domenica 13 gennaio 2013

TOP JAZZ 2012 – WHAT IF…


Se la musica, ed in particolare il Jazz, sembra occupare gran parte delle mie odierne passioni, in realtà devo confidarvi che si è affacciata tardi alla finestra dei miei desideri.

Infatti, ero già un ragazzetto di tredici/quattordici anni quando incontrai Three Imaginary Boys, il mio primo disco in assoluto.


(ah, se vi va avviate pure la playlist, oppure continuate a leggere in silenzio, ossequioso quanto inutile per un post sulla musica).
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Intendiamoci, non che questo fu il primo disco che entrò a casa mia, per fortuna la musica è sempre stata presente nella mia vita, ma all’epoca c’era troppa distanza tra me ed i De Andrè, i Conte, i Paoli, i Gaber o le Mina di mio padre e, oltre a questi grandi Signori, tra i pochi 45 giri di mia sorella girava roba tipo Upside down di Diana Ross, la Rettore e Blondie, Babooshka il frantumatore, Stefania Rotolo e Bosè, il Disco Bambina di Heather Parisi, Please don't go dei K.C. and the Sunshine Band … 
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Si dice che in adolescenza uno sceglie i propri miti per imitazione o per contrasto; io ero già un pischelletto oscuro di natura e quella scintillante colonna sonora, danzereccia ed obbligata dalla condivisione della stessa stanza, fece il resto.
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Potete immaginare il fascino immediato per quella cover rosa eppur senza trucco, la catarsi purificatrice nel riflettermi in quei tre sobri soggetti, appena elettrificati ma non patinati e l’emozione profonda all’ascolto di quell’intro crescente che apriva 10.15 Saturday Night.
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Chissà cosa sarebbe successo se mia sorella fosse stata una punkettona… magari io per riflesso avrei ascoltato i Matia Bazar, Alan Sorrenti o Gianni Togni, Riccardo Fogli o, al massimo, quando mi sarei sentito più trasgressivo, i Cugini di Campagna.
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Ma non era di questo che vi volevo raccontare, ma di una delle passioni che ricordo da sempre, legata alla fantasia ed alle storie, ai sogni ed ai primi dubbi di ragazzo, la passione per i fumetti. Seppur non trovo tracce nella mia memoria delle primissime letture, probabilmente Topolino, Braccio di Ferro, Tiramolla, Geppo o Soldino, insomma, tutte quelle cose da intrattenimento, ho invece chiarissimo l’impatto emotivo generato nella mia vita di ragazzino dall’apparire dei supereroi!
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Non furono le calzamaglie, tanto care agli psicologi superficiali, ad affascinarmi, forse appena appena le maschere riuscivano ad ammaliare la mia curiosità. Io non amavo la potenza fisica, ma ero incuriosito dalle sfaccettature di quei mondi privati che si offrivano allo sguardo pubblico, dalle molteplicità degli universi paralleli, eppure possibili, dalla varietà degli arcinemici che ogni volta con strumenti diversi minavano l’integrità dell’eroe, dall’evoluzione dei personaggi che, mi appare chiaro adesso, crescevano insieme a me.
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Non mi piacevano tutti indistintamente, anzi, io non ero affatto un fan di Superman. E quasi mai mi immedesimavo in Thor o mi scambiavo per Hulk, non ero un convinto patriota come Cap America e raramente mi sentivo in famiglia con i Fantastici Quattro ma, nella mia cameretta di periferia o nel dopopranzo sonnacchioso di una spiaggia romana, ero sicuramente in sintonia con molti altri personaggi di carta.
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Il primo incontro credo sia stato con Spiderman, forse perché mi sembrava realistica la casualità con la quale quello sfigato e smilzo ragazzo aveva acquisito i superpoteri, ed il suo stare nell’ombra dei compagni più fichi e strafottenti del college, l’antitesi cioè degli idoli delle ragazzine, il suo doversi arrabattare lavorando per tirare avanti la giornata, aveva più punti di collisione con la mia vita che quella di tanti coetanei che vedevo sbocciare intorno a me.
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Dopo arrivò DareDevil, e fu il vero amore. Figura rispettabile e di successo nei panni quotidiani dell’avvocato, persona con profonde cicatrici nell’animo ed una invalidante menomazione fisica nell’intimo privato, diventava nella notte un eroe senza paura, bilanciato tra l’utopia della giustizia uguale per tutti e la contrastante vendetta personale. Matt Murdok era un uomo senza poteri, che aveva saputo fare del suo svantaggio un punto di forza e del suo doloroso passato un ponte per tentare almeno di proseguire nell’oscuro futuro.
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In seguito incontrai Batman ed il buio prese la più affascinante delle forme. La fatalità di un accadimento, la sua lotta solitaria, il suo rifugio nelle più recondite profondità, l’animale tenebroso, incarnazione della notte e spesso accomunato a demoni o vampiri, ma che ha anche una valenza di rinascita per alcune culture, assunto a personale simbolo, il suo incubo ricorrente, l’ingegno tecnico piegato alla sua ossessione, quell’aurea glamour da playboy spensierato a fare da contrappeso ai dubbi lancinanti del suo alter ego… 
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Dopo vennero Spirit e Corto Maltese, gli scalcagnati componenti del gruppo TNT ed il caustico Zanardi, Bimbo Bim e Ranxerox, il Sandman della Vertigo e le ragazze di Strangers in Paradise, i Watchmen ed i cazzuti abitanti di Sin City, lo Sconosciuto di Magnus ed il Predicatore di Ennis & Dillon e tante Straordinarie Avventure Qualsiasi che mi accompagnano ancora oggi. Venne il tempo maturo della mia vita, insomma, e dopo venne pure il Jazz.
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Ma che c’entrano questi discorsi con il Top Jazz 2012, al quale questo post è dedicato, direte voi, eppure vi posso assicurare che non sto divagando.
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E sì, perché se tra gli aficionados dei fumetti era tanto di moda stilare classifiche per affermare se fosse più forte Hulk della Cosa, io non ho mai avuto stoiche certezze ma, piuttosto, oscillavo da un eroe ad un altro a seconda del mio stato d’animo, del preciso momento di lettura, della validità o meno degli arcinemici e pure delle reminiscenze della mia memoria, infischiandomene della rigida coerenza.
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Infatti, una delle serie che più m’incuriosiva era What If, in cui l’inflessibile continuity delle storie veniva messa in discussione da un evento imprevisto e, spesso, contrario alle caratteristiche stesse della trama principale, tipo: Cosa sarebbe successo se i Fantastici quattro avessero avuto tutti lo stesso potere? Cosa sarebbe successo se gli X-Men fossero morti nella loro prima missione? Cosa sarebbe successo se Spiderman non avesse sposato Mary Jane? Cosa sarebbe successo se Conan il barbaro vivesse al mondo d’oggi? Cosa sarebbe successo se la famiglia del Punitore non fosse stata uccisa?
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Piccole incrinature che sconvolgevano fin nelle fondamenta le solide sicurezze dei fan, che di solito si lamentavano, si arrabbiavano, gridavano al sacrilegio e addirittura abbandonavano la serie, ma che offrivano, almeno per me, punti di vista inaspettati e stupefacenti. 
Curiosa instabilità, improvvisazione affascinante.
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Ecco, è con questo spirito che ho accettato l’invito di Luca Conti ed ho partecipato al Top Jazz 2012, nel trentennale della sua edizione, più nella speranza di sentirmi coinvolto in un pezzetto della storia di questa musica, e di sorprendermi nella successiva lettura collettiva, che di vedere confermata la mia personale, e quindi già nota classifica.
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Ora che i risultati sono stati dati alle stampe, diffusi attraverso un comunicato ufficiale, resi pubblici a tutti in edicola sul numero di gennaio di Musica Jazz al quale è allegato il CD che permette anche l’ascolto di queste scelte vincitrici, vergate senza infamia e senza lode da più di ottanta appassionati, tra i quali per la prima volta sono stati coinvolti anche alcuni bloggers, come Mondo Jazz e Jazz nel Pomeriggio, oltre a questo del vostro umile scrivente, non resta molto da dire. 
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Nella scorsa edizione ci si era interrogati sulla validità o meno di un referendum, ed i dubbi restano tali. Ma osservare in un sol colpo d’occhio una così variegata costellazione di dischi e di musicisti, non può che essere utile al patito del jazz, quanto al neofita che cerca un’indicazione per orientarsi, al di là dei numeretti posti al di fianco. 
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Nel 2011 ci si era scervellati tra le mille voci dei particolari strumenti, perdendo di vista, a mio avviso, l’ampiezza e la profondità dell’intero panorama musicale, nel frazionamento ossessivo, confinante e lombrosiano del linguaggio strumentale, finalmente sempre più interscambiabile, contaminato e fieramente bastardo.
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Nell’ultimo referendum ci si era concentrati sul jazz italiano, come fosse una specie unica o un cru circoscritto, mentre questa volta si è tornati alle nove categorie divise tra dischi, musicisti, gruppi e nuovi talenti mondiali, doppiate con focus sull’Italia, più una ristampa meritevole. Sembrerebbe un passo indietro alle origini del Top Jazz, ma è forse un passo avanti per affermare apertamente la oramai vetusta maturità del jazz suonato nel nostro paese, che così diviene solo uno dei capitoli nel confronto globale.
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«siamo esseri umani su un pianeta che ruota e lanciamo suoni come aquiloni nel vento, cercando di mettere in contatto sonorità sincere e interessanti con le persone che ci circondano»
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Queste alcune delle parole che Rob Mazurek, il più votato musicista dell’anno in ex aequo con Wadada Leo Smith, ha rilasciato ai tipi di Musica Jazz, in un numero che introduce e supporta il referendum in maniera eccellente, forse come mai prima, con interviste ai vincitori realizzate nell’immediato ridosso dell’attribuzione del premio.
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E in effetti questa volta, il referendum sembra portare all’insieme, con i tantissimi gruppi allargati e/o Orchestre votate, stringendo un occhio ai lavori di più ampio respiro (provate  a vedere quante Suite sono state votate nella categoria dei Dischi dell’anno), trovando inconsapevoli collegamenti con la trasversalità del linguaggio e la poetica su tutto, facendo poi espandere il paesaggio sotto i nostri occhi, con affermazioni prevedibili ma meritate, come quella del Maestro dell’umiltà Franco D’Andrea, risvegliando vecchi dischi assopiti negli archivi, come nel caso del live di Tokyo del 1979, illuminando quella di un portento dell’ubiquità come Mauro Ottolini, o donando nuovo prestigio ad un musicista che ne meritava ben altro quando ancora poteva goderselo, altro che in tempi di ristampe.
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Per quanto mi riguarda, ho colmato la mia ignoranza soddisfacendo almeno in parte la mia curiosità, come nei due miglior nuovi talenti, Mary Halvorson ed Enrico Zanisi, che ovviamente avevo sentito nominare ma sui quali non mi ero mai soffermato, o sulla formazione vincitrice, quella Artchipel Orchestra guidata da Ferdinando Faraò, che ascolterò volentieri.
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Ma a scorrere tutta la lista non si finisce di sorprendersi:

«il messaggio che la musica dà oggi è la bellezza della fama e del denaro. Ciò nonostante tutti i miei colleghi, intendo i musicisti creativi, propongono una musica che è in stretto contatto con la comunità. Tutti noi crediamo che essa sia una trasformazione dell’azione: chi la ascolta è spronato a migliorare la società»
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Le parole di Wadada Leo Smith, raccolte nell’intervista pubblicata sul numero di gennaio di Musica Jazz, mi aiutano a chiudere questo post, con un pensiero che vi voglio lasciare: chissà cosa sarebbe successo alla storia di questa musica se i critici di tutti i Top Jazz fossero sempre stati creativi come questa volta…
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p.s.
se avete scelto di far partire la playlist, state ascoltando un estratto del mio personale Top Jazz 2012, più una meritatissima intro, mentre i voti dei giurati per ciascuna delle categorie li trovate qui.

secundus p.s.
se state ascoltando la playlist, troverete una versione di My Funny Valentine del Quintetto di Paolo Fresu, che vi potrà sembrare fuori luogo rispetto al Top Jazz, ma che contiene uno degli assolo al sax tenore più affascinanti e ricchi di spirito nuovo, rispetto ad un abusato standard che abbiamo ascoltato molte volte.
Infatti, nonostante la soddisfazione dei risultati, una punta di amarezza mi è rimasta nel vedere il nome di Tino Tracanna ancora nell’ombra.



tertius et ultimum p.s.

ho già ricevuto diversi contatti e proposte di invio materiali per recensione, come mi aveva preannunciato un caro amico e vecchia volpe del Top Jazz, anche tramite nuovi canali di condivisione tipo we transfert e grooveshark.

Approfitto per dire a tutti che sono onorato e curioso di conoscere nuova musica, ma comunemente non faccio mere recensioni o quantomeno, quando la musica tocca le mie corde più profonde, non faccio recensioni comuni.


In ogni caso, se volete, il mio contatto è qui, ma non fatemi proposte oscene e non aspettatevi grande notorietà da queste piccole pagine.


 

4 commenti:

  1. Alcune considerazioni in libertà.
    Prima di tutto, grazie per l'articolo, con il quale mi trovo in (quasi) perfetta sintonia e per la storia personale della scoperta del jazz (anche per me la passione dei fumetti ha preceduto e affiancato quella del jazz...).
    Solo alcune sottolineature. Sono molto contento della partecipazione dei blogger (di cui si è discusso nei commenti del post sul Top Jazz dell'anno scorso), dell'ampliamento dei confini oltre lo Stivale e della presenza delle interviste ai vincitori (che contribuiscono a rendere la votazione un po' meno autoreferenziale).
    Tuttavia... non è presente alcuna forma di confronto con il lettore della rivista (all'estremo opposto Jazz.it fa' votare praticamente tutti...) e il mondo dei blogger rimane ancora una gemma nascosta, che meriterebbe forse più spazio (magari con una categoria ad hoc).
    In conclusione mi permetto anch'io di suggerire uno scenario what-if. Se Musica Jazz avesse continuato a coinvolgere il lettore (nei primi anni aveva addirittura una sezione 'posta'), forse si sentirebbero meno persone dire che Mario Biondi è jazz...

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  2. Ho accettato di partecipare al Top Jazz propio grazie al ritorno ad una formula più sobria e sopratutto non più autarchica. Ho sempre criticato sul mio blog la precedente impostazione di Top Jazz che, amio parere, invece che valorizzare il jazz italico di fatto lo ghettizzava evitando qualsiasi confronto. Leggendo i risultati mi sono scoperto far parte della "maggioranza" in quanto a scelte con ben poche eccezioni. Condivido poi il tuo appello a musicisti e promoter. Anch'io dò la mia disponibilità all'ascolto ma mi rifiuto di scrivere recensioni a comando e spesso l'ho scritto sul blog. Infine una considerazione sui blog sollecitata dall'intervento precedente: è vero, il nostro mondo ancora appartiene a poche avanguardie e sui due magazine al massimo c'è stato qualche accenno e poco altro.Ma credo vada bene cosi', siamo troppo in pochi per conquistare uno spazio maggiore e, probabilmente, dobbiamo ancora crescere in qualità per incidere di più.

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  3. Non ho approfondito con Luca o Alessandro il perché io sia stato invitato al Top Jazz, ed ho scoperto solo a cose fatte della presenza di Roberto di Mondo Jazz, di Marco di Jazz nel Pomeriggio (che tra l’altro già collaborava con il mensile) e, solo dalla lettura del giornale, di giuliocancelliere.wordpress.com

    Qualcuno mi ha malignamente fatto notare che, forse, per la rivista era meglio integrare una parte dei bloggers nel progetto che rischiare di farsela nemica, ma io credo che dietro ci sia solo una stima ed un contatto personale, niente a che vedere con interessi di categorie o con fantatattiche di difesa.
    Almeno questo è stato per me.

    Allargare la cerchia sarà naturale, secondo me, ma intanto sarebbe più interessante conoscere la risposta di chi ci ha invitati.

    Il Jazzit awards lo fanno i lettori, ricordo, anche se non ho ancora letto i risultati del 2012. Abbiamo solo due riviste di jazz in Italia, almeno così si compensano, no?

    Certo è che in un mondo di multimedialità, la stampa ed il web continuano a scorrere più spesso su vie parallele, e questo è solo uno dei piccolissimi incroci che a volte ci troviamo ad attraversare. Io non credo che la questione sia direttamente proporzionale alla quantità, Robbé, forse questa è proprio la loro natura.
    Negli uomini, invece, che quel mondo lo vivono, ho trovato più condivisione che separatismo. Per esempio, oltre a te Ilario, anche Alessandro Achilli ha trovato diversi punti di contatto con i fumetti della mia formazione, più che con la mia musicale classifica borderline…

    Della rubrica “lettere al direttore” su Musica Jazz serbo anch’io un gradevole ricordo, di apertura, varietà, confronto, arricchimento e scontro creativo.
    Ben vengano quindi tutte le attività inclusive, anziché gli steccati mentali, anche se scrivere della propria passione, leggere e rispondere ai commenti è una gran fatica, lo sappiamo.

    A parte gli scherzi, grazie per le vostre preziose opinioni.

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  4. Ho sempre preferito Paperino e Tiramolla ai SuperEroi, ma ho anche un grande amore per Tex Willer. Vive la difference. Quanto al TopJazz, io continuo personalmente a vantarmi di non aver mai avuto un voto da quando è stato istituito e vorrei continuare così anche nei prossimi anni. Giusto per mantenere il mio status di snob. Una parola buona invece per uno dei votati, Alberto Popolla, che ho avuto modo di incrociare e del quale ammiro la sua scelta radicale di dedicarsi esclusivamente - e con talento - alla famiglia dei clarinetti.
    ROBERTO DEL PIANO

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