mercoledì 3 marzo 2021

78-33 = 45 _ Beginnin Of Modern Jazz in Italy


Lo so, il titolo è stupido ed io vi avevo promesso che avrei tentato di colmare il buco bibliografico del Jazz suonato ed inciso in Italia dagli anni Sessanta, fino alla fine degli anni Novanta e questo pensavo che sarebbe stato il Capitolo 1, perché da qualche parte dovevo pur cominciare però, proprio mentre lo scrivevo, mi sono reso conto che era necessaria almeno un’introduzione generale, prima di parlare del cosiddetto Jazz “moderno”, quindi il primo capitolo dovrà attendere e non sarà certo l’unica contraddizione... 


Il 1960 è sicuramente rimasto impresso nell’immaginario collettivo come il punto di svolta della nostra sgangherata società… Le Olimpiadi di Roma, il successo di Lascia o Raddoppia e de Il Musichiere, il trionfo della TV che già nel 1961 inaugura “addirittura” la seconda rete, il conseguente incremento dell’alfabetizzazione anche grazie alla trasmissione Non è mai troppo tardi del mitico Maestro Manzi, il miraggio del consumismo, la produzione industriale di automobili e grandi elettrodomestici in catena di montaggio (che in quell’anno si quadruplica facendo assegnare alla Lira l’Oscar di moneta più stabile dal Financial Times), la prima grande manifestazione pubblica per le strade di Genova, contro i missini aggiunti al Governo Tambroni, la consacrazione della Donna come nucleo centrale del focolare domestico (e null’altro, all’infuori di questo [sic!]), l’affermazione del “giovane” come target di mercato e l’esplosione del Cinema d’autore. Questo e tanto altro sembra essersi condensato in quella data comoda, rotonda e quasi rassicurante… 1960.


Ovviamente è una convenzione, come è stato per il Sessantotto, e sappiamo tutti che la spinta evolutiva è iniziata sicuramente prima, almeno nel 1953, quando nacque l’ENI e si è allungata fino a tutto il 1964, quando l’alleanza politica tra la DC e il PSI si concretizzò formalmente ed iniziarono a sgretolarsi i sogni di quei tanti che avevano partecipato a costruire fattivamente l’edilizia abitativa o le centinaia di migliaia di frigoriferi e che ora, nonostante i nuovi ritmi stressanti di rate e cambiali, non riuscivano a riempirli come sognavano… perfino la scena cult di quell’anno è un po’ posticcia, in quanto “l’esotica” Anitona, che attira Marcello, il belloccio, tra le correnti della passione ne La Dolce Vita, è in realtà un’interposta suggestione che Fellini ha avuto da una foto di Pierluigi Praturlon, che immortalò davvero la Ekberg nella fontana di Trevi nel settembre del 1958 per il Tempo, lo sapete, no?


Tutto questo, naturalmente, si è riflesso anche nel Jazz. 

E sì, perché se il 1960 potrebbe essere un punto cardine “comodo” per localizzare l’esplosione del Jazz nel nostro Belpaese, c’è da dire che per gli storici l’esordio su disco del Jazz moderno italiano porta il nome del Sestetto Be-Bop Gilberto Cuppini, e viene attribuito ad un paio di sedute d’incisione realizzate molto prima: la prima registrata nel Giugno del 1948 riporta A Night in Tunisia / Salt Peanuts e Bop Bop / Drums Be Bop e la seconda è del Marzo del 1949, quando un altro Sestetto, sempre guidato dal prolifico Cuppini, registrò altre due tracce, per me più memorabili e non per i titoli curiosi, questa volta con Giulio Libano alla tromba, Glauco Masetti al sax alto e Franco Pisano alla chitarra «quei due titoli li inventai mentre eravamo in sala d’incisione, ispirato ovviamente dai vari Ornithology e Anthropology scritti da Bird & Diz» [1]


Esophagus e Egyptology, questi i titoli del '49, suonano davvero nuovi, forse per l’assolo di Libano (un trombettista che non ha avuto ancora il suo posto nelle cronache) e soprattutto per quello di Pisano alla chitarra, o forse sarà per il drumming più energico di Cuppini, che sembra aver finalmente accantonato per un attimo la lezione arrotondata di Gene Krupa o per le sue vocalizzazioni, gridate timidamente ma con sincera enfasi… insomma, sarà per quel che sarà, fatto sta che tutto quello inciso fino a quel momento, d’incanto, suona irrimediabilmente più vecchio.


Oggi questi brani celebri di Parker & Gillespie sono degli standard, a volte anche triti e ritriti, ma all’epoca il be-bop non è che fosse così diffuso, anzi… «Grande scalpore ha suscitato dagli USA il fiero proclama con cui il direttore della rete radiofonica KMPC bandiva dai suoi microfoni la musica re-bop, detta anche (altrettanto nebulosamente) be-bop. Come i lettori di Musica e Jazz sanno, il vocabolo re-bop, che ha sostituito nel cuore dei tifosi americani il boogie woogie, dopo aver designato in un primo tempo lo stile ultradinamico e acrobatico del trombettista Dizzy Gillespie e del suo emulo, l’altosassofonista Charlie “Bird” Parker (re o be-bop è appunto il suono onomatopeico che vuol imitare gli scoppiettamenti di Dizzy), designa oggi tutto un genere musicale. Si tratta di lunghe e indiavolate sarabande, di vago sapore cannibalesco, che giungono ad un vero parossismo attraverso una serie di riffs incalzanti, quasi sempre inarticolatamente vocalizzati» [2].


Ora, se anche volessimo andare oltre gli strali del futuro Direttore della più nota rivista italiana (all’epoca MJ era sotto la direzione di Testoni), che in seguito ammorbidirà di molto il tono, è necessario ricordare che all’epoca le incisioni americane “moderne” circolavano poco e niente in Italia dove, per tutti gli anni Quaranta era tutto un boogie-woogie e la parte del leone la facevano i brani di La Rocca e Fats Waller o, quando andava bene, era tutto uno swisare sulle canzoni dei fratelli Gershwin o di Duke Ellington… 


Ancora nel 1948 giusto la Parlophon (etichetta tedesca fondata da Carl Lindstrom alla fine del ‘800 come produttrice di grammofoni, poi riconvertita a stampare supporti discografici) pubblicava alcuni nomi dello “stil bop nuovo” e fu solo nell’autunno di quello stesso anno che il mercato discografico italiano ebbe una vera scarica defibrillante rispetto alla contemporaneità, grazie anche a Walter Gürtler (nato a Basilea ma residente a Milano) ed alla sua Celson, che offrì una più vasta offerta di matrici Dial, Keynote o Vox sul mercato italiano. Ma gli altri non seguirono l’esempio… Solo nel 1955 la Fonit ristampò alcune di quelle matrici, come il Quintetto di Parker con Miles Davis del 1947, nella serie “Riviera Jazz”, che infatti fu salutata con clamore dai fans italiani, visto che i Celson erano praticamente introvabili già all’epoca.

Anche per questo è diventata consuetudine definire quelle tracce del Sestetto di Cuppini come la “miccia” che ha fatto esplodere il Jazz moderno in Italia.


La paternità di modernità attribuita da Mazzoletti a quella manciata di incisioni è quindi tecnicamente indiscutibile (anche perché è un autore tanto contestabile per impostazione, quanto bravo a fare il suo lavoro di ricercatore), però solo se si è tra quei pochi fortunati che hanno avuto l’occasione di ascoltare quelle rare tracce.


Fortunati dicevo, perché quelle registrazioni, incise una per facciata su dei rigidi 78 giri in gommalacca della Voce del Padrone, sono di difficile reperibilità persino oggi, figuriamoci all’epoca, quando i dischi non erano alla portata di tutti, soprattutto in un Paese uscito da poco dalla devastazione di una guerra mondiale e la “rete” era ancora lontana pur dall’essere immaginata… per dirla con le statistiche, le fonti riportano 1.000.000 di 78 giri venduti in Italia nel 1946 [3], quando i residenti saranno stati 45/46 milioni circa; un 2% di fortunati, quindi, ben sapendo che i 2/3 delle incisioni erano a stampo classico o “canzone” ed il Jazz non aveva certo la parte del protagonista. 

Per cui, se è innegabile che quelle date tra il 1948 e ‘49 sono un “punto di svolta” storico, è vero anche che restano un “dettaglio da collezionista”, un pruriginoso e pignolo appunto da “discografo”, senza pensare che la maggior parte di noi poveri, mortali e piccoli appassionati, potremmo non averne mai nemmeno visto le fattezze né, tantomeno, udito la sua voce.


Ecco perché io ritengo che la “bolla” del Jazz moderno dovrà attendere ancora qualche anno per essere definita tale, perché se è fuor di dubbio che la musica è un’Arte, è altresì innegabile che il suo sviluppo dipenda, in maniera più o meno direttamente proporzionale, dai mezzi di diffusione di massa, come per tutte le altre Arti, ed ha come conseguenza la penetrazione della stessa nei diversi strati sociali e l’affermazione nei vari interessi culturali delle persone, in uno scambio evolutivo reciproco.


Potremmo quindi dire che è con la più ampia diffusione del microsolco in vinile, che ancor oggi tutti conosciamo come il Long Playing, che la musica diventerà moderna?
Possibile, anche se personalmente ritengo che sarà il trionfo dei 45 giri, con la loro leggera, economica e ben più dinamica accessibilità che la nostra amata musica affronterà la pubertà, di pari passo col supporto che la trasmette e la contiene.

78-33 = Jazz moderno in Italia? questo sarà un altro capitolo.


------------------

Podcast: Italian Jazz on Shellac 78rpm - from 1940 to '49

 
Note alla Selezione musicale:

01. On The Sunny Side Of The Street - I Sette della 013 di Piero Piccioni: Stelio Subelli (tp); Riccardo Rauchi (cl); Dasy Messana (tenor sax); Bruno Martino (p); Enzo Grillini (g); Werther Pierazzuoli (bass); Paolo Tagliaferri (drums) _ Rome 1945

02. Boogie Woogie Per Tre - Franco Mojoli (cl); Giampiero Boneschi (p); Claudio Gambarelli (drums); Roberto Nicolosi (arr) _ Milano, October 16, 1945

03. Exactly Like You - Nino Culasso (tp); Pietro Cottiglieri (cl); Jesus Pio (tenor sax); Eraldo Romanoni (p); Giuseppe Barenghi (g); Ubaldo Beduschi (bass); Claudio Gambarelli (drums); Roberto Nicolosi (arr) _ Milano, February 13, 1946

04. Improvvisazione (I Got Rhythm) - Gorni Kramer (accordeon); Ubaldo Beduschi (bass) - Milano, October 1941

05. Night In Tunisia - Nino Impallomeni (tp); Marcello Boschi (alto sax); Eraldo Volonté (tenor sax); Giorgio Gaslini (p); Antonio De Serio (bass); Gil Cuppini (drums) _ Milano, June 10, 1948

06. Salt Peanuts - as track #5

07. Esophagus - Giulio Libano (tp); Glauco Masetti (alto sax); Pino Spotti (p, arr); Franco Pisano (g, arr); Antonio De Serio (bass); Gil Cuppini (drums) _ Milano, March 25, 1949

08. Egyptology - as track #7

09. Stupendous - Glauco Masetti (alto sax); Gianfranco Intra (p); Beppe Termini (bass); Rodolfo Bonetto (drums) _ Milano, December 1949


[1] Gil Cuppini su “Il Jazz in Italia” di Adriano Mazzoletti – EDT 2010

[2] Arrigo Polillo - Musica Jazz, 20 luglio 1946

[3] Vito Vita “Musica Solida” – Miraggi edizioni, 2019

11 commenti:

  1. bene bravo, continua così. chiaro e diretto.

    RispondiElimina
  2. Bellissima la seconda puntata.
    Sto gia sbavando per a terza

    RispondiElimina
  3. Mi si apre un mondo...grazie per questi articoli! 78-33=45 direi che è il boomgrazie anche a quei piccoli lettori "mangiadischi" e portatili...per me è l'epoca die primi ascolti "indiretti" dischi scelti dai miei fratelli più grandi (ovviamente Beatles, Dik Dik al limite..procol harum)...il jazz venne mooolto mooolto dopo per scelta mia...insomma dove il cuore portava ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. il mangiadischi... ne avevo uno arancione e lo portavo sempre con me! al cuor non si comanda :))

      Elimina
  4. blog mai banale, ci torno regolarmente
    si annunciano letture molto interessanti
    grazie

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ma grazie a te Alex! si scrive sempre per una soddisfazione personale ma, anzitutto, per essere letti :)

      Elimina
  5. blog mai banale, ci torno regolarmente
    si annunciano letture molto interessanti
    grazie

    RispondiElimina
  6. blog bellissimo per contenuti, materiale discografico e iconografico
    more please!
    giovanni

    RispondiElimina
  7. Terrifically informative. But I wish there were links to download the music.

    RispondiElimina
  8. Please, please can we have a download link?

    RispondiElimina