lunedì 30 dicembre 2013

Mal Waldron Trio, 1966 _ Il Vascello Fantasma


L’idea di questo post, che accompagnerà voi distratti lettori di questo diario fantasma nella formalità del passaggio tra il 2013 ed il nuovo anno, è nata prima della scelta del disco in oggetto, ed è più un pensiero, un proposito o un proponimento a me stesso, che di dispensar consigli non è proprio aria, piuttosto che la semplice proposizione di un album di jazz.


Io vorrei restare infantile e continuare a godere di ogni singolo istante, vorrei mantenere il saper vivere qui ed ora, vorrei tenere lo sguardo fisso sull’oggi anziché distrarmi nel mettere a fuoco un improbabile domani. E, soprattutto, non vorrei rimpianti di momenti perduti, perché odio le rivalutazioni posticipate e le celebrazioni in ritardo.


Questo vorrei nel 2014 ed oltre, perché le cose cambiano, i sentimenti invecchiano e le persone muoiono e col senno di poi non ci si fa nemmeno una buona zuppa calda, ‘ché è meno utile della coccia di formaggio.


Questo disco del ’66 è stato tra gli ultimi incisi dalla Karim, etichetta romana nata appena cinque anni prima, tirato in pochissime copie ed è uno dei rari LP in cui si può ascoltare Giuseppe «Pepito» Pignatelli alla batteria, meglio noto come animatore e sostenitore del jazz moderno romano, anche grazie alla gestione dei suoi club come il Blue Note (1970-1972) ed il Music Inn (dal 1974). Di Pepito, la cronaca tramanda più le personali e dolorose vicende che il suo profilo artistico e culturale. Nessuna menzione al suo drumming dal feeling intenso, pochissimi accenni al suo impegno produttivo (per esempio è grazie a lui se la HORO ha pubblicato il summit Big Band di Slide Hampton & Dusko Gojkovic) ma, in cambio, tantissimo gossip pecoreccio.


Da qualche mese il Trio italiano di Mal Waldron è stato ripubblicato in una splendida ristampa dalla seriE.WOC, 300 copie made in Italy ma disponibili principalmente sul mercato giapponese e tedesco.

Buon inizio!


Un tempo come un gagliardo veliero
la prora fendendo,
marosi schiumanti di rabbia marina,
solcai tutti i mari.

Poi,
nel fare ritorno verso le mie coste,
a poca distanza dalla riva,
la chiglia si arenò,
sopra una secca.

Ogni giorno i flutti
delle onde che lambiscono
lo scafo oramai immobile,
lo corrodono lentamente,
con la salsedine che sopra vi s’incrosta.
Di notte l’alta marea mi sommerge,
e il giorno dopo, riappare il veliero,
sempre più bianco e azzurrino,
da confondersi con il riverbero del sole.
               
E dalla riva nessuno lo scorge.
Anche se io
scorgo la riva.

da Il Vascello Fantasma di Tano Festa

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Credits:

Label: Karim
Catalog#: KLP 14
Format: LP
Country: Italy
Recorded in Rome, 1966
May 30th and 31st



Mal Waldron (Piano),
Pepito Pignatelli (Drums),
Giovanni Tommaso (Bass)



Tracklist :


1) Steady Bread (Mal Waldron)
2) Blues For Picchi (Mal Waldron)
 3) Rosa (Mal Waldron)
4) Maroc (Mal Waldron)
5) For Bob (Mal Waldron)




1) Theme De Coureurs (Mal Waldron)
2) View From St. Luca (Mal Waldron)
3) Chim Chim Cheree (R.M. Sherman)
4) Dock Scene (Mal Waldron)
5) Speedy (Mal Waldron)




giovedì 26 dicembre 2013

Romano Mussolini with Nunzio Rotondo & Lilian Terry _ 1957


Ed eccolo l’esordio su disco della Lilian Terry, registrato a Roma nel 1957, quando la cantante nata al Cairo non aveva ancora compiuto i ventisei anni, e dato alle stampe inspiegabilmente solo tre anni dopo.


La voce della Terry qui sembra molto più acerba, ed appena imbarazzata forse dalla prova di studio, degli EP che registrerà successivamente, come In Swing!, ma presenta già una vibrazione particolare, una dizione musicalmente eccelsa ed una vena bluesy rara per le cantanti allora presenti nel nostro Paese.
 

Questa insolita raccolta, perché di questo si tratta, conferma anche le doti del giovane Romano Mussolini, figlio prodigioso di quel Benito infame, qui appena trentenne con alle spalle un solo EP con quattro tracce, sempre per la RCA, in trio col fidato Carlo Loffredo ed il fenomeno Pepito Pignatelli alla batteria.


La vera stella, a mio modesto parere ma sarete voi a giudicare, è la tromba di Nunzio Rotondo, il più affermato dei tre che all’epoca aveva già inciso diverse facciate per la Columbia con il suo sestetto e con le Cool Stars.
 

Una curiosità: quelli che all’epoca venivano definiti dalla critica “gli insoliti titoli giapponesi” di Rotondo, come Thaganoghi o Noghitonghi Thagani, qui presenti, facevano ancora sorridere il Nunzio degli ultimi anni, che mi raccontò essere solamente il suo tentativo di trascrivere i suoni del primo linguaggio dei bambini, incomprensibili ai più, ma già significanti per un essere ipersensibile come lui.
  


Credits:

Label: RCA
Catalog#: LPM 10010
Format: LP
Country: Italy
Recorded in Rome, 1957
June 12, 13 and 14;
October 19 and 31;
November 2 and 8




Romano Mussolini (p),
Carlo Loffredo (bass)
A1) Gone with the Wind
A2) Topsy

Romano Mussolini (p),
Carlo Loffredo (bass),
Roberto Podio (drums)
A3) You and the Night and the Music
A4) Line for Lyons
A5) Polka Dots and Moonbeans
A6) You Turned the Tables on Me
A7) Laura

Romano Mussolini (p),
Nunzio Rotondo (trumpet),
Sergio Biseo (bass),
Franco Mondini (drums)
A8) There Will Never Be Another You



Romano Mussolini (p),
Nunzio Rotondo (trumpet),
Gino Marinacci (bar. sax),
Sergio Biseo (bass),
Roberto Podio (drums)
B1) Thaganoghi
B2) Noghitonghi Thagani

Romano Mussolini (p),
Gianni Sanjust (cl),
Carlo Loffredo (bass),
Roberto Podio (drums),
Lilian Terry (vc)
B3) I've Got It Bad and That Ain't Good

Romano Mussolini (p),
Carlo Loffredo (bass),
Roberto Podio (drums),
Lilian Terry (vc)
B4) St. Louis Blues

Romano Mussolini (p),
Franco Pozzi (bass),
Roberto Podio (drums),
Lilian Terry (vc)

B5) He's Funny that Way


lunedì 16 dicembre 2013

Lilian Terry with Enrico Intra 5tet _ In Swing! 1960


La questione di essere un musicista jazz a mezzo servizio, è stato uno dei crucci, o dei più sicuri nascondigli, degli artisti italiani quasi fino alle soglie del secondo millennio.

«Tu sai che io sono un musicista di jazz a mezzo servizio con la musica leggera, come tanti altri, del resto, e come ce ne sono perfino in America. Cerco in qualche modo di vivere positivamente anche questa esperienza, di arricchire in qualche modo me stesso, per esempio quando ho a disposizione una grande orchestra. Bisognerebbe eliminare il mezzo servizio, ma come si fa? Ci vorranno ancora molti anni, forse non basterà una generazione. Oggi per vivere soltanto di jazz, specialmente in Italia, uno dovrebbe rassegnarsi ad una povertà francescana o vivere da solo a fare l’asceta. Certo, si può fare. Ma è una scelta dura, e succede che quando si è giovani certe cose non si capiscano. Può prevalere l’impulso naturale di non rimanere soli, di farsi una famiglia, e allora il mezzo servizio diventa inevitabile. Non puoi sacrificare gli altri».


Questo dice il pianista Enrico Intra a Franco Fayenz, in un’intervista apparsa su Musica Jazz nell’agosto 1973, ed è significativo leggere come, anche nel decennio maturo del jazz italiano, fosse difficile vivere delle proprie idee musicali a tempo pieno e quanti compromessi era invece necessario trovare per mantenere un equilibrio tra vita privata e professionale.


Negli anni a cavallo tra i Cinquanta ed i Sessanta il mezzo servizio era un atteggiamento all’ordine del giorno, non tanto nelle occasioni delle jam, dei festival ad hoc o dei discorsi tra gli appassionati che ci riportano le storie del jazz, ma proprio nell’aspetto professionale, e cioè nei prodotti dell’industria musicale che avrebbero dovuto generare reddito agli stessi musicisti, primi fra tutti i dischi, ma anche le apparizioni televisive e/o radiofoniche sotto compenso.


Se ci pensate, o se avete la possibilità di scorrere alcune discografie di quegli anni, rarissimi sono i Long Playing jazz dell’epoca, molti di più i singoli a 45 giri e gli Extended Play, probabilmente perché ritenuti più facili da vendere dalle industrie discografiche. Eppure, anche questi più economici supporti, raramente sono completamente dedicati al jazz, che spesso si trova relegato nei lati B dei dischi destinati al grande pubblico, cioè quelli con più ampia diffusione, come quelli dei cantanti, che lasciavano la facciata principale ai temi alla moda e cantabili da tutti.


Scorrendo la mappa che Arrigo Zoli pubblicò a compendio di ogni sezione del suo utilissimo “Storia del Jazz Moderno italiano – I Musicisti” negli anni Ottanta, dei cantanti in jazz possiamo contarne poco più di una decina dai primi anni Cinquanta fino agli inizi dei Settanta, nell’ordine:
Lilian Terry, Nicola Arigliano, Lydia MacDonald, Jula De Palma, Jimmy Fontana, Mara Moris, Monna Lisa (aka Vanda Radicchi), Caterina Villalba, Cocki Mazzetti, Gianfranca Montedoro e Renata Mauro.


A parte i primi quattro, che hanno mostrato un’attiva presenza e mantenuto un’attività costante nel tempo, gli altri hanno intrattenuto rapporti sporadici col jazz, o l’hanno abbandonato subito, ed allora mi viene da pensare chissà perché Arrigo abbia lasciato fuori nomi come Carol Danell, Helen Merrill, Caterina Valente, Cosetta Greco, Anna Moffo e Fatima Robin’s, oppure Johnny Dorelli che, sembrerà strano, ma al jazz ha dedicato diversi Lato B sul finire degli anni Cinquanta.


Successivamente, quasi sempre per brevi incursioni, si possono citare altri connubi a metà tra  i cantanti italiani ed il jazz, con top stranezza nel “Villa Tutto Dixieland” licenziato dalla Cetra 


ed altri incontri più felici come il “Back to Jazz” di Bruno Lauzi per la DIRE o il toccante “in Concerto” di Mia Martini, da un’idea di Maurizio Giammarco.


Ecco, anche Lilian Terry ha dovuto accettare più volte il mezzo servizio, come racconta sulle pagine del suo sito, e per far produrre dalla CGD la sua vera passione, ha dovuto incidere diversi singoli pop in cambio ma, quando canta in swing, cadono tutti i dubbi e si comprende il motivo per cui abbia acconsentito a quel sottile ricatto.

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Credits:

In Swing!

Label: CGD
Catalog#: E 6096
Format: EP
Country: Italy
Recorded 1960

Lilian Terry (voice),
Oscar Valdambrini (trumpet),
Gianni Basso (tenor sax),
Enrico Intra (piano, arr.),
Giorgio Azzolini (bass),
Gianni Cazzola (drums)
Quartetto Radar (vc)





Too Close for Comfort - 2:30
The Song Is You - 2:50
My Heart Belongs to Daddy - 2:35
Don’t Worry About Me - 3:10



martedì 10 dicembre 2013

Franco Cerri, Enrico Intra, Lucio Terzano _ Omaggio a Bill Evans - DIRE, 1981


Pioveva fitto quella sera. Franco era sceso dalla metropolitana in piazzale Lotto e si era avviato a piedi lungo il viale Monterosa. Camminava chino, sotto quel dannato acquazzone, lasciando liberi i pensieri. […] ed era arrivato al Derby, il locale che Gianni Bongioanni aveva ereditato dal padre.


In origine era Whisky a Go-Go: si mangiava, si beveva, era un modo come un altro per scimmiottare gli americani. Ma Bongioanni aveva capito che forse quel modo di gestire il locale non avrebbe dato frutti. Così aveva cominciato a girare gli altri club milanesi ed era arrivato al Santa Tecla, dove aveva incontrato Enrico Intra e, con lui, aveva poi dato vita all’Intra Derby Club. Un buco dove si suonava e si facevano spettacoli di cabaret ed era il Trio di quel giovane pianista, Enrico Intra, a intrattenere il pubblico. Intra, con Pallino Solonia al basso e Pupo De Luca alla batteria. Era un bel tipo quell’Intra, giovane, spavaldo, allegro, con un modo di suonare molto nuovo, originale, che faceva tesoro di quanto era accaduto nel jazz, il be-bop, il bop duro, il nuovo free, ma che mischiava le carte, scivolava fra uno stile e l’altro, occupava spazi inediti. Aveva anche un fratello, Gianfranco, pianista anche lui oltre che arrangiatore e direttore d’orchestra. […]


L’Intra Derby era nato per il jazz, ma anche in questo caso il pubblico aveva dimostrato di non essere preparato per quella musica americana, così Pupo De Luca aveva cominciato a raccontare delle storie ironiche, a inventare barzellette, poi era arrivato Enzo Jannacci che aveva appena inciso le sue memorabili “scarp de tennis” e tutti gli altri, da Gaber a Lino Toffolo, a Bruno Lauzi, a Franco Nebbia, a Tinin e Velia Mantegazza, coi loro pupazzi, più avanti Cochi e Renato e altri comici ancora. Tra una scenetta e l’altra, tra una battutaccia ed un siparietto, entrava di prepotenza il jazz di Intra e a lui si univano spesso degli ospiti, musicisti milanesi o altri di passaggio a Milano. Intra si batteva con tutto il suo entusiasmo, ma il pubblico non sempre mostrava di capire quella sua musica “astrusa”, colma di modi inediti di suonare.


Quella sera Franco andava al Derby proprio per partecipare ad una di quelle occasioni, con il Trio di Intra. I due si conoscevano da tempo, avevano anche inciso dei dischi insieme, ma ancora non avevano pensato di collaborare. Quella sera avevano capito che il sodalizio era possibile: Enrico teso verso le “nuove cose”, Franco più tradizionale. I loro modi riuscivano, comunque, a legare ottimamente e la loro musica era dinamica, moderna, colma di trovate. Gli strappi di Intra, moderati dal melodico andare di Franco.


Racconta Enrico Intra: «Avevo già avuto modo di conoscere Franco. Avevamo anche inciso qualcosa insieme, chiamati da Mister Lee che era il direttore artistico de La Voce del Padrone. Ma non avevamo avuto altre occasioni, pur conoscendoci e rispettandoci. Pensavo che Franco fosse uno straordinario stilista animato da uno spirito naif. Tutto quello che faceva era naturale, credo sia stata proprio questa sua spontaneità, oltre alla tecnica ed alla capacità di trasmettere emozioni, a dargli simpatie e popolarità. La sua musica è sempre lineare, razionale, piacevole, così è stato facile intenderci, mettere insieme i nostri diversi modi d’intendere il jazz e, forse, senza neppure rendercene conto, creare un nostro linguaggio».


Franco ed Enrico avevano anche fatto un duo per accompagnare Ornella Vanoni. Otto serate a trecentomila lire ciascuna, cento a testa. Ornella si era appena fatta conoscere con le “canzoni della mala” che le avevano cucito addosso Strehler, Campi, Fo, ma era già pronta a dedicarsi a quelle nuove canzoni che Tenco, Bindi, Paoli andavano scrivendo. Canzoni che Franco ed Enrico facevano pulsare in modo jazzistico, per poi abbandonarsi anche a “soli” decisamente jazz: Franco al basso e alla chitarra, Enrico al piano, ma anche alle maracas. Suonare era pur sempre un grande gioco fanciullesco.

Erano i primi anni Sessanta e jazz, teatro, cabaret, mischiavano le loro strade anche grazie a quegli autentici talenti che animavano le scene.


«Eravamo e siamo rimasti diversi» racconta Cerri parlando di Intra, «io sono tonale. Già il be-bop, al primo incontro, mi aveva un po’ frastornato. Figuriamoci il free, un altro mondo. C’era stato un concerto al Lirico, il gruppo di Miles Davis con John Coltrane al sassofono e gli appassionati milanesi si erano divisi. Alcuni ne erano usciti entusiasti, altri poco convinti. Io capivo che si trattava di musica di altissima qualità ma facevo fatica a digerirla, avevo bisogno di tempo. Enrico, invece, assorbiva tutto, si sentiva a suo agio in tutto ciò che ci arrivava di nuovo, come accadeva ad Enrico Rava, a Massimo Urbani, a Giorgio Gaslini e ad altri ancora.

Io faccio musica come se scrivessi un racconto, ho bisogno di seguire una certa logica, il free spezza ogni cosa, sconvolge i temi, li disperde in tante schegge; un’operazione molto intellettuale, nella quale non mi ritrovavo. Ciononostante, o forse proprio per questo, le nostre due nature riuscivano a conciliarsi. Sentivo che Enrico a volte doveva tenere a freno la fantasia, così come io cercavo di adeguarmi, mi sentivo demodé e volevo allargare il mio panorama. Eppure le nostre due nature finivano per conciliarsi. E più avanti nel tempo avevamo formato un Quartetto, con Azzolini al basso e Gilberto Cuppini alla batteria, che dura ancora, sia pure cambiando a volte basso e batteria, Lucio Terzano e poi Marco Vaggi, Paolo Pellegatti e Tony Arco. Una sera Cuppini non era arrivato a Lecce. Avevamo pensato di far saltare l’esibizione, poi Enrico aveva detto: suoniamo in Trio, come Art Tatum, come Oscar Peterson e ci eravamo resi conto che anche così la musica funzionava» […]


Gli anni Sessanta erano volati via così, una sorta di straordinaria palestra, nella quale il jazz italiano era maturato, liberandosi a poco a poco dai lacci, troppo stretti, degli americani. Erano i maestri, certo, ma i nostri musicisti stavano elaborando un linguaggio legato alla loro cultura e, come sappiamo, oggi quel linguaggio è maturato, è addirittura esploso in un jazz che, pur senza tradire il passato, ha assunto connotazioni decisamente svincolate dalle vecchie radici.


da “Franco Cerri - In Punta di Dita” di Vittorio Franchini, Sigma Libri 2006

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Credits:

Il Trio _ Omaggio a Bill Evans

Label: DIRE
Catalog#: FO 361
Format: LP
Country: Italy
Recorded at Studio 7
Maj 27 and 28, 1981



Franco Cerri (guitar)
Enrico Intra (piano)
Lucio Terzano (bass)



Tracklist :


1) Dicotonia (E.Intra) - 4:37
2) Perhaps (L.Fontana) - 5:48
3) But not for Me (G.Gershwin) - 4:19




1) Tanto Tempo “Sol” (F.Cerri - E.Intra) - 6:22
2) Ballade for Fiory (E.Intra) - 3:39
3) Romantico (F.Cerri) - 3:47 
4) Song for Lucio (F.Cerri - E.Intra) - 1:06



lunedì 2 dicembre 2013

A Trumpet for the Sky _ Chet Baker Trio, Live at Club 21, Paris 1983 _ Vol. 2


Tempo fa avevo condiviso con voi il Volume 1 di questo live, dato dal trio di Chet Baker al Club 21 di Parigi sul finire dell’estate del ’83, e mi ero così intrippato nel discorso delle registrazioni inedite e delle pubblicazioni discografiche che ho continuato affannosamente a ricercare ed archiviare i tanti bootleg di CB sparsi tra gli aficionados, dimenticandomi di pubblicare il secondo CD.


Poi, grazie al contatto di Jean Philippe Poibeau, webmaster del sito ufficiale di Michel Graillier, mi sono ricordato di doverlo fare.


Ecco il completamento di quel concerto fantastico che Paolo Piangiarelli ha voluto registrare e condividere, un po’ con lo stesso spirito che tiene in vita questo blog, donando cioè la possibilità di ascoltare quasi tre ore della musica di Baker, la più vera, spontanea e sempre nuova che io tengo con cura sugli scaffali della mia memoria e che, ovviamente, era OOP da troppo tempo.

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Credits:

A Trumpet for the Sky _ Vol. 2

Label: Philology
Catalog#: W 56.2
Format: CD
Country: Italy
Recorded at Club 21, Paris
1st and 2nd September 1983

Chet Baker (trumpet, voc),
Michel Graillier (piano),
Riccardo Del Frà (bass)


 

Tracklist :
 

1) Cheryl – 10:22
2) When I Fall In Love – 14:54
3) Mr. B – 11:02




4) Sad Walk – 9:37
5) Four – 9:18
6) Arbor Way – 12:41
7) This Is Always – 10:56