domenica 20 maggio 2012

O.M.C.I. _ Free Rococò _ 1976 _ L'Orchestra OLP 10011


«La geniale concezione musicale di Renato Geremia, andava al di là di qualsiasi genere ed è probabilmente il motivo per cui è sempre rimasto ai margini di un mercato che richiede invece prima di tutto ripetizione e fedeltà alle regole»


È più o meno con queste parole che Francesco Martinelli apriva il ricordo di Geremia, all’indomani di quel 31 ottobre 2011 che segnò la su scomparsa ed è, più o meno, il ritratto più esaustivo e sintetico che si poteva realizzare di uno dei più insoliti musicisti apparsi sul territorio italiano.


Renato Geremia, oltre che per il suo fantasioso lessico musicale, potrebbe essere definito “L’uomo Orchestra” del jazz moderno italiano, in quanto il suo multistrumentismo non si realizzava esclusivamente nella stessa famiglia di strumenti, ma ricercava in diversi settori che, apparentemente, non avevano alcuna parentela. Suonava infatti il violino, il sax tenore, il soprano, il flauto, il sax alto, il clarinetto ed il pianoforte con la stessa competenza e non avrebbe mai potuto sceglierne uno, a discapito delle altre infinite possibilità, senza provare una vera sofferenza, come raccontò a Marcello Lorrai che lo intervistò per il libro dedicato alla Italian Instabile Orchestra1:


«Passando davanti a un negozio di musica in una strada di Venezia, per combinazione più di una volta mi accadde di sentirne uscire la musica di un altista, che mi colpì molto. Chiesi al proprietario chi fosse, e mi rispose che era un certo Charlie Parker. Sempre per fatalità, in quel periodo capitò che mi regalassero un vecchio sassofono. Così a quindici anni cominciai a fare bebop che portavo ancora i pantaloni corti. Avevo già cominciato con la musica classica, e più tardi, verso i vent'anni, al conservatorio, Bruno Maderna, che sapeva che suonavo il sax, mi coinvolse nella registrazione della musica di un film che aveva composto: Maderna amava il jazz, lo sentiva in sintonia con quello che faceva, gli piaceva la diversità del jazz dall'accademismo. Forse perchè sono dei Gemelli, ma esplorare cose nuove è qualcosa che ho sempre sentito come una necessità, come qualcosa di profetico, e continuo ad avvertirlo quasi come un destino anche alla mia età. 


Così per me è stato naturale entrare in contatto con la dodecafonia, e poi ho trovato istintivamente una continuità fra il bebop e il free degli anni Settanta. Per conto mio, a casa, mi ingegnavo già a fare delle sperimentazioni, e sentivo un desiderio di esplodere che però non potevo soddisfare, perché non avevo le persone giuste che occorrono per fare certe cose innovative: suonavo standard, una cosa che mi piace moltissimo, ma avevo bisogno di fare dell'altro, sentivo un'evoluzione che doveva arrivare. Del resto a volte mi succede di suonare con dei musicisti che non conosco, però è come se li avessi già conosciuti, come se ci fosse un contatto medianico. Poi finalmente nel '74 ho avuto l'occasione della musica improvvisata con l'O.M.C.I.
All'inizio, quando nell'Instabile suonavo solo il violino, mi sentivo a disagio, perché ho l'esigenza di usare timbri diversi, ma adesso nell'orchestra suono anche il sax, il clarinetto... Mi pesa portarmi dietro tanta roba, ma se poi mi manca la sonorità di uno dei miei strumenti è una vera sofferenza. »


Renato Geremia, nato a Torino il 14 giugno 1930 ma veneziano d’adozione, è sempre stato un nome defilato nella storia del jazz, anche se le cronache del jazz riportano il suo nome già dal lontano 19512, dove veniva paragonato per il fraseggio a Dexter Gordon, e nel 19553 Franco Fayenz lo definì «…sincero, comunicativo, brillante e dalla fantasia sbrigliata, alto di tono, il più “negro” insomma! [sic!]», forse per la difficoltà della nostra critica d’inquadrare in un’etichetta certa la sua Arte o anche per il suo essere «uomo di estrema sensibilità, di grande gentilezza e di modestia addirittura eccessiva. Tratti umani che, così come il legame con la stagione del free, non erano certo i requisiti ideali per stare sotto i riflettori sulla scena del jazz italiano.», come ci ricorda appunto M. Lorrai.


Nonostante le scritture importanti, e sempre trasversali ai generi, come quelle con Django Reinhardt,  Kid Ory, Armando Trovajoli e Bruno Maderna, tra le altre, Geremia ha inciso pochissimo a suo nome e solo a partire dagli anni Settanta, periodo sinonimo di una seconda giovinezza.
Tra i suoi gruppi è doveroso menzionare l’Organico di Musica Creativa e Improvvisata (O.M.C.I.), formato con il batterista Tony Rusconi ed il contrabbassista Mauro Periotto, quando Renato Geremia era ormai un professionista avviato. Il trio è stato attivo dal 1975 al 1980 ed ha lasciato tre LP, tutti incisi per l’etichetta cooperativa “L’Orchestra” ed un CD postumo con le registrazioni complete del concerto alla Statale di Milano del 1975 [Splasc(H) Records CDH 511.2 – 1998]


Qualche tempo fa Riccardo, uno dei compagni d’avventura di Inconstant Sol, uno dei blog più curiosi ed attenti del panorama, ha messo in condivisione il primo album, quel “Contro” del ’75 che è una dichiarazione d’intenti già dal titolo. “Free Rococò”, che trovate in fondo a questo post è stato registrato alla fine del 1976 e precede il terzo e ultimo lavoro documentato del Organico, “Happy Days” del novembre 1978.


L’anno successivo c’è l’incontro tra Renato Geremia con la musica creativa europea, rappresentato dal live al Castello di Soncino nella versione “italiana” della ICP Orchestra, con Misha Mengelberg e Han Bennink dei soci fondatori, accompagnati da una folta compagine italiana tra cui ricordo Enrico Rava, Schiaffini, Trovesi e Baldo Maestri.


Da quel momento in poi, sarà naturale trovarlo in altre memorabili partecipazioni, come quelle de “IConcerti di un Certo Discorso”, che vedono eccellenti solisti del jazz accompagnati dalla Big Band della RAI.
Di conseguenza si aprono collaborazioni affini, come quella con Mario Schiano, Guido Mazzon, Schiaffini, Rusconi e Bruno Tommaso, documentata nel 1986 sull’album “TheUnrepetant Ones” e quella con l’Italian Instabile Orchestra ed i gruppi satelliti che ne nasceranno.


Gli ultimi anni registrano le tracce indelebili di Renato Geremia in compagnia di Michel Godard e Tiziano Tononi (The Multiphonics Tuba Trio _ Tre cose Splasc(H) Records CDH 635.2 – 1998), con la Nexus Orchestra in «quell’omaggio ai vent'anni del gruppo (allargato a dismisura a ricomprendere vecchi e nuovi componenti)» [E. Bettinello] che è Seize the Time! (Splasc(h) Records – CDH 841/842.2 – 2002), fino all’ultimo scoppiettante duo con Tony Rusconi (Attenti a quei due - 2008 & Live at S.A.S.S. - 2009, entrambi distribuiti da Rusconi stesso)


La musica è fatta di aggressività e di sentimento” dice Renato Geremia al giovane Livio Minafra che lo intervista a Parigi, durante la partecipazione della Instabile Orchestra al Banlieues Bleues Festival del 2003. Cos'altro aggiungere...


1 Italian Instabile Orchestra. Jazz come ricerca collettiva negli anni '90 – a cura di Marcello Lorrai e Roberto Masotti – Auditorium 1997
2 Musica Jazz Lug/Ago 1951
3 Musica Jazz ottobre 1955

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Credits:

O.M.C.I.
Organico di Musica Creativa e Improvvisata
“Free Rococò”

Label: L’ORCHESTRA
Catalog #: OLP 10011
Format: LP
Country: Italy

Recorded at Centazzo Studio,
Moruzzo, Udine, December 8, 1976

Renato Geremia (tenor sax, soprano, fl, vl, p., el. piano),
Mauro Periotto (bass),
Tony Rusconi (drums, perc)


Tracklisting:

1) V.B.P.
(percorsi per Violino, Contrabbasso, Percussioni)
2) Saxplicity


1) Free Rococò
2) Marcetta
3) Break in C


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Venezia, 9 agosto 1919 – Venezia, 25 ottobre 2006

12 commenti:

  1. Grazie, un bel ricordo di un grande musicista e un bellissimo disco!

    Ciao,

    Dario

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  2. Great post - thank you very, very much for this treasure(s) you are offering. You're helping to diminish my ignorance concerning italian Jazz!

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  3. Ancora una bella scelta fuori dal circuito dei soliti noti, e per me un ricordo di gioventù. Contro dell'OMCI è stato forse il primo vinile di jazz italiano che ho acquistato, insieme a Patrizia Scascitelli (ECP). All'epoca ('75 o '76, credo), più che altro per vicinanza politico-sociale, musicalmente ero più entusiasta di cose come Area, Henry Cow, Wyatt....poi ho valutato nel giusto modo più avanti nel tempo, ampliando gli orizzonti.

    Di Geremia ho sempre apprezzato l'apertura musical-mentale, il suo non essre solo jazzista (vedi l'instabile ma soprattutto per me il bellissimo, già citato, "tre cose" con godard e tononi), sarà un piacere riascoltarlo in questo Free Rococò, nel pieno del vigore

    Il cenno ai concerti di un certo discorso (ricordo bene di aver ascoltato quello di Wyatt, ovviamente...) mi riporta alla mente una bella rivista dell'epoca, Laboratorio Musica, che, come tutte le cose di buon livello, non durò a lungo, se ricordo bene

    Un saluto

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  4. Quando esisteva ancora l' underground nel jazz...
    Esperienze irripetibili. Basta guardare il programma di VR jazz per capire come vanno le cose.
    E una rivista come Laboratorio Musica sarebbe manna dal cielo. E si, altro tema interessante da affrontare sarebbe quello della carta stampata. In Italia rimane alfiere di "certe musiche" solo Blow Up, le riviste specializzate di jazz sono inguardabili anche solo sotto il profilo grafico. A quasi 45 anni anni mi verrebbe voglia di fare una fanzine fotocopiata in bianco e nero con in copertina l' incomiabile Nobusiness records. Lunga vita al jazz....

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    1. Abbastanza d'accordo, l'ultima rivista stampata che ho comprato con assiduità fu "musiche" (curata da achilli e chang), copertina nera, anni '90, ma anche quella tirò le cuoia dopo una ventina di numeri. Oggi preferisco i blog, senz'altro molto variegati quanto a competenza, approfondimento, aggiornamento e qualità di scrittura, ma almeno appassionati e interattivi, non saccenti: dare bacchettate, pretendere di assegnare patenti e parlare ancora di "iscrizione all'albo" per vuol dire restare indietro, non mi interessa.
      Scrivilo sul tuo blog un bel pezzo su nobusiness, o leo records, o quello che è: un lettore assicurato già ce l'hai ;-)

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  5. Mi sento quasi chiamato a intervenire: il post originale cita gentilmente un articolo da me pubblicato dopo la scomparsa di Renato, e nei commenti emergono due testate su cui ho scritto, Laboratorio Musica e musiche, quindi si parla di una storia che è anche la mia. La discussione sulla qualità della scrittura intorno alla musica mi appassiona inoltre sia perchè è una attività che svolgo sia perchè come responsabile del Centro Studi Arrigo Polillo opero con un patrimonio di migliaia di riviste e libri. Non credo si possa dire che i blog sono migliori delle riviste o viceversa. Mi piacerebbe discutere casi specifici anche per capire cosa è la "saccenza" - non vorrei che sapere qualcosa stia diventando una colpa. Sui blog si leggono enormi castronerie, come se ne leggono sulla carta stampata, un po' meno sulle riviste specializzate; le riviste specializzate hanno preso enormi cantonate nella valutazione critica, e non da oggi - per un lavoro che sto facendo ho riletto gli articoli sul jazz rock degli anni Settanta e molti critici del tempo - per non fare nomi, a partire da Arrigo Polillo - hanno preso un granchio oceanico. Lo so che sono discorsi da anziani di fronte alla Posta, ma la qualità della stampa musicale è effettivamente decaduta: Ciao2001 che noi aborrivamo in quanto commerciale parlava non solo di Zappa e Wyatt ma anche di Ayler e Derek Bailey - immaginatevelo oggi. Il fatto che qualcosa sia stampato non significa necessariamente che sia meglio; le traduzioni di molti libri sul jazz stanno lì a dimostrarlo. Per restare al caso specifico: è stato pubblicato online qualcosa di molto meglio in ricordo di Renato Geremia rispetto all'articolo da me firmato sull'aborrita carta stampata, al di là della pagina che leggiamo ora? Immodestamente non mi pare, e il poco che c'è è stato firmato da due colleghi che operano anche su carta. E come traspare anche dai commenti pur favorevoli ai blog un qualcosa di buono stampato su carta sembra avere una permanenza diversa, un po' come un vinile rispetto all'mp3. L'idea della fanzine mi sembra ottima, e la dibattevamo tra amici al Jazzahead; ma fotocopiata sarebbe brutto, io preferirei fatta con la macchina da scrivere e la carta carbone come quelle del Doktor Jazz durante il nazismo, o almeno con il ciclostile a manovella che ho girato tanto, e le matrici da tagliare e poi aggiustare con lo smalto da unghie. La grafica non era bellissima, e dobbiamo ritrovare un Gestetner d'occasione...

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    1. Mi fa piacere sia stata apprezzata l' idea della 'zine. E con il ciclostile sarebbe si un sogno. Quello che mi preme dire è che io, da appassionato ascoltatore, avrei bisogno di un sano ritorno all' estetica "do it yoursel". E' così strampalata l' idea che ci possa essere qualche jazzista che si autoproduce un ellepì? O dobbiamo soccombere al download digitale e dover ascoltare dei cd inutilmente lunghi 70 e passa minuti perchè lo spazio lo consente. Ma siamo matti? Ho amici, negli Usa, di 20 anni o giù di li (non legati al jazz però)che si fanno il loro singolo 7" con copertina spartana, trecento copie massimo e distribuite ai concerti. Se non è passione questa... A me il professionismo dei vari Bollani, delle sfornate di dischi ECM non interessa minimamente e credo, soprattutto, che sia distante anni luce dalla forza liberatrice che ha la musica jazz. Mi rendo conto che sono opinabilissime opinioni scritte di getto, ma sono convinto di avere un fondo di ragione. Post scriptum: non vedo l' ora di assistere al concerto di apertura del VR jazz con Chris Cornell ex Soundgarden. Yeah! Un saluto a tutti.

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  6. Infatti dei blog ho detto che attualmente li preferisco, non che siano migliori, ci mancherebbe, buona parte delle mie conoscenze nel campo, come traspare, si è formata anche sulle già citate riviste (avevo scordato ciao 2001, ma andiamo davvero troppo a ritroso...)

    D'altro canto, come tu stesso fai osservare, castronerie e cantonate se ne trovano, da sempre, in entrambi i "formati" (di meno sulle riviste specializzate, e ci mancherebbe): quando ciò accade, ai blog almeno posso dare la scusante che spesso son scritti da neofiti, che hanno l'entusiasmo di chi sta scoprendo il nuovo (e forse un pò li invidio, penso che dopo decenni di ascolto il tutto diviene più analitico e "competente", la musica si apprezza o meno, ma l'emozione ormai è sempre più rara, almeno per me è così).

    Quanto al caso specifico di Geremia, concordo, come si vede dal mio primo commento al post.

    L'analogia rivista/vinile è interessante, ma per ora mi fermo qui, da lettore mi distraggo se un commento è troppo lungo.

    Vado a sfogliare qualche numero di musiche (se li ritrovo nella fila posteriore...): all'epoca non prestavo particolare attenzione alle firme, son curioso di rileggere qualche tuo articolo.
    Un cordiale saluto

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  7. Ciao Alfonso, non ho statistiche sui blog jazzistici, ma quelli più duraturi e anche interessanti a me paiono quelli fatti da persone di una certa esperienza, anche se può far piacere leggere l'entusiasmo di ragazzi che scoprono il Perigeo o Herbie Nichols (importantissimo, da insegnante di storia del jazz è quella scintilla della scoperta che cerco di far scoccare nei ragazzi più che dargli nozioni varie). Inoltre spesso trovo nei blog uno zelo polemico e condannatorio che a me disgarba. E uno degli aspetti negativi dei blog è il loro solipsismo - per pubblicare in una rivista si interagisce con redattore e direttore, e alla fine dell'interazione il pezzo è migliore, più ricco e verificato. Avendo lavorato con molte riviste in Italia e all'estero conosco molto bene questo processo di grande stimolo e soddisfazione intellettuale. Infine, leggo con dispiacere la tua osservazione in margine sulla lunghezza. Esiste un libro da poco uscito sull'argomento, The Shallows, come internet sta cambiando il nostro cervello, che fa riflettere e ha impatto anche sulla musica...
    grazie dello scambio di idee e della conversazione

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    1. Non conoscevo il libro, ma già il titolo mi fa immaginare il contenuto. Internet ha allargato a dismisura gli stimoli e i contenuti a disposizione, è chiaro che l'ansia di acchiappare quanto più possibile vada spesso a discapito dell'approfondimento.

      Poi leggere a lungo su un PC è scomodo e stancante, almeno per me, ma non per questo credo che Internet mi abbia reso "shallow" (o magari sì, sempre di opinioni si tratta).

      Internet è un mezzo, uno dei mezzi di comunicazione, non ha mica soppiantato i libri, l'ascolto in hifi, i concerti, e parlo non solo di noi "maturi", ma anche dei ragazzi con i quali ho quotidiano contatto. L'uso esclusivo, forse, potrebbe effettivamente rattrappire un pò di neuroni

      Ostinatamente, chiudo il mio commento prima che diventi troppo lungo ;-). E' stato un piacere anche per me, un cordiale saluto e... al prossimo post

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  8. Alfonso ti rispondo qui perchè l'opzione rispondi non mi funzia: Le opinioni sono tutte valide e tutte opinabili, certo, rappresentando punti di vista diversi sul mondo, ancora più frammentati perchè non espressi intorno al tavolo di un caffè ma di fronte a questi schermi. L'idea che esprimi non è strampalata, tanto è vero che molti jazzisti e simili lo fanno: tra quelli che mi vengono in mente Zu, Tommaso Cappellato e - magari non ti piacciono ma il vinile c'è - Musica Nuda. Il download digitale può essere interessante se usato per esempio come veicolo di file ad alta definizione come hanno fatto i Noise of Trouble, grandissimo lavoro che ti consiglio: http://www.noiseoftrouble.joomlafree.it/

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  9. thank you very much! great stuff!

    Igor

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