venerdì 24 maggio 2013

Chet Baker Quartet _ Deep In A Dream Of You _ 1976


Nel numero ancora in edicola di Musica Jazz, ci sono due articoli su Chet Baker che, attraverso la ricorrenza dei venticinque anni trascorsi dalla sua scomparsa, approfondiscono alcuni aspetti e tratteggiano un nuovo ricordo del trombettista di Yale.


Il primo, a firma di Gian Mario Maletto, ricostruisce in una manciata di pagine la vita, la carriera e le sue registrazioni dagli esordi agli anni Settanta, ripercorrendo anche le tragiche situazioni che hanno affollato la sua vita pubblica e travolto quella privata.


Un ritratto dovuto, specialmente nel funesto anniversario, ma che non aggiunge molto al già noto e che, soprattutto, non genera quesiti e nuove curiosità, almeno tra i vecchi patiti di Chet, se non nella diretta domanda: quanti ascoltavano sul serio il suo jazz?


Ma sul secondo articolo, dal titolo “CB in Italia – L’Ultimo Chorus” a firma di Luciano Viotto, appassionato jazz fan e compilatore di diverse discografie, tra cui una delle prime sulla musica del divino Miles autoprodotta nel 1989, si trovano invece diversi spunti di ragionamento e non poche affermazioni utili a stimolare nuove ricerche, per fare almeno luce su alcuni aspetti tralasciati precedentemente sulla storia di questo musicista che, se alcuni non riescono davvero a considerarlo tra i più grandi e geniali di questa musica, è stato indubbiamente uno tra i più ispirati ed irripetibili autori del jazz, «in grado di coniugare una sofferta poetica ad un lirismo assoluto»


Ad esempio, Luciano inizia ad analizzare il rapporto di Baker con l’Italia, che fu il tema dell’ampia monografia scritta da Salvatore G. Biamonte, sempre per i tipi di MJ nel ’94, chiedendosi come sia maturato oltre le motivazioni di natura artistica, passando attraverso i tanti rapporti umani che, solo in parte, sono stato raccolti nel libro di Paola Boncompagni e Aldo Lastella (Stampa Alternativa 1991).


Oppure accenna al fatto che la bibliografia disponibile non sia propriamente esaustiva, dal momento che non approfondisce e collega le tante fonti ordinarie, orali e documentarie, come le lettere o gli articoli dei quotidiani, per tentare di coprire alcune lacune nella biografia bakeriana e, anzi, creando a volte una cronologica confusione.
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E ancora Viotto si chiede quanto la facilità di trattare Chet Baker come un’icona, come nel voluminoso libro di James Gavin (B&C Dalai 2004), abbia offuscato la sincera ricerca musicale o sminuito l’analisi degli altri interessi culturali dell’uomo Baker.

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Infine, è impossibile non toccare il versante discografico, sterminato e, per alcuni, gonfiato a dismisura dopo la sua morte, come ebbe a raccontare Giuseppe Piacentino nell’articolo “Il Caso CB: Un Mercato Impazzito”, pubblicato su MJ nel 1990.


Quest’ultimo, è uno dei due temi che da anni cerco di ordinare in maniera il più possibile esaustiva anche io, insieme alla tesi che c’è un rapporto tra i diversi momenti musicali di Baker ed i differenti tipi di sostanze allucinogene che  abitavano il suo corpo. Perché della droga e di Chet se ne parla da sempre, ma solo come fatto di costume e di bieco indirizzo morale, con i magazines che s’inventavano il titolo più a effetto possibile, tipo “Il Veleno del Jazz” (Il Reporter 36 – 1960), oppure “La Magica Tromba di CB è Caduta nella Fossa delle Vipere” (Il Tirreno – 1960), come “CB: Storia di Dolore” (Down Beat – 1964) o “La Paura mi Aspetta alla Porta” (L’Europeo – 1961), fino ad “Amici Italiani Aiutatemi Voi” (Novella 35 – 1963)…


Nessuno, invece, ha mai indagato sul possibile eco degli effetti delle sostanze predilette da Chet e la sua musica, sulla sua particolare  concezione del tempo, sempre così preciso e puntuale sull’aspetto ritmico e, allo stesso tempo, così dilatato sull’aspetto percettivo. Ad esempio, si sa che Baker scoprì tardi lo speedball, mix di coca&ero e, secondo me, tutta la sua musica dalla fine dei Settanta in poi è caratterizzata da questo swingante passare da un’oppiacea sensazione, al suo anfetaminico opposto.
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Oppure, provate ad ascoltare la colonna sonora del film/documentario di Bruce Weber, frutto di una produzione da star (qui si parla di 200.000$ per Chet, molto più di quanto lui incassasse in un intero anno di estenuanti tours)… dopo che per anni CB si era adattato a suonare ed incidere per un paio di centoni a sera ed a sopportare il tutto con quello che trovava al volo in un qualsiasi vicolo nei pressi del club, pochi istanti prima del set… in questo caso, invece, niente surrogati, ma ero e coca di prima qualità, e si sente!


Ma questo, forse, è solo il mio trip, ed è ancora troppo embrionale rispetto al primo tema, cioè fare ordine nella sterminata discografia, per cui torniamo là.

Ad esempio c’è quest’album a nome del Chet Baker Quartet, edito per una oscura etichetta svedese nel 1988 e poi ristampato dalla Moon nel ’90 (MLP 026-1), che sembra essere stato registrato dal vivo al Music Inn di Roma, genericamente nel 1976.
Dico sembra perché Mario Luzzi, recensendo  il disco su MJ nel maggio ’89, mise in dubbio il fatto che Isla Eckinger, uno dei bassisti prediletti da Chet in quel periodo, fosse mai venuto a Roma, al Music Inn, in quell’anno.
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Il 1976 è un anno importante per Baker, che ha 46 anni, perchè segue il suo secondo ritorno sulle scene europee (la prima lunga assenza fu dopo il processo di Lucca), avvenuto al Festival di Pescara, il 14 luglio 1975, dopo la leggendaria storia del pestaggio e della conseguente rottura dei denti.


La continua presenza di Baker nel locale di Largo dei Fiorentini in quel ‘76, è cosa certa: è stato più volte raccontato che Pepito Pignatelli affidò la direzione del Music Inn proprio al trombettista in quell’estate romana.
E le cronache disponibili, come ad esempio la pagina locale degli spettacoli de l’Unità, riportano nello specifico il Chet Baker Quartet dal 2 al 30 luglio 1976 al Music Inn, con il fedele Jacques Peltzer al flauto, ma con Roberto Della Grotta al basso, e con Hal Galper al piano (anche se nel trafiletto leggiamo di un fantomatico H. Gelter - sic - al piano).
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Certamente Isla Eckinger era presente alla registrazione del disco, dato alle stampe con il titolo “Deep In A Dream Of You“, in quanto nominato da Baker stesso nella presentazione del quartetto al pubblico del club, impressa sul vinile, ma il dubbio resta nella data e nella location.

In effetti, io il dubbio sulla location ce l’avevo prima di leggere tutta ‘stà storia riportata da Luzzi, in quanto gli applausi del pubblico, registrati anch’essi su disco, risultano troppo ampi per una grotta sotterranea in pietra com’era il Music Inn.
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Cercando ancora sui giornali dell’epoca, questa volta sull’archivio storico de La Stampa, ho ritrovato i componenti del quartetto, esattamente come riportati nelle note di copertina dell’album, agli inizi dell’anno allo “Swing Club” di Torino, almeno dal 29 al 31 gennaio 1976, visto che per la data del 28 il cronista riportava al basso l’inglese Peter Ind, che a me non risulta abbia mai suonato con Chet (ma con Gerry Mulligan sì), ma in quella prima recensione viene anche scritto che il pianista è Harold Stanko - sic -, al posto di Danko.

Tornando poi a sfogliare le pagine romane de l’Unità, ho trovato ancora i componenti del quartetto, esattamente come riportati nelle note di copertina dell’album, al Music Inn di Roma qualche giorno dopo i concerti di Torino: venerdi 6 e sabato 7 febbraio 1976. 
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Ma allora Eckinger a Roma nel 1976 ha suonato o ha ragione Mario Luzzi?
il disco è registrato al Music Inn di Roma o allo Swing di Torino?
e quell’affascinante Chet’s Theme che comprende l’enunciazione dei componenti del quartetto, perché non è mai stato più suonato?

Questi quesiti m’incuriosiscono e possono nascere solo grazie all’ascolto dei cosiddetti “bootleg”, che ancora oggi fanno discutere e che invece offrono infinite sfumature rispetto alle incisioni ufficiali e che trattengono per sempre l’attimo fuggente, come lo stesso Chet, in una lucidissima intervista, raccontò allo stesso Luzzi sempre nel 1976 (MJ Aprile).
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«CB: nella musica esci tutte le sere per andare a suonare. Ed è chiaro che cerchi sempre di dare il meglio di te, anche se non sempre ti riesce. Poi succede che suoni malissimo davanti ad un folto pubblico di un grande teatro, e poi magari ti riesce tutto facile davanti al pubblico ristretto di un piccolo locale. E quest’ultima esibizione bellissima rimane solo un episodio della tua vita, rimane una cosa che soddisfa te stesso ma che non lascia traccia.

ML: non sono d’accordo con te; è vero che non lascia una traccia materiale, un documento, però chi ti ha ascoltato in quella serata di grazia se ne ricorderà per sempre.
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CB: sì, ma questo non giova alla tua reputazione, anche perché la gente dimentica presto. La gente ti giudica sempre dai dischi che fai, e generalmente negli studi di registrazione non succede mai nulla di veramente valido sul piano emotivo. Esce fuori un prodotto pulito, senza sbavature, tecnicamente perfetto ma poco sentito. Anche se sei nelle migliori condizioni fisiche e mentali, c’è quella atmosfera fredda, grigia, che non ti da nessuna emozione e che non ti permette di stabilire un rapporto diretto con chi ascolterà poi il disco. I dischi servono solo a dimostrare che sai suonare lo strumento e che tipo di musica suoni. Tutto qui. Non riveleranno mai i tuoi veri sentimenti. 


Ho notato che qui da voi molta gente registra la musica che si suona in concerto. Negli Stati Uniti questo non è assolutamente permesso. Da un certo punto di vista, questo può essere un fatto positivo, perché così resta una traccia di quella serata. Il guaio è che queste registrazioni “pirata” vengono spesso messe sul mercato senza che venga chiesta l’autorizzazione ai musicisti, e può anche darsi che quella particolare registrazione ti abbia colto in una serata nera. Non so se lo sai, ma c’è in circolazione un mio disco tratto da una jam session svoltasi a Inglewood, in California, nel club Trade Winds, con Charlie Parker… per quanto mi riguarda, quella registrazione, non avrebbe mai dovuto vedere la luce, anche se Bird e Sonny Criss suonano benissimo»
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Nel numero ancora in edicola di Musica Jazz, ci sono due articoli su Chet Baker che approfondiscono alcuni aspetti e tratteggiano nuove possibilità di lettura sulla storia del musicista di Yale e, nel box di preview del numero di giugno, la rivista annuncia un dossier su Massimo Urbani ed un CD a sorpresa.
Mi piace!

Anch’io da tempo tengo fermo un inedito del grande Max, in attesa di condividerlo con voi nella giusta occasione; speriamo che la coincidenza con i tipi di MJ sia solamente negli intenti…
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Credits:

Label: Heart Note
Catalog#: HN 008
Format: LP
Country: Sweden
Recorded at Music Inn,
Rome, 1976
(probably)

Chet Baker (trumpet, voc),
Jacques Peltzer (flute),
Isla Eckinger (bass),
Harold Danko (piano)



Tracklisting:


Tidal Breeze – 10:45
If You Could See Me Now – 7:38
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Look for the Silver Lining – 7:15
Deep In A Dream Of You – 6:55
Chet’s Theme – 5:36
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10 commenti:

  1. Grazie mille for sharing this gem on CB!

    my best regards, K.

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  2. Grazie per questo album, davvero prezioso. Resto in attesa dell'inedito di Urbani, ora! :)

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  3. Thanks for this one ! The session took place on February 1976. On this page you published my photo from Chet in Solingen 1987, but you did not ask me for permission, nore did you mention my name.

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  4. @:unterhosenspeck

    Thank you for the clarification, very useful to the topic.

    For photos, I've used various sources, mainly the book "Chet Baker in Europe," edited by Ingo Wulff and the magazine Musica Jazz.
    I would have liked to quote the credits, as I have done before, but I haven't found the time.
    Only one picture, however, I had foundit on the web, yours, and I published it for it's beautiful.

    I don't remember the blog where I found it, but some photos of Chet in Solingen in 1987 are published in the Thorbjørn Sjøgren's discography, including one that "celebrates" the birthday of Baker, and are signed by Jürgen de Waal.
    It's always you?

    I can keep it in the post or do you prefer that I take it off?

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  5. grazie ciancico' per tutti questi bei regali che pubblichi...sei meraviglioso!!

    Un inedito di Big Max?

    Fantastico...magari un concerto al vecchio Caffè Latino dove lo incontrai per la prima volta...mi fulmino'. Il giorno dopo andai da Cherubini a Portonaccio e mi comprai uno Yamaha alto Yas 25 che ancora oggi soffio e custodisco gelosamente.
    E' seduto qui al mio fianco, mi ha seguito fin qui e tu lo sai che ora vivo molto molto lontano dall'Italia. A tal proposito, tra 10 gg c'è l'inaugurazione qui del mio Blue Saxo...mi piacerebbe riabbracciarti...Ciao man...T'aspetto.

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  6. Thanks a lot for the beautiful posts.
    Unfortunately side B from this one has expired....

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  7. HI. Any chance you could re-up on Mega? Many thanks!

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  8. Please, would you have time to reup this one ? I miss it cruelly !! In hope....

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