbraccio
    GiGi

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