lunedì 16 aprile 2012

Never Oh Never Whatever You Do... Alan Seidler _ The Duke of Ook


Ma guarda, me ne vado per qualche giorno dall’Italia, triste e sconsolato, e al mio ritorno trovo qualcosa che, eppur si muove.

Sono rimasto impressionato dal mio viaggio a Vienna, perché c’ero stato per la prima volta sul finire degli anni Ottanta, ed oggi non ho trovato nemmeno la silhouette del ricordo che avevo, quello di una città esclusivamente barocca e dorata, punteggiata di signore con naso stretto, al seguito dei loro cagnolini saltellanti e scorbutici.
Ricordavo stomachevoli palle di Mozart, maestosi appartamenti del kaiser, untissime Schnitzel, marmi invasi dall’aureo eccesso di apparire, carrozze d’altri tempi e stomatici Gespritzt. Solo il genio tormentato di Schiele, la funzionale bellezza dell’architettura postbellica ed anche la gigantesca ombra dorata di Klimt mi avevano spinto coraggiosamente a tornare.
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Oggi Vienna mi è apparsa come una piccola Berlino, moderna, cosmopolita, giovane, funzionale, rivoluzionaria ed emblematica per quello che io intendo “vivere una città”.
Altrimenti come ci spieghiamo la coraggiosa Haas-Haus, inaugurata nel ’90, che riflette in tutta la sua modernità la più antica cattedrale viennese? O il Museums Quartier, non solo per la scelta di raccogliere il gotha dell’arte moderna in un distretto, ma per la sua rappresentativa socialità? Anche i kabinett che distribuiscono per 1€ comics in self service, per me, rappresentano la voglia d’innovazione e la diffusione culturale a portata di tutti. Per non parlare di cose come il tasso di occupazione oltre il 72%, o semplicemente di semplici servizi utili, come il check-in per il volo in pieno centro città, che ti permette di raggiungere l’aeroporto, che dista almeno 20km, comodamente senza bagaglio.
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Forse sono state le cosiddette Rivoluzioni del 1989, con lo smantellamento della cortina di ferro e relativo crollo del muro, a far vacillare anche le barriere mentali? Oppure le guerre dei Balcani che hanno generato tanto movimento e ricambio della popolazione austriaca? Non saprei quanto sangue c’è voluto, forse basterebbe guardare il viennese Hermann Nitsch, o cosa ha spinto tanta aria di rinnovamento nella capitale federale dell’Austria, eppure, ai miei semplici occhi, tutto si muove.
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Ma non voglio tediarvi con il mio fottutissimo diario di viaggio, ‘ché interessa solo a me, volevo solo condividere il fatto che, più della bellissima rinascita della capitale della Sacher, trovare al mio ritorno tanto movimento intorno alla musica che più amo, mi rende euforico come un bimbetto, ottimista come un sognatore allucinato, indifeso all’eventuale critica storica come l’ultimo degli imbelli.
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Un nuovo corposo numero di Musica Jazz, con un’inchiesta sulla rete, dopo la scomparsa dei “Siti Sonanti” di Martinelli, è un buon segno.
È pur vero che una vera inchiesta avrebbe scelto domande più scomode, ma per questo più interessanti, tipo:
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Perché la musica su supporto fisico costa così tanto?
Qual è l’ultimo CD acquistato dal tal critico (acquistato personalmente, non ricevuto in omaggio per lavoro)?
Quanto versa il legale iTunes per ogni download?
E quale quota arriva davvero al musicista?
Perché, in una panoramica italiana, ricordare la ArtistShare (ne avevate già parlato in un dossier) e non interrogare i tipi de “El Gallo Rojo”, che hanno avviato una simile proposta con Produzioni Dal Basso?
Oppure perché non intervistare musicisti come Tommaso Cappellato, che il download dei loro lavori lo gestiscono, invece di subirlo?
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Ma poi il downloading è proprio l’unica cosa su cui indagare quando si parla di web?
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Immaginate uno scenario in cui non sarebbero più ristampate opere come la Divina Commedia di Dante, Prufrock and other observations di T.S. Eliot o uno qualsiasi dei racconti di Carver. Sarebbe illegale condividere le fotocopie, o sarebbe un bene non lasciar morire quei capolavori?
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E allora, che male c’è a condividere le opere pubblicate dalla HORO, dalla DIRE, dalla VISTA, dalla CAROSELLO, dalla PALCOSCENICO, dalla CETRA o dalla ECP, solo per fare qualche esempio nel panorama italiano?
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In ogni caso, come dicevo prima, questa apertura è già qualcosa.
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E sì, perché, a mio gusto personale, sono sempre stato attratto da quello che ci gira intorno ed infatti ho sempre letto con piacere la rubrica “Carta Stampata” del grande GMM. Ecco, forse questo mancava, una ricognizione dell’altra faccia della critica, una curiosità oltre stilistica, un tentativo d’approccio che superi le barriere fisiche dei supporti, almeno in quest’epoca in cui tutto viaggia in forma liquida.
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Spero che diventi una rubrica fissa della rivista ora diretta da Luca, o almeno una buona abitudine della nostra critica quella di guardare oltre il proprio orticello, nello sfaccettato mondo che c'è fuori.
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Poi ho trovato alcuni post, gettonatissimi e ricchi di commenti, di Mondo Jazz, su cui il dibattito sui blog ed i magazine si è sviluppato e, in parte, evoluto attraverso le tante voci di autorevoli Direttori, liberi pensatori stanchi ormai di tutto, sabotatori cronici ed indefessi, signorine rare ed affatto indifese, produttori, sprovveduti e squattrinati, della propria passione e poca altra fauna varia.
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Questo scambio di energie non può che far bene allo sviluppo della tematica, e non fa niente se Roberto chiede di prendere più tempo per se, non è nella quantità che c’è la qualità, lo sappiamo tutti.
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Ma allora c’è vita in questo pianeta!

Certo, alcune note a margine le ho segnate, poche deboli righe scritte a grafite morbida e polverosa, eppur solide nei miei pensieri:
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1)    spero che dall’energia vitale nasca un senso comune, non un ulteriore confino tra critica alta e bassa, che sa tanto di ritorno al passato e col jazz non centra poi molto.
2)   che di nuovi spazi dedicati al dialogo, oltreché all’ascolto, ne nascano mille altri dopo quello di Elfio Nicolosi, le due Daniele o loopdimare, perché è nella diversità che c’è ricchezza.
3)   spero che altri abitanti di questo piccolo universo escano più spesso allo scoperto, come fanno già egregiamente Enrico Bettinello sul giornale della musica, Franco Bergoglio su “Magazzino Jazz”, Sergio Pasquandrea su “ruminazioni”, Marco Bertoli su “Jazz nel pomeriggio

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4)    che dai prolifici commentatori nascano dei prodotti propri, perché un conto è stare lì a commentare pedissequamente il lavoro altrui, tutt’altra cosa è tirarsi su le maniche ed inventarsi ogni giorno anche solo una singola frase che, si sa, sarà messa alla berlina da tutti i passanti.
5)    che di cazzate, pardon, refusi n’è pieno il mondo letterario, e solo chi se ne sta fermo, in immobile silenzio intellettivo, non corre il rischio a prescindere se scrive sul web o sulla carta stampata, non centra niente l’autorevolezza. Se la recensione di Daniela sul concerto di TimBerne a Bergamo Jazz ha destato tanto clamore, vediamo se siete capaci voi a quantificare la competenza che c’è nella compilazione di una delle categorie del Jazzit Awards 2011:


Prometto comunque che mai, oh mai, qualunque cosa accada, penserò ancora che lo stagno è immobile.

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Credits:

Alan Seidler
"The Duke of Ook"

Label: BLUE GOOSE
Catalog #: BG-2015
Country: USA
Format: LP

Cover art: Robert Crumb


Tracklisting:

A1) Duke Of Ook - 0:30
A2) What Is The Use Of Calling Me San? - 3:57
A3) Won't You Come And Be Profligerate - 3:37
A4) Never Oh Never Whatever You Do, Sing A Gorilla Song - 4:08
A5) Oozing Cyst Blues - 4:14
A6) Oozin' Just Oozin' For You - 4:32
A7) The Once-It-Was-Herbibiwis-But-Now-It's-Anemic Rag - 2:19 
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B1) Puv Hooves - 2:35
B2) D-O-A-P - 2:51
B3) Old Vitoville Blues - 3:52
B4) Fash - 3:13
B5) All By Myself (Without No Ape) - 3:30
B6) What Sort Of A Vuv - 3:09
B7) The Universal Uk - 4:59
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2 commenti:

  1. Ciao Roberto

    grazie dell'attenzione che mostri verso MJ. Le "domande scomode" che poni sono tutte molto interessanti; e, se qualcuno ha voglia di cimentarsi in un ulteriore articolo sull'argomento, non ha che da chiamarmi o scrivermi. Per quanto mi riguarda, MJ è aperta ai contributi di tutti, non ho preclusioni o sbarramenti.
    Per il resto, la rubrica di Martinelli è in via di ripristino: tornerà a breve, sicuramente con un altro nome, ma tornerà (credo sul numero di luglio).
    Altra cosa, apprezzo moltissimo il tuo invito a guardare ciò che sta fuori dal piccolo mondo del jazz, e ti garantisco che questa vorrebbe essere una delle direttrici principali del mio lavoro. Anzi, spero che qualcosa si sia già iniziato a vedere nei "miei" primi tre numeri. Quello di giugno, lo preannuncio fin da adesso, sarà molto trasversale a costo di suscitare qualche mugugno (ma spero di no).
    Non commento la voce "sax baritono" della consorella Jazzit, perché sinceramente spero si tratti di un infortunio.

    Ciao, a presto
    LC

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