Eccomi quì,
dopo una breve impasse, riprendo la condivisione della mia passione, non senza uno sforzo di concentrazione per non perdere l’equilibrio.
E sì, perché in questi ultimi giorni diversi accadimenti hanno scosso le mie certezze nel profondo, hanno offuscato le mie previsioni, mi hanno fatto riconsiderare certezze e cambiamenti, non senza offrirmi nuovi stimoli e curiosità.
Tutto è iniziato circa un mese fa, quando il mio hard disk ha deciso di smettere di funzionare, interrompendo il collegamento che permetteva a me, e di riflesso a voi, di accedere a parte dei miei cassetti privati. Per anni ho pensato che archiviare in memoria digitale parte della mia passione mi avrebbe permesso di salvaguardare parte della mia memoria fisica, che per necessità umane contiene meno o, più specificatamente, conserva quello che, anche inconsciamente, ritiene più importante.
In un click invece ho smarrito un terabyte di memorie virtuali, 1024 GB tra musica, discografie, foto personali, filmati, indirizzi privati, liste di desiderata, tutti i miei scritti non pubblicati e cose così.
Superficialmente doloroso quanto lo spegnimento di una lampadina, eppure traumaticamente così profondo da lasciare il segno.
Qualche giorno dopo ho iniziato ad aiutare mio padre nel suo trasloco e, dalle stanze reali del suo magazzino ben più ampio di una cantina, son venute fuori memorie sopite e giovani sogni.
Ho ritrovato le mie pitture, inizialmente vergate su enormi tavole di legno, pesanti lamiere, cartoni per imballaggio, supporti vari formati di polistirolo e gesso, tutti rigorosamente dipinti a smalto sintetico. Ho riscoperto, con occhi colmi di tenerezza, un uso appassionato degli elementi della produzione industriale che conteneva più un rifiuto totale della tradizionale forma accademica che un’artistica riconoscibilità personale.
Titoli pretestuosi e poetici, come “non senti anche tu l’odore dell’erba bagnata”, oppure “non c’è più il mare alla mia finestra, solo tempesta dentro di me, dove sei?”, e ancora “antico segno, scrittura moderna”.
Solo più avanti ho ritrovato le tele, i miei lavori più vecchi risalgono al 1996, in cui la figura umana veniva usata a mero pretesto per rappresentare la forma, priva dell’illusione prospettica, della pittura pura, che se ne fotte dei contorni, che supera la verosimiglianza per la rappresentazione della realtà interiore.
Centinaia di quadri che, dovendo abbandonare il posto in cui erano stati riposti per anni, hanno dovuto subire di una scelta dettata più dalle necessità dello spazio che da un vero e proprio arbitrio personale. A casa mia, ora, non c’è posto per tutti quei ricordi.
Ho buttato via più della metà di quei lavori, riempiendo cassonetti ed anche un furgone dell’azienda municipale, con gli addetti che mi guardavano attoniti e ora, mi sembra di aver gettato via i più belli, anzi, quelli che mi rappresentavano di più, chè dire se erano belli non spetta certo a me, o perlomeno quelli che sembravano riflettere la forma più vera dei miei sentimenti d'allora.
Poi, appena qualche giorno fa, la scelta obbligata di abbandonare il mio primo blog, quel http://jazzfromitaly.splinder.com/ che ha offerto l’inizio a tutto questo, ed allora, capirete, un minimo di destabilizzazione l’ho vissuto, è naturale.
Come uno sgretolamento delle fondamenta, una riconsiderazione del mio percorso e dell’architettura delle mie certezze mi è esplosa in faccia, più all’improvviso, che seguendo temporalmente gli eventi.
Anche il fatto di spostare i miei pensieri qui, sul blog omonimo di blogspot, ha offerto un’ulteriore resistenza.
Qui ho sempre postato esclusivamente dischi, appena introdotti da poche righe nello stentato inglese tradotto da googletranslate perchè, ve lo devo dire, a me il suono dell’inglese non è mai piaciuto, oltre al fatto di aver sempre studiato ed amato la lingua francese.
Ed ora invece, trovarmi qui a raccontare i miei cazzi privati in un posto in cui non l’ho mai fatto, mi mette quasi imbarazzo, come offrire una nudità in un posto dove tutti portano il vestito da sera. Eppure i contatti qui sono stati immediatamente più alti e proficui rispetto al blog pensoso appena abbandonato su splinder.
M’immagino chi segue da tempo questo blog e, di punto in bianco, oggi si trova davanti queste scellerate meditazioni.
L'onda d'urto potrebbe essere più devastante e fare molteplici vittime tra quelli che desiderano solo ascoltare buona musica.
Ma, provate a prendere un giovane topo da laboratorio che ha sempre vissuto nello spazio delimitato della sua gabbia, con la certezza di ricevere il mangime ad orari precisi, con il suo tempo vitale organizzato dagli orari di accensione e spegnimento della luce elettrica, con la gioia certa di vivere la sua insulsa passione di correre follemente nella ruota di plastica, con i ricordi filtrati dai suoi occhietti vispi e dal suo naso mobile.
Prendete quel povero topo, dicevo, e tiratelo fuori da lì, privandolo di tutto ciò che aveva percepito come suo, che aveva il suo odore e costituiva, stando semplicemente al suo posto, la geografia immaginaria, quanto reale, del suo piccolo mondo.
Prendete quel topolino e ditegli di ricominciare daccapo.
Pensate che davvero che quello possa sentirsi subito un topo libero? O è più facile che possa sentirsi più facilmente un topo morto?
Però voglio provare a continuare, costi quel che costi, anche come ringraziamento a tutti quelli che si sono stretti intorno al mio blog, perchè personalmente mi conoscono in pochi e, per trovare il coraggio e ricucire la memoria slabbrata, non potevo che riprendere da questo disco, il primo volume della serie Jazz in Italy della CETRA, registrato più di cinquant’anni fa e che sarà il primo di una lunga serie che vorrei condividere con voi, che mi ha offerto nuovi spunti di continuazione e mi ha regalato una fetta di fiducia che mi spinge a continuare.
Fiducia, come ingrediente essenziale per una buona ricetta di condivisione, perchè dalla storia di questo EP, di come l’ho ricevuto e di quanto può creare legame, tenterò di riscrivere una porzione di futura memoria che, spero, andrò a ricostruire per sopperire, almeno in parte, di quella irrimediabilmente perduta.
Ma questa è la prossima storia, che si basa sui sedici EP a 45 giri ed un LP che compongono la totalità della mitica serie, che avrà per protagonisti Luigi, che per primo ha condiviso con me gran parte della musica di questa serie, il Centro Studi sul Jazz di Siena, che ha concesso molte delle immagini che la compongono, il ritratto degli uomini che questa storia hanno creato, cioè tutti i musicisti ed i due giornalisti Piero Novelli e Nicola Cattedra, che nel 1960 hanno voluto la serie Jazz in Italy in cui “lo scopo fondamentale è quello di segnalare all’attenzione della critica e degli appassionati i fermenti del jazz italiano”.
Questa può anche essere la storia che racconta di più sul campanilismo del nostro paese, attraverso le vicende di due nomi importanti della critica jazz del nostro paese, Renato Germonio e Arrigo Polillo, che per un breve periodo hanno duellato sul jazz di Torino e di Milano, loro rispettive città, o anche un pezzo di storia di Gian Carlo Roncaglia, studioso e critico a sua volta, che proprio a Torino nacque nel 1928 e che negli anni ha saputo raccontare con interezza la Storia più ampia del Jazz.
E poi, questa è una storia che si potrebbe comporre di altri illustri personaggi, come Franco Bergoglio che a Torino ha dedicato un’interessante saggio sul suo Magazzino Jazz, edito da Moby Dick, come Massimo Barbiero che in quel d’Ivrea partecipa ancora per costruire il sogno di Adriano Olivetti, in cui l’utopia di una città vivibile può trasformarsi in realtà, di Dino Piana, colonna storica e vivente del jazz italiano e dei tanti musicisti piemontesi, oppure potrebbe essere la storia di voi tutti, che a prescindere da cosa (e da come) vi racconto, continuate ad essermi vicini ed a darmi la forza di andare avanti in questa folle, inutile e bellissima avventura con i vostri commenti.
Insomma, questo è l’inizio di una lunga nuova storia, per cui (continua…)
Credits:
Label: CETRA
Catalog #: EPD 36
Format: EP
Country: Italy
Recorded at Milan,
1960, March 25
Attilio Donadio (alto, bar. sax, cl),
Dino Piana (vlv trne),
Giorgio Azzolini (bass),
Franco Mondini (drums)
Tracklisting:
Bag’s Groove (M. Jackson) – 5:30
.
All the Things You Are (J. Kern) – 2:50
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Art by Francis Bacon
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Un in bocca al lupo per la ricostruzione dei tuoi files. E grazie di tutto.
RispondiEliminaLa memoria è fondamentale; così lo è il tuo prezioso lavoro. Come ci insegna una crudele realtà lo spazio per conservarla non è infinito. Poi ci si mi mette anche la tecnologia a tendere ulteriori trappole...
RispondiEliminaQuando ho dovuto lasciare il grande appartamento in cui ho vissuto per oltre 40 anni per trasferirmi in una modesta "tana dell'orso" i sacrifici sono stati dolorosi, e le scelte fatte mi hanno dato la stessa sensazione delle tue.
E non sono riuscito ancora ad abituarmi alla nuova situazione che forse dovrò fare nuove, difficilmente affrontabili scelte; vero che - alla fine della giostra - non porterò con me nulla, ma finché sono qua questo problema mi angustia. Forse è anche per questo che mi do da fare per lasciare nuove piccole tracce dietro di me.
Credo tu possa capirmi e capire questo sfogo personale.
Roberto Del Piano
sei un grande ti ho linkato su www.chefmarcofraschetti.blogspot.com
RispondiEliminaci siamo conosciuti su splinder con una pasta cacio e pepe ;) spero che tu mi segua sulla mia nuova piattaforma ti abbraccio
Ciao jazz, mi spiace pensare che tu abbia gettato via i tuoi quadri, potevi regalarli o lasciarli in giro, avrebbero continuato a vivere in qualche altra casa per qualche altra persona...
RispondiEliminaSettemaggio
Sono contento che tu abbia ripreso a scrivere in questo blog.
RispondiEliminaUno dei tanti che ti segue sempre ma, "mai che lasci un commento!"
Jazz, buon nuovo inizio.
RispondiEliminaE non buttare mai via il desiderio di dipingere.
Si può dipingere anche con le parole e con la musica.
Un abbraccio
But